Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Israele va fermato prima che possa sconfiggere i suoi nemici mortali? Editoriale del Wall Street Journal
Testata: israele.net Data: 30 maggio 2025 Pagina: 1 Autore: Wall Street Journal Titolo: «Hamas strepita e minaccia per non perdere il controllo sugli aiuti e sulla popolazione di Gaza. Israele sta debellando le forze terroriste e i regimi che le dirigono e foraggiano. Ma questo pare inaccettabile per la comunità internazionale: Israele va fer»
Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - un articolo tradotto dal Wall Street Journal e un articolo de Il Riformista di Iuri Maria Pradodal titolo "Hamas strepita e minaccia per non perdere il controllo sugli aiuti e sulla popolazione di Gaza. Israele sta debellando le forze terroriste e i regimi che le dirigono e foraggiano. Ma questo pare inaccettabile per la comunità internazionale: Israele va fermato prima che possa sconfiggere i suoi nemici mortali?".
Hamas ostacola la distribuzione di aiuti umanitari a Gaza per mantenere il controllo sugli abitanti e sugli aiuti stessi. Israele e la Gaza Humanitarian Foundation hanno aperto nuovi centri per fornire cibo in modo diretto e sicuro. Ma le orgazizzazioni internazionali e alcuni paesi occidentali ammoniscono Israele, condannando il suo comportamento ritenuto scorretto, è una follia!Iuri Maria Prado, autore dell'articolo su Il Riformista, sottolinea i grandi successi militari di Israele contro Hamas, Hezbollah, gli Houthi e persino l’Iran. La comunità internazionale ostacola Israele non per motivi umanitari, ma per impedirne la vittoria nella guerra
Scrive l’Editorial Board di Wall Street Journal: Avete mai sentito parlare di un genocidio in cui l’aggressore accetta un cessate il fuoco e cerca di portare aiuti ai civili, mentre la vittima rifiuta e ordina alla propria gente di rifiutare il cibo? Questo è il gioco che Hamas sta giocando a Gaza.
Martedì è stato aperto un nuovo centro di distribuzione a Rafah, nel quadro di un piano pensato per distribuire i pasti in luoghi sicuri, anziché inviare camion di aiuti in tutta Gaza dove Hamas li saccheggia.
Hamas ha definito questo modo di fornire cibo alla sua stessa gente come “completamente inaccettabile”, ha esortato gli abitanti di Gaza a “non cooperare con essa” e ha minacciato coloro che volessero prendere quel cibo: “Chiunque collabori con le modalità imposte dall’occupazione ne pagherà il prezzo e prenderemo le misure necessarie contro di loro”.
Hamas punisce con torture e morte i palestinesi che considera collaborazionisti.
Secondo Gaza Humanitarian Foundation, l’organizzazione sostenuta dagli Stati Uniti che gestisce l’operazione umanitaria, Hamas ha cercato di impedire agli abitanti di Gaza di accedere al cibo. “Gli abitanti di Gaza hanno subìto ritardi di diverse ore nell’accesso al sito a causa dei blocchi imposti da Hamas”, ha affermato la Fondazione.
Tuttavia, la folla è diventata così numerosa che Hamas non è riuscito a bloccarla. I palestinesi hanno superato i posti di blocco, risultando troppo numerosi anche per il centro di distribuzione. Israele afferma che le sue truppe hanno sparato alcuni colpi di avvertimento all’esterno della struttura (non ci sono stati né feriti né arresti ndr). La Gaza Humanitarian Foundation riferisce che il suo personale e il personale incaricato della sicurezza del sito “si è ritirato per consentire a un limitato gruppo di palestinesi di prendere gli aiuti in sicurezza e disperdersi”, prima della ripresa delle operazioni.
La Fondazione riferisce d’aver distribuito 462.000 pasti e prevede di incrementare gli aiuti ogni giorno. Martedì ha riempito di aiuti una seconda struttura e prevede di aprirne altre.
Mercoledì la Gaza Humanitarian Foundation ha annunciato d’aver inaugurato con successo il secondo centro e che “la distribuzione di aiuti sta continuando”. In totale, la Fondazione afferma d’aver distribuito nei due siti “circa 14.550 scatole di cibo”, pari a 840.262 pasti. Ogni scatola è destinata a sfamare in media 5,5 persone per 3,5 giorni.
(Da: Times of Israel, 28.5.25)
Un portavoce afferma che molti palestinesi di Gaza hanno dichiarato che “questo è il primo aiuto che abbiano mai ricevuto senza essere costretti a pagare”.
Hamas mantiene il suo potere grazie a un traffico di stipendi e clientelismi che dipendono dal suo redditizio controllo degli aiuti. Porre fine a quel sistema potrebbe cambiare le sorti della guerra. Per questo Hamas combatte il nuovo piano di aiuti, al fine di mantenere il controllo.
La cosa vergognosa è che anche le Nazioni Unite e le grandi organizzazioni umanitarie si battano contro la nuova iniziativa quasi altrettanto duramente. I critici sostengono che le misure per impedire a Hamas l’accesso agli aiuti vìolano i principi umanitari, in particolare la neutralità.
Considerano il vecchio metodo, che permetteva a Hamas di dirottare gli aiuti, come neutrale e di gran lunga preferibile.
Il fatto che quel metodo abbia prolungato la guerra rafforzando un esercito terroristico non sembra motivo di alcuna preoccupazione umanitaria nell’universo morale capovolto della “comunità internazionale”.
(Da: Wall Street Journal, 27.5.25)
Scrive Iuri Maria Prado:Israele da solo sta battendo il terrorismo e vincendo la guerra, ma la comunità internazionale non lo accetta.
Si svolge su due fronti l’incolpazione di Israele.
Uno è costituito da quelli, molto numerosi e poco disposti al confronto con la verità, secondo cui Israele starebbe commettendo un genocidio, con l’intento di sterminare un popolo intero bombardandolo indiscriminatamente senza sosta e riducendolo alla fame.
È un fronte tifoso, meno ignorante che in malafede, presidiato con identici argomenti dai rigurgiti dei social e dal sussiego di certa stampa coi fiocchi.
L’altro fronte è costituito dai meno numerosi che – affettando equanimità e assenza di pregiudizio – addebitano a Israele una colpa diversa, e cioè la colpa di aver condotto una guerra, e di insistere a condurla, nella mancanza di qualsiasi obiettivo strategico e, comunque, con un bilancio sostanzialmente fallimentare.
Il tutto, ovviamente, con il corollario accusatorio secondo cui il presunto fallimento israeliano sarebbe tanto più esecrabile perché si consuma, oscenamente, nel trionfo di stragi neppure giustificate dal raggiungimento di un qualsiasi risultato.
È un fronte, quest’altro, anche meno provvisto di argomenti solidi e anche più ostile alle evidenze di fatto. Che andrebbero messe in fila.
Innanzitutto, in una situazione oggettivamente difficilissima sia a causa del potere ricattatorio di Hamas, sia a causa delle impervie condizioni del campo di battaglia, sia a causa dell’inevitabile pressione esercitata dalle famiglie coinvolte, Israele ha recuperato l’80% degli ostaggi.
Il dato non allevia né la tragedia patita da quelli che sono rimasti molti mesi in prigionia, né quella di coloro che ancora vi stanno (per responsabilità di Hamas che non li libera, non certo per responsabilità di Israele che non è ancora riuscito a liberali).
Tantomeno quel dato può far cantare vittoria, considerando gli ostaggi che sono stati uccisi perché giustiziati dai rapitori, come è certo in molti casi, o perché – in ipotesi – vittime in occasione di operazioni belliche: nei due casi, tuttavia, sempre per responsabilità di chi li ha rapiti.
Ma il recupero di otto ostaggi su dieci, nella situazione data, è un fallimento solo per chi vuole vederlo.
Dall’inizio della guerra le formazioni terroristiche di Gaza sono state decapitate, con l’eliminazione dei capi assoluti e di una quantità di quadri.
Sono stati eliminati – alla luce di stime non irragionevoli, e in ogni caso mai smentite con documentate emergenze contrarie – dai 18 ai 25mila miliziani. Il fatto che ne siano stati arruolati altrettanti prova l’interesse israeliano a continuare nella propria azione, non certo il carattere fallimentare delle operazioni da 19 mesi a questa parte.
Ancora, il lancio di missili dalla Striscia è stato pressoché eliminato, con una flessione del numero dei lanci che supera il 95%.
Le capacità offensive del proxy iraniano in Libano, Hezbollah, sono state pesantemente compromesse, con la distruzione dei siti operativi e, anche lì, con la neutralizzazione dei vertici politico-militari dell’organizzazione.
La disarticolazione della minaccia libanese ha mandato all’aria il regime siriano, il cui esercito sostanzialmente cessava di esistere mentre Israele prendeva il controllo del Monte Hermon.
Il proxy yemenita ha subìto attacchi devastanti.
L’Iran, con un’economia devastata, ha visto violati i propri cieli senza saper opporre qualsiasi difesa contro gli attacchi aerei israeliani che hanno colpito pesantemente installazioni militari e infrastrutture di sostegno.
È quel che si dice una situazione rose e fiori? No: ma è tutto tranne che il quadro di una sconfitta.
L’accerchiamento poderoso cui Israele ha dovuto assistere nelle ultime settimane, con la comunità internazionale adunata a reclamare la cessazione delle iniziative belliche riprese con forza, non si spiega esaminando gli effetti dell’intervento militare sulla popolazione civile, che sono assai meno devastanti – pur restando ovviamente terribili – rispetto alle più risalenti fasi della guerra.
Non si spiega nemmeno alla luce delle ragioni umanitarie connesse al blocco degli aiuti, visto che questa maestosa mobilitazione si registra proprio mentre gli aiuti (sia pur in modo non ben organizzato, e sia pur in misura discutibile) ricominciano a entrare nella Striscia.
Si spiega altrimenti, quell’accerchiamento.
Si spiega perché è imminente, se non attuale, il rischio che Israele possa vincere la guerra scatenata da Hamas.
Si spiega perché la cosiddetta comunità internazionale non ha digerito la decisione israeliana – e pertanto vi si oppone energicamente – di non permettere che il proprio vicino possa ulteriormente essere una minaccia.
La comunità internazionale – questo è ovvio – non vuole necessariamente che lo Stato ebraico sia attaccato, ma pretende che Israele ne accetti il pericolo. Israele non lo accetta.
(Da: Il Riformista, 28.5.25)
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