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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Bet Magazine Rassegna Stampa
17.05.2025 Due attivisti gazawi al Senato, a cura di Sharon Nizza
Commento di Sofia Tranchina

Testata: Bet Magazine
Data: 17 maggio 2025
Pagina: 13
Autore: Sofia Tranchina
Titolo: «Voci da Gaza: due attivisti gazawi al Senato italiano. L’evento promosso da Italia Viva»

Riprendiamo da BET Magazine, numero di maggio 2025, a pagina 13, con il titolo "Voci da Gaza: due attivisti gazawi al Senato italiano. L’evento promosso da Italia Viva", il commento di Sofia Tranchina.

Attivisti di Gaza in Senato, presentati da Sharon Nizza, in una iniziativa di Italia Viva. Non tutti i gazawi sono sostenitori di Hamas. Ci sono anche i pacifisti (autentici) che chiedono la fine della guerra contro Israele e il rilascio degli ostaggi.

Mentre la Striscia di Gaza continua a essere raccontata in bianco e nero, schiacciata tra l’orrore della guerra e la propaganda, il 16 aprile a Roma, al Senato della Repubblica, si è aperto un dialogo indispensabile con la società civile palestinese. Il convegno “Voci da Gaza. La fine del regime di Hamas è la premessa per il cessate il fuoco”, promosso dal senatore Ivan Scalfarotto (Italia Viva), ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica italiana, nella sede istituzionale più alta dello Stato, il dissenso interno alla popolazione di Gaza.

Due attivisti palestinesi – Hamza Howidy, fondatore nel 2019 del movimento Bidna Naish (“Vogliamo vivere”), e Mohammed, co-promotore delle attuali proteste anti-Hamas – hanno raccontato ciò che in pochi vogliono vedere: la ribellione, rischiosa ma viva, di una parte della popolazione gazawi contro il dominio violento del movimento islamista.

A moderare l’evento è stata la giornalista Sharon Nizza, autrice del libro 7 ottobre 2023. Israele, il giorno più lungo, che ha riportato le crescenti accuse dei gazawi contro Al Jazeera, colpevole, secondo molti manifestanti, di aver ignorato le prime proteste anti-Hamas: “Dove sei, Al Jazeera?”, chiedevano in piazza. La rete qatariota ha atteso oltre 24 ore per riportare la notizia, e quando l’ha fatto, ha sminuito la portata dell’evento.

Il 15 aprile, all’Università La Sapienza di Roma, Hamza Howidy ha portato la sua testimonianza in un altro dibattito organizzato dall’ateneo, intitolato ‘Quale futuro per Gaza’. Sono intervenuti: Filippo Rigonat (studente di scienze politiche La Sapienza), Giovanna Reanda (direttrice di Radio Radicale), Hamza Howidy (attivista per i diritti umani a Gaza), Alessandra Tarquini (professoressa), Piercamillo Falasca (direttore de L’Europeista).

“Sono nato a Gaza nel 1997. Ho vissuto sotto assedio a Gaza City e ho vissuto sulla mia pelle le conseguenze del conflitto israelo-palestinese – ha spiegato Hamza Howidy -. Quando Hamas ha preso il potere con un colpo di Stato, vedevo persone buttate giù dai tetti dei palazzi e non capivo cosa stesse succedendo. A Gaza non potevamo dire nulla. Dovevamo solo accettare Hamas. Abbiamo sopportato per 18 anni, finché, con un gruppo di amici, abbiamo fondato il movimento Vogliamo vivere. Da allora sono stato arrestato e torturato due volte.”

Dopo aver lasciato Gaza un mese prima del 7 ottobre, Hamza ha ripreso il suo attivismo dall’esilio, con l’intento di far sapere al mondo che non tutto il popolo gazawi sostiene Hamas: “Quello che noi di Vogliamo vivere cerchiamo è un futuro diverso: la fine della guerra, la liberazione degli ostaggi, un nuovo governo, e la possibilità di costruire uno Stato sovrano e indipendente accanto a Israele.”

Sì, Hamas fu anche eletta, ma, come ha ricordato Mohammed all’epoca si proponeva “come unica alternativa a un’autorità nazionale palestinese corrotta, con riforme e cambiamento. Il popolo sperava che, dopo la seconda Intifada, venissero costruite nuove istituzioni. Ma è stato ingannato. Dal 2007 non si tengono più elezioni. Non è logico rendere un popolo responsabile di elezioni svolte 18 anni fa. Non si può far pagare a un’intera popolazione le scelte di un governo criminale.”
 Mohammed ha anche riferito che questa settimana miliziani di Hamas hanno fatto irruzione nell’ospedale di Amal, nonostante le proteste dei medici:
 “L’importante è che i popoli europei capiscano che esiste una realtà sociale che vive sotto l’oppressione di Hamas.”

Mohammed, collegato dalla Striscia di Gaza, ha parlato a volto censurato per ragioni di sicurezza. La sua testimonianza ha mostrato l’eroismo quotidiano di chi, nonostante la paura e nonostante le difficoltà imposte dall’embargo israeliano che non fa entrare aiuti umanitari nella Striscia, scende in strada a protestare. Proprio il giorno prima, ha raccontato, le proteste si sono riaccese a Beit Lahia, dopo che Hamas ha rifiutato la proposta egiziana, sostenuta dagli Stati Uniti, di disarmo come condizione per il cessate il fuoco.

“Le armi di Hamas vengono usate prima di tutto contro il popolo palestinese. Ancora una volta, Hamas ha preferito negoziare per sé stessa, a discapito delle migliaia di vittime gazawe. I manifestanti oggi hanno sventolato bandiere egiziane per ringraziare Il Cairo della richiesta di disarmo.”

Hamza e Mohammed hanno denunciato la sistematica repressione del regime: manifestanti torturati, uccisi, arrestati. E hanno ricordato come già nel 2019 e nel 2023 la popolazione avesse dato segnali di insofferenza ignorati dalla comunità internazionale: “Se ci avessero ascoltati allora,” ha detto Hamza, “forse avremmo evitato l’attacco del 7 ottobre. Ma nessuno ha parlato. Questo ci fa sentire isolati.”

Il valore politico dell’iniziativa è stato rafforzato dagli interventi di parlamentari di diversi schieramenti.

Ivan Scalfarotto ha denunciato quanto sia stato breve il tempo della solidarietà verso Israele dopo il 7 ottobre, e la distorsione del racconto occidentale nei giorni seguenti: “Le vittime sono state trasformate in carnefici. Abbiamo avuto leader politici che hanno chiesto agli ebrei italiani – qualificati prima come ebrei, e solo poi come italiani – di dissociarsi da Israele”.

Lucio Malan, di Fratelli d’Italia, ha elogiato il coraggio dei manifestanti gazawi e ha ricordato le vere motivazioni dietro l’attacco del 7 ottobre: “è chiaro che l’obiettivo di Hamas, quando ha intrapreso il 7 ottobre per uccidere il maggior numero possibile di israeliani (non obbiettivi militari, ma civili), non era di migliorare la vita dei gazawi, ma di sabotare gli Accordi di Abramo tra Israele e l’Arabia Saudita”. Inoltre ha denunciato il cinismo spietato dei leader di Hamas che non si trovano a Gaza, ma altrove, al sicuro, “e non rischiavano niente mentre mandavano il popolo gazawi al macello”. Cinismo reso evidente dal fatto che, nonostante copiosi aiuti economici internazionali ricevuti negli ultimi vent’anni (da quando Sharon impose il ritiro unilaterale israeliano da Gaza per permettere ai gazawi di auto amministrarsi), a Gaza non è stato costruito nemmeno un rifugio antiaereo per i civili. Solo tunnel, per proteggere i miliziani di Hamas.

Piero Fassino, deputato del Partito Democratico, ha sottolineato l’importanza di superare una visione manichea del conflitto, ricordando l’esistenza di una società civile attiva sia in Israele che a Gaza: “Non esistono solo Hamas e Netanyahu. C’è una società civile, in Israele e a Gaza, che chiede pace e verità. In Israele esiste una forte opposizione e movimenti civili già attivi prima della guerra, e a Gaza c’è un popolo che non si riconosce più in Hamas.” Ha poi lanciato un’interrogazione diretta: “Se ci fosse qui un funzionario dell’UNRWA, chiederei: com’è possibile che non vi siate accorti dei tunnel costruiti sotto le vostre scuole? O, piuttosto, vi siete accorti e avete deciso di non dire nulla?” Infine, Fassino ha concluso con una riflessione amara sulla paralisi politica attuale: “L’accordo di pace non si fa perché né Bibi né Hamas lo vogliono. Entrambi preferiscono che la guerra continui.”

A emergere con forza è stata la denuncia dell’ipocrisia internazionale: il Qatar, al seguito dei Fratelli Musulmani, finanzia Hamas e ne sostiene la propaganda attraverso Al Jazeera; l’Occidente – disattento o ingannato – ha ignorato i movimenti civili. “I media danno l’impressione che due milioni di gazawi sostengano Hamas,” ha detto Hamza, “ma non è corretto.”

Alla domanda di Sharon Nizza su quale possa essere una leadership alternativa dopo il disarmo di Hamas, Hamza ha proposto “una Autorità palestinese transitoria, sostenuta da un’unione di forze arabe. L’Arabia Saudita può fornire le risorse per la ricostruzione; l’Egitto può garantire la sicurezza e guidare il disarmo di Hamas. Servono programmi di formazione e deradicalizzazione come quelli già attuati negli Emirati. Gli Accordi di Abramo potrebbero essere la base per un nuovo accordo di pace tra Israele e Palestina, con Gerusalemme come capitale comune.”

In un panorama mediatico spesso appiattito o polarizzato, la scelta di Italia Viva di portare queste voci in Senato ha un valore politico e morale non trascurabile. È stata una scelta coraggiosa, che ha restituito complessità a un conflitto troppo spesso ridotto a slogan. Una finestra su una realtà sociale oppressa e dimenticata, dove la gente scende in piazza, a mani nude, contro un potere che li governa con la paura. È stata data l’occasione a due attivisti gazawi di parlare, uno dall’esilio, uno da Gaza, con la speranza che ciò induca a una maggiore attenzione dei media e a un’azione politica concreta.

 

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