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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Newsletter di Giulio Meotti Rassegna Stampa
19.05.2025 In Italia è bandito chi offende l'Islam e benvenuto chi vuole uccidere ebrei, atei e cristiani
Newsletter di Giulio Meotti

Testata: Newsletter di Giulio Meotti
Data: 19 maggio 2025
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «In Italia è bandito chi offende l'Islam e benvenuto chi vuole uccidere ebrei, atei e cristiani»

Riprendiamo l'articolo di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "In Italia è bandito chi offende l'Islam e benvenuto chi vuole uccidere ebrei, atei e cristiani". 


Giulio Meotti

Tempi strani.

In un college liberal in California, dove nacque il movimento del free speech, doveva parlare Salman Rushdie, lo scrittore che dal 1989 vive con una condanna a morte, una fatwa iraniana da 4 milioni di dollari e a cui un sicario di Teheran ha tolto un occhio due anni fa. Ma Rushdie non parlerà mai all’università: i gruppi studenteschi, che sono diventati il ventre molle e perfido dell’Occidente, lo hanno accusato di “islamofobia” e di “parlar male dei palestinesi” (“uno stato palestinese sarebbe come i Talebani” ha detto Rushdie, a ragione).

Dove non riesce la fatwa di Khomeini arrivano i censori woke.

Tempi strani quelli in cui si manda al macero il libro che parla di nuova censura con tanto di atto vandalico contro la sede delle edizioni che alla fine hanno fatto uscire il libro sul woke.

Se anche le università più prestigiose del mondo sembrano una succursale di una repubblica islamica, se si distruggono i libri neanche fossimo in Unione Sovietica e se al Parlamento francese la sinistra vota contro la liberazione del romanziere algerino Boualem Sansal, perché le autorità dovrebbero agire diversamente in barba a democrazia, libertà di parola e stato di diritto?

Due anni fa, a Brescia, è arrivato ad arringare migliaia di musulmani “Sua Eminenza lo Sceicco Omar Abdelkafi”, uno dei leader dei Fratelli Musulmani, con tanto di presenza del vicario della diocesi al Brixia Forum. Abdelkafi ha definito l’11 settembre e la strage a Charlie Hebdo “una commedia”, oltre ad aver invitato a uccidere “tutti gli ebrei”.

Nessun presidio democratico del PD, nessuna polemica sui giornali, nessuno che dalla politica abbia sollevato il problema.

“Motivi di ordine pubblico”: questa è la ragione che ha appena portato invece all'espulsione dall'Italia di Rasmus Paludan, politico danese di destra, che ha bruciato il Corano in pubblico e che doveva partecipare a un incontro a Varese. A Malpensa, Paludan è stato prelevato e rimesso sul primo volo per Copenaghen. Il sindaco di Gallarate Andrea Cassani, resistendo ad attacchi e pressioni, ha assicurato lo svolgimento della conferenza.

Per lo stesso motivo l’Inghilterra ha appena impedito l’ingresso allo scrittore Renaud Camus, francese e critico dell’immigrazione.

Di Camus sono amico, mentre Paludan non è il tipo con cui prenderei un caffè discutendo di Europa, cultura e libertà nonostante tutti i danesi che avevano “offeso l’Islam” e che ho intervistato in questi anni.

Ma, a differenza di Abdelkafi, le cui idee sono assassine, il danese non ha invitato a uccidere nessuno, l’unica cosa che ha “ferito” è un libro, mentre Al Qaeda lo ha messo nella lista di persone da eliminare. E l’unico morto nella querelle coranica è stato in Svezia un rifugiato cristiano iracheno, assassinato in diretta streaming e su cui è calato subito il silenzio dell’oltretomba delle autorità e dei media.

Se ci arrendiamo alla logica censoria, finiremo per vivere secondo le regole iraniane e lo stiamo già vedendo in Europa. O per dirla con Izabella Tabarovsky, ricercatrice del Wilson Center, negli Stati Uniti, e nata in Unione Sovietica, “è di vitale importanza per noi ascoltare ciò che dice e scrive chi viene da regimi comunisti. Hanno vissuto l'intimidazione personale, la propaganda politica, il lavaggio del cervello nelle scuole e nelle università, il terrore intellettuale per una parola, un libro o un'idea ‘sbagliata’. E oggi vedono - pericolosamente - la stessa censura e repressione del dissenso ripetersi nelle democrazie occidentali. Sanno meglio di noi, che siamo cresciuti nella bambagia, cosa significa la libertà di pensiero e il prezzo che dobbiamo pagare per difenderla”.

Un’ora di auto separa Brescia e Varese, ma la distanza fra i casi Abdelkafi e Paludan non si misura in chilometri, ma in gradi di sottomissione.

Il sindaco di Milano, Beppe Sala, è lieto che Paludan non abbia potuto disturbare la pace multiculturale lombarda. La stessa Milano democratica, antifascista e progressista che lascia che tizi col passamontagna dei terroristi inneggino alla Jihad pregando per strada? Quanto a Varese, da anni è al centro delle inchieste per terrorismo. Io mi preoccuperei di loro, più che del danese.

