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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Riformista Rassegna Stampa
12.06.2025 Knesset a rischio scioglimento. Bibi prende tempo contro la crisi
Analisi di Ugo Volli

Testata: Il Riformista
Data: 12 giugno 2025
Pagina: 7
Autore: Ugo Volli
Titolo: «Knesset a rischio scioglimento. Bibi prende tempo contro la crisi»

Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 12/06/2025, a pagina 7, il commento di Ugo Volli, dal titolo: "Knesset a rischio scioglimento. Bibi prende tempo contro la crisi".

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Ugo Volli

Governo Netanyahu a rischio. Può perdere la maggioranza, a causa della riforma della leva militare (per arruolare anche gli studenti delle scuole religiose) che i partiti religiosi Shas e UTJ non vogliono. Netanyahu prende tempo, perché la guerra è al culmine e andare a elezioni adesso sarebbe un problema grosso. Ma la notizia vera è che a minacciare l'esecutivo, che per i nostri media è di "ultra destra", sono due partiti conservatori della sua maggioranza, non l'opposizione di sinistra.

Guadagnare tempo, affidandosi alle manovre parlamentari per evitare lo strappo.
È questo il piano del governo israeliano per scongiurare una crisi profonda e irreversibile proprio nel mezzo della guerra, mentre si impongono decisioni importantissime sugli sviluppi della conquista di Gaza e soprattutto sul disarmo atomico dell’Iran.
Ieri l’opposizione ha presentato una proposta di legge di scioglimento del Parlamento (che in Israele è il modo di arrivare alle elezioni anticipate).
Benjamin Netanyahu vuole prendersi un’altra settimana preziosa per negoziare con i due partiti della maggioranza (Shas e UTJ, entrambi religiosi) che avevano annunciato di voler appoggiare il testo.
Paradossalmente non è l’opposizione di sinistra a minacciare il governo, ma l’ala “charedì” (o “ultraortodossa”, come dicono i giornali occidentali).
Per avere il tempo di negoziare una soluzione con gli haredim, la coalizione ha riempito l’agenda della Knesset con numerose proposte di legge.
Contrariamente a quel che credono i nemici di Israele, lo Stato ebraico non è affatto monolitico né diviso tra un esecutivo “messianico” e un’opposizione pacifista.
Il sistema politico è attraversato da molte tensioni: destra nazionalista, centro patriottico e sinistra pacifista (molto minoritaria); religiosi, laici e anticlericali; ebrei e arabi; sostenitori di Netanyahu e suoi nemici.
Insieme a una forte personalizzazione e a una legge elettorale proporzionale con bassa soglia di ingresso, ciò produce un sistema politico molto frammentato (10 partiti).
La maggioranza attuale è composta dal Likud di centrodestra, da due partiti nazionalisti religiosi e da due “charedì”.
All’opposizione vi sono due partiti arabi, uno di estrema sinistra, due di centrosinistra, uno di destra antireligiosa.
E poi vi è l’opposizione extraparlamentare ma importante dei corpi dello Stato tradizionalmente di sinistra: il potentissimo apparato giudiziario, il servizio di sicurezza interno (Shin Bet), buona parte dello stato maggiore delle Forze Armate, l’accademia, la maggioranza dei giornali.
La crisi attuale deriva dalla decisione della Corte Suprema di togliere agli studenti delle scuole religiose (che sono la base organizzativa dei partiti charedì) l’esenzione dal servizio militare, di cui hanno goduto fin dalla fondazione dello Stato, che mancherebbe però di base giuridica.
I partiti charedì però, per non far cadere il governo, esigono una legge che stabilisca questa esenzione.
Vi si oppongono in Parlamento la sinistra e gli antireligiosi, ma anche i nazionalisti religiosi, che hanno avuto più caduti in guerra di ogni altro, e settori del Likud.
Netanyahu cerca di mediare proponendo quote di arruolamento basse ma crescenti.
Inoltre sono in corso sperimentazioni di reparti militari composti solo da giovani charedì, con regolamenti interni che rispettano tutte le norme religiose.
L’opposizione è contraria a ogni concessione, non voterebbe la legge per gli studenti religiosi ma è ben lieta di convergere con i charedì per realizzare il loro ricatto, e ha presentato la proposta di scioglimento del Parlamento che porterebbe a elezioni anticipate probabilmente a ottobre.
Il calcolo politico dei charedì è assai impolitico, perché nella migliore (per loro) delle ipotesi si ritroverebbero un governo simile a quello attuale; nella peggiore sarebbero messi all’opposizione di una maggioranza di centrosinistra con la partecipazione di alcuni partiti fortemente antireligiosi e decisi non solo a reclutare i loro giovani, ma anche a togliere loro finanziamenti alle scuole e privilegi fiscali.
Ma per questi gruppi, per lo più lontani dalla tradizione sionista e attaccati alla tradizione religiosa molto più che alla realtà politica dello Stato, si tratta di una questione di principio.
Dato che i sondaggi in questo momento sono molto propizi all’opposizione, potrebbe concludersi così, su questo tema marginale rispetto alla guerra e non sulla sua conduzione, la lunga era di Netanyahu.
Ma l’ultima parola ancora non è detta: il primo ministro conosce meglio di ogni altro la politica israeliana e potrebbe riservare qualche sorpresa.


redazione@ilriformista.it

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