Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Trump nelle mani di Putin Commento di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 21 maggio 2025 Pagina: 19 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Putin e lo scacco alla Casa Bianca»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/05/2025, a pag. 19, con il titolo "Putin e lo scacco alla Casa Bianca", il commento di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Trump sta facendo il gioco di Putin. Con la sua trattativa continua (e inconcludente) permette al dittatore russo di proseguire e intensificare la guerra di invasione dell'Ucraina.
A quattro mesi dall’insediamento alla Casa Bianca il corteggiamento negoziale di Donald Trump nei confronti di Vladimir Putin non ha ancora portato a reali passi avanti verso la tregua in Ucraina ma un risultato c’è: fa emergere la volontà del Cremlino di non rinunciare alle ambizioni su Kiev né al disegno di modificare a proprio favore l’equilibrio di sicurezza in Europa. Trump deve ammettere che le offerte di grandi intese commerciali non hanno fatto breccia perché Putin continua a preferire il disegno strategico pan-russo alla realpolitik. Da qui lo scenario di un possibile passo indietro di Trump, con la conseguente incognita di un negoziato diretto russo-ucraino dagli esiti imprevedibili.
Le oltre due ore di telefonata Trump-Putin hanno evidenziato il corto circuito. Trump ha dato massimo risalto alla conversazione, parlando dallo studio ovale circondato dai collaboratori, facendola precedere e seguire da telefonate a partner e alleati, per concludere con l’annuncio di «negoziati diretti» senza mediazione Usa. Putin invece si è collegato da una scuola di Sochi, non ha modificato l’agenda, e ha respinto la richiesta di tregua avanzata a ripetizione da Trump, limitandosi a dirgli di aver gradito lo scambio di idee e promettendo di riproporre agli ucraini le condizioni del suomemorandum, ovvero il vassallaggio. Dunque, Putin continua a non fare concessioni, sente di avere il vento a favore.
La prova più evidente è nella reazione al piano Vance: la proposta del vicepresidente Usa consente a Mosca di mantenere il controllo praticamente di tutti i territori ucraini occupati dal 2014 con in più l’assicurazione che la Crimea resterà russa. Una sorta di vittoria totale, sul piano militare, e a Putin sarebbe bastato dire “accetto, grazie” per mettere in seria difficoltà il presidente ucraino Zelensky. Ma Putin non lo ha fatto, anzi, ha rilanciato, riproponendo le «condizioni offerte nel 2022» quando, poco dopo l’invasione, Mosca chiese a Kiev il disarmo e la neutralità, per sottometterla.
Questo significa che Putin mantiene intatto l’obiettivo strategico che lo portò ad aggredire l’Ucraina il 24 febbraio 2022 e sfrutta le aperture di Trump per rafforzarsi il più possibile: creando un cuneo politico fra Usa ed Europa, bersagliando l’Ucraina dal cielo con attacchi sempre più massicci e forse preparando un colpo di mano a Kiev o un’offensiva d’estate per travolgere il nemico grazie ai rinforzi della Nord Corea e alla mobilitazione di più contingenti.
Sebbene Trump si consideri il «maestro degli accordi» al momento sembra essere finito nelle mani di Putin. E in qualche maniera lui stesso lo ha ammesso, in un momento di sconforto, rivelando la sensazione di un Putin che «tira alle lunghe». C’è un dettaglio rivelatore del diverso approccio: Trump afferma che «questo è un conflitto nel quale ogni settimana le parti perdono migliaia di soldati» contando sulla volontà di entrambi di porre fine alla carneficina mentre la feroce battaglia di Bakhmut insegna che gli ufficiali russi non battono ciglio davanti a perdite ingenti.
Ma non è tutto, perché mentre Putin chiede agli ucraini di «iniziare a negoziare» continua a muovere le pedine sulla scacchiera europea in maniera aggressiva. Il rafforzamento della base di Kamenka a ridosso della Finlandia lascia intendere la volontà di portare instabilità non solo nel Mar Nero ma anche nel Mar Baltico. Tanto più che proprio la regione del Baltico è teatro d’azione della “flotta fantasma” di centinaia di petroliere di Paesi terzi che esportano illegalmente fino all’85 per cento del petrolio russo, evadendo le sanzioni internazionali e consentendo a Putin di finanziare la guerra. La decisione di Finlandia, Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania di valutare l’uscita dal Trattato di Ottawa, che mette al bando le mine antiuomo, dà la misura dei timori con cui osservano le mosse del Cremlino. Se a questo aggiungiamo la necessità da parte di Ue e Nato di proteggere dai sabotaggi russi i cavi sottomarini sui fondali del Baltico non è difficile arrivare a comprendere perché Helsinki sta costruendo lungo i 1.340 km di frontiera con la Russia fortificazioni significative, specchio della paura di essere destinati a subire un’aggressione diretta se Putin dovesse uscire vincitore dalla campagna ucraina.
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