E mi preoccuperei più di chi ci fa il taglio della gola nelle strade.

Nei “moti di Pasqua 2022”, numerose città svedesi (Linköping, Norrköping, Rinkeby, Örebro, Landskrona e Malmö) sono finite nel caos per le manifestazioni contro Paludan. La giornalista Paulina Neuding scrive quanto successo: “Centinaia di uomini mascherati che lanciano pietre alla polizia, autobus della polizia dirottati da criminali, uomini che distruggono auto, tentativi di omicidio con molotov contro un autobus che costringe i passeggeri a fuggire, una scuola in fiamme, violenze contro soccorritori, poliziotti feriti e terrorizzati”.

“Voi bruciate il nostro libro, noi bruciamo le vostre scuole”: è così? E a noi sta bene? Abbiamo accettato la logica islamista.

Ahmed Al Tayeb, una laurea alla Sorbona di Parigi, ottima conoscenza di francese e inglese, con Papa Francesco firmatario di un accordo sulla “fratellanza tra cristiani e musulmani”, ha ordinato la Jihad contro Israele, ha legittimato il terrorismo contro i civili israeliani sulla base del Corano e chiesto la morte degli “apostati”, i musulmani che si convertono al Cristianesimo.

Per lui, come per Abdelkafi, nessuno ha pensato di chiudere le porte dell’Italia.

La presidente della Camera, Laura Boldrini, nell’invitare Tayeb a Montecitorio lo ha definito persino una “figura di rilievo nell'indispensabile azione di contrasto al dilagare del terrorismo e alla strumentalizzazione estremista della fede”.

Lo spirito di 1984 di Orwell aleggia oggi tra certi progressisti.

Intanto siamo pieni di religiosi islamici che chiamano alla Jihad, come l’imam di Pisa che ha incitato al terrore, ma per loro lo stato di diritto vale con tutti i crismi.

E se alla Sapienza hanno appena presentato il libro del leader di Hamas, il tagliagole Yahya Sinwar, con tanto di presenza di professori dell’ateneo romano, alla Statale di Milano è arrivato il libro che inneggia al terrorismo.

In questo caso hanno evocato la libertà di parola per dare la parola a uno stragista di massa di innocenti. Non dovrebbe essere reato diffondere libri e idee di leader di organizzazioni terroristiche?

Ordine pubblico? Incitamento all’odio? Rispetto? Dipende dunque. E per chi viene minacciato, si arrangi come disse l’allora premier Romano Prodi alla domanda se fosse preoccupato per le minacce di morte a Papa Ratzinger per la lectio di Ratisbona: “Ci penseranno le sue guardie”.

La “pace sociale” che invochiamo per proteggere il multiculturalismo suona tanto come “la pace per il nostro tempo” di Neville Chamberlain al ritorno in Gran Bretagna da Monaco, passata alla storia come simbolo di acquiescenza alla sottomissione.

 

“Il problema della libertà di parola in Europa”: The Economist scuote l'immagine morale dell'Europa. In un articolo di copertina pieno di accuse precise, la celebre rivista delle élite anglosassoni mostra come le democrazie occidentali abbiano eretto una rete di repressione statale contro la libertà di parola sotto l'egida della tolleranza. Quando la principale rivista del liberalismo globale lancia un attacco alla situazione della libertà di parola in Europa, tutti i campanelli d'allarme dovrebbero suonare. Ciò che viene perpetrato sotto la bandiera del "discorso d'odio" o della "responsabilità sociale" è, in realtà, una dimostrazione autoritaria di potere da parte della classe politico-culturale contro i suoi critici. Questo crea una "spirale di tabù", dice l'Economist: più gruppi rivendicano diritti speciali, più argomenti scompaiono dalla sfera pubblica. Migrazione, religione, politica di genere: chiunque si discosti da queste regole vive in pericolo. Prevale un clima di intimidazione. Questo non è un progresso; è la ricaduta nel pensiero autoritario. L'Economist ne trae una conclusione radicale: "'Incitamento all'odio' è un termine così vago che dovrebbe essere abolito".

Il risultato, scrive l’Economist, è che gli europei non dicono più quel che pensano.

Intanto leggo una storia edificante sui giornali italiani. La notizia della espulsione di Kasia Wlaszczyk dalla Germania. Viene definita “cittadina polacca”. Kasia è transgender e urla in piazza “Palestina libera dal fiume al mare”, come fa Hamas, oltre ad aver dato di “fascista” ai poliziotti tedeschi. Tempi strani davvero, povera Kasia, che lotta in favore dei terroristi che la strangolerebbero senza pensarci due volte come ha fatto Sinwar, mentre i “fascisti” e i “sionisti” che tanto odia le salverebbero la vita.

Ma la libertà non sembra valere più molto in Occidente: siamo in mano a gente inutile che crede che per dimostrare coraggio basti fare un minuto di silenzio.


giuliomeotti@hotmail.com

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