martedi` 03 giugno 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Il Riformista Rassegna Stampa
30.05.2025 Pierre Lévy: «L’odio in rete avvelenerà tutti»
Intervista di Aldo Torchiaro

Testata: Il Riformista
Data: 30 maggio 2025
Pagina: 7
Autore: Aldo Torchiaro
Titolo: ««L’odio in rete avvelenerà tutti». Parla il filosofo Pierre Lévy»

Riprendiamo dal RIFORMISTA l'intervista di Aldo Torchiaro a Pierre Lévy, filosofo, dal titolo: "«L’odio in rete avvelenerà tutti». Parla il filosofo Pierre Lévy".

File:Aldo Torchiaro.png - Wikipedia
Aldo Torchiaro

Pierre Lévy, filosofo

Pierre Lévy è un filosofo, semiologo e teorico della comunicazione francese, considerato nel mondo uno dei più influenti studiosi della cultura digitale e dell’intelligenza collettiva. È noto soprattutto per i suoi studi sul rapporto tra tecnologia, sapere e società nell’era di Internet.

Professore Lévy, lei è nato in Tunisia in una famiglia ebraica sefardita e ha svolto la sua carriera tra l’Europa e il Nord America. In che modo questa biografia diasporica ha influenzato la sua percezione di Israele e del suo ruolo nel mondo contemporaneo?
«I miei genitori sono scampati per un soffio alla Shoah. I tedeschi occupavano la Tunisia e avevano già predisposto tutto per l’eliminazione, nonostante le timide riserve delle autorità francesi e italiane. Fortunatamente, le forze alleate (americani, inglesi e francesi) riconquistarono la Tunisia in tempo. Ma i beni degli ebrei erano già stati saccheggiati e inviati in Germania. Al momento dell’Indipendenza della Tunisia (1956), le cose tornarono a peggiorare per gli ebrei e i miei genitori dovettero emigrare. Scelsero la Francia, altri scelsero l’Italia (la famiglia di mia madre è di origine italiana), altri ancora il Canada, gli Stati Uniti o Israele. Dopo il 1967 (la guerra dei Sei Giorni), in Tunisia quasi non c’erano più ebrei: l’ostilità era diventata insopportabile, come d’altronde in tutti i paesi arabi. Chi sa che quasi un milione di ebrei furono espulsi dai paesi arabi tra il 1948 e il 1967? Sono stato sposato con una donna ebrea egiziana: come gli altri, la sua famiglia fu espulsa da un giorno all’altro, con i beni confiscati, senza nemmeno il diritto a un passaporto. Io ho visitato Israele una sola volta e ho potuto constatare l’assurdità delle accuse di apartheid. Come la maggior parte degli ebrei, pensavo che dopo Auschwitz un’ondata di antisemitismo in Occidente fosse impossibile. Mi sbagliavo. Il periodo 1945-2023 è stato relativamente buono per gli ebrei. Oggi siamo tornati agli anni bui».

In un’epoca da lei definita segnata dalla “virtualizzazione” dell’esperienza, come spiega la ricomparsa di forme virulente e transnazionali di antisemitismo, soprattutto online?
«Bisogna capire che il 7 ottobre non è legato solo al conflitto israelo-palestinese. Il suo innesco – la causa immediata – è stata la volontà di Hamas e dei suoi mandanti qatarini e iraniani di bloccare la normalizzazione dei rapporti tra Israele e l’Arabia Saudita. Ma oltre a questo obiettivo tattico, il piano strategico mirava a lanciare un grande assalto contro l’Occidente sfruttando un antisemitismo latente, già presente nella popolazione europea autoctona, ma anche – e sempre di più – in quella musulmana immigrata. Il massacro è stato filmato per dare l’esempio, per ispirare. Le propagande islamista ma anche russa, cinese, turca e delle Nazioni Unite, per non parlare di quella dei partiti di estrema sinistra, si sono coordinate perfettamente perché condividono sinceramente gli stessi affetti: risentimento e proiezione nevrotica contro gli ebrei e l’Occidente. Tutti sanno cosa fare. I network, ben finanziati, erano già presenti nei mondi accademico, politico e giornalistico. L’ideologia “anti-imperialista” e l’odio per l’Occidente avevano da tempo conquistato l’egemonia culturale in università, media e mondo dell’arte. La situazione era pronta per l’esplosione, mancava solo la scintilla del 7 ottobre. Internet è certamente un veicolo efficace di propaganda e disinformazione. Ma bisogna ricordare che negli anni ’30 non c’erano computer, eppure questo non impedì a masse fanatizzate e tecnocrati freddi di perpetrare i peggiori massacri. Oggi, la stampa, la radio, la televisione e persino i politici occidentali ripetono le bugie colossali di Hamas e di Al Jazeera. In più, ci sono gli influencer su TikTok, i deep fake, i bot e le fabbriche di troll. Ciò che mi preoccupa di più è la manipolazione in atto di Wikipedia e la proliferazione di siti web di propaganda pensati per influenzare le intelligenze artificiali. Quando tutti si informano online, diventa facile avvelenare la fonte della conoscenza: la sola quantità di dati tendenziosi basta a sommergere i fatti e la pluralità dei punti di vista».

La sua teoria dell’“intelligenza collettiva” si basa sulla cooperazione e la condivisione del sapere in rete. Eppure oggi, anche nelle università, si assiste a una polarizzazione estrema che trasforma gli spazi di dibattito in campi ideologici. Come interpreta questo paradosso?
«Non è un paradosso. L’intelligenza collettiva è un programma d’azione, un ideale, che si fonda sulla responsabilità degli individui. Se gli individui rinunciano allo spirito critico, alla curiosità, e ripetono ciò che sentono dire intorno a loro come pecore (pur immaginandosi ribelli e resistenti), allora non c’è alcuna intelligenza collettiva».

