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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Libero Rassegna Stampa
25.05.2025 Importiamo terroristi nelle università
Commento di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 25 maggio 2025
Pagina: 1/2
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «Il rischio più grande oggi è il jihadista della porta accanto»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 25/05/2025, a pag. 1/2, con il titolo "Il rischio più grande oggi è il jihadista della porta accanto", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Uno studente egiziano residente a Lecco e iscritto all'università di Milano, è stato arrestato perché preparava attentati. Il pericolo peggiore è quello del jihadisti della porta accanto, persone apparentemente innocue che colpiscono a tradimento. E pullulano perché le nostre università li attirano, li importano.

Che a sinistra si dicano spesso cose sconclusionate non è una gran notizia. Ma la faccenda si fa più seria quando, con una nonchalance che lascia di sasso, si aggiunge alla consueta insensatezza un tocco di irresponsabile pericolosità.
Così: deve esserci una specie di piacere perverso nel rischiare (...) di metterci tutti nei casini per il gusto di una dichiarazione, per il disturbo ossessivo-compulsivo che induce alcuni onorevoli a non privarci del loro pensierino quotidiano sulle agenzie e sui social.
Di che si tratta? Da una mezza giornata, è partito il tam tam per accogliere qui in Italia – così, genericamente, senza verifiche, “a prescindere” come avrebbe detto Totò – gli studenti stranieri, in particolare pro Pal e sostenitori della causa di Gaza, che dovessero avere problemi a Harvard o altrove. Vengano tutti qui, dicono alcuni fenomeni progressisti.
Ah sì? Anche quelli che – da mesi – hanno organizzato proteste violente? Anche quelli che, in America e altrove, si sono distinti in una specie di “caccia all’ebreo” nei campus? Sarebbero pure queste le “vittime” del “perfido Trump” a cui dovremmo immediatamente dare asilo? Roba da matti.
Poi, però, siccome il caso è un regista sopraffino e sa inventare coincidenze temporali altamente significative, proprio ieri – dalle nostre parti – è venuta fuori un’altra notizia. E qui si smette di sorridere.
Ecco i fatti: uno studente ventenne, egiziano, con casa a Lecco e studi universitari a Milano, nel tempo libero – mettiamola così – si dedicava alla propaganda islamista e a trafficare con la preparazione di ordigni esplosivi.
Ovviamente il tipo è stato arrestato. Ma non si può non rimanere preoccupati – nel mondo delle persone con la testa sulle spalle – davanti a un’evidenza: ormai il rischio è quello del “jihadista della porta accanto”. Non di uno che venga da un teatro di guerra in Medio Oriente, cioè un guerrigliero immediatamente riconoscibile come tale. No: un apparente bravo ragazzo, uno tutto casa e università, e che però (Internet offre infinite opzioni) si prepara a qualche atto spettacolare.
Una volta assemblando un kalashnikov, un’altra volta maneggiando materiale esplosivo, un’altra volta ancora – in modo ancora più rudimentale – agendo con i coltelli disponibili in casa. E sempre stando interconnesso con la fitta rete (fisica e social) della propaganda islamista.
In genere – per fortuna – questi terroristi “fai da te” hanno una preparazione limitata, e al primo confronto con le forze dell’ordine tendono ad avere la peggio (bene). O addirittura, com’è accaduto in questo caso, vengono beccati preventivamente grazie a un’indagine ben svolta.
Ma – ecco il punto – individuarli è come cercare un ago in un pagliaio. E – prima che vengano fermati – possono comunque fare molto male a qualcuno.
La domanda nasce dunque spontanea. Come si fa a non mettere in relazione questo rischio con le manifestazioni violente che – nei campus di mezzo mondo – sono state inscenate negli ultimi mesi? Intendiamoci: nessuno si sogna di dire che tutti i manifestanti siano dei potenziali violenti o dei violenti già conclamati. Questa sarebbe un’evidente sciocchezza. Ma dei violenti ci sono, però. E i fondamentalisti più pericolosi hanno tutto l’interesse (oltre che i mezzi e la capacità) per infiltrarsi in quei contesti, per condurre un reclutamento in un ambiente ideale, per radicalizzare i più facinorosi, insomma per determinare gli esiti più inquietanti.
Le nostre forze dell’ordine e i nostri servizi lavorano molto bene, sanno come e cosa monitorare.
Saggiamente, non sopravvalutano ma nemmeno sottovalutano tutti questi rischi. Ecco: che senso ha – invece – che in modo irresponsabile pezzi di sinistra politica e mediatica, per puro gusto di propaganda o per non rinunciare alla battuta del giorno, facciano finta di non capire i pericoli a cui siamo tutti esposti?

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