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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero Rassegna Stampa
16.05.2025 Unione Europa ormai ridotta
Commento di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 16 maggio 2025
Pagina: 1
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «L’Unione europea è ormai ridotta a