In base alla sua esperienza nelle università europee e nordamericane, come valuta le tensioni e le proteste legate a Israele e alla Palestina nei campus americani e canadesi negli ultimi mesi? Cosa rivelano sullo stato del pensiero critico accademico?
«Il mondo accademico ha semplicemente fallito la sua missione, soprattutto nelle scienze umane e sociali. Israele è visto come capitalista, imperialista, colonizzatore, razzista, suprematista, genocida, ecc. Tutto ciò che la gioventù e le anime progressiste hanno imparato a odiare. La maggior parte degli accademici – i miei colleghi! – ripetono un catechismo semplicistico ignorando storia, geografia e demografia. Un mio collega dell’Università di Ottawa, esperto di terrorismo, credeva sinceramente che ci fossero un miliardo di ebrei nel mondo (siamo solo 15 milioni). L’Islam militante – fuso con l’anti-imperialismo di matrice marxista fin da Sayyid Qutb e ancor più dopo la rivoluzione khomeinista – considera la “distruzione di Israele” come obiettivo strategico per la sua egemonia mondiale. La sinistra accademica è oggi il suo principale alleato. Non è una novità: i massacri antisemiti del XX secolo furono giustificati da professori, intellettuali, scrittori e filosofi. Heidegger (tesserato del partito nazista dal 1933 al 1945) non fu certo un’eccezione. I capi degli Einsatzgruppen che perpetrarono la Shoah a colpi di pistola avevano dottorati in diritto, filosofia e letteratura».

Nel suo progetto di Metalinguaggio dell’Economia dell’Informazione ha immaginato un sistema universale per migliorare la gestione semantica dell’informazione. Pensa che oggi esista una crisi del linguaggio stesso quando si trattano temi come antisemitismo, sionismo o colonialismo? Siamo diventati degli analfabeti semantici?
«“La gente crede che la propria ragione domini le parole, ma spesso sono le parole ad avere un effetto violento sulla comprensione” diceva Francis Bacon. Nella propaganda, le parole e le immagini sono usate per il loro potere emotivo, a scapito del loro corretto uso cognitivo, per influenzare le convinzioni. E funziona! Credo che il linguaggio abbia qualcosa di sacro e debba essere usato con grande responsabilità. Purtroppo, molti intellettuali producono propaganda carica d’odio, la diffondono e vi aderiscono».

Nei movimenti studenteschi attuali, l’antisemitismo spesso si maschera da antisionismo. Come distinguere una critica politica legittima da un odio etnico, in un’epoca dominata da slogan e algoritmi?
«Non c’è nulla da distinguere. Se critichi la politica di un governo, allora parli di politica. Israele non è ovviamente un paese perfetto. Quale paese lo è? Ma se sei “antisionista” – e il sionismo è semplicemente l’affermazione del diritto all’esistenza di Israele – allora neghi al popolo ebraico, e solo a questo piccolo popolo, il diritto ad avere uno Stato. Peggio ancora: vuoi la distruzione di quello Stato e il massacro dei suoi abitanti. Uccidere è esattamente ciò che cercano di fare quotidianamente i vari antisionisti palestinesi, yemeniti, libanesi, iracheni, iraniani e ora anche i fanatici “anti-imperialisti” occidentali. Che tu odi gli ebrei per la loro religione, la loro razza o il loro paese, importa poco. È la loro stessa esistenza che vuoi eliminare».

Guardando al futuro: quale ruolo può avere il pensiero filosofico – e in particolare l’umanesimo digitale – per affrontare questa nuova ondata di antisemitismo e ricostruire un’etica pubblica globale fondata sulla conoscenza condivisa?
«Oggi il digitale e l’intelligenza artificiale sono i principali veicoli della nostra memoria e del nostro pensiero. Il controllo dei modelli linguistici come ChatGPT, Grok, Claude o Gemini – senza dimenticare i dati su cui si basano – è assolutamente cruciale. Ma non esiste una soluzione puramente tecnica, né semplicemente “etica”. Nulla può sostituire una nuova filosofia che valorizzi tutte le tradizioni intellettuali e spirituali, incluse le tradizioni bibliche e la filosofia occidentale di origine greca. Gli intellettuali europei e americani devono sprofondare in un odio di sé nichilista? Devono praticare all’infinito una religione fanatica della critica rivoluzionaria sistematica dell’esistente, che soffoca il vero spirito critico? Io credo, al contrario, che il nostro compito sia reinventare l’umanesimo nell’era digitale; creare conoscenza, bellezza e senso; risvegliare le coscienze e, per chi è in grado, trovare soluzioni pratiche e ragionevoli ai problemi reali che dobbiamo affrontare. Ma sono sinceramente triste. Il massacro traumatico del 7 ottobre e la mostruosa ondata di antisemitismo che ne è seguita mi hanno profondamente colpito. Inoltre, ho perso decine di amici cari, che stimavo, perché improvvisamente hanno cominciato a desiderare la distruzione di Israele, a ripetere orribili menzogne sugli ebrei e a condividere propaganda dozzinale sui social media. Molte persone hanno vissuto la mia stessa esperienza, purtroppo».

Per inviare la propria opinione al Riformista, cliccare sulla e-mail sottostante.


redazione@ilriformista.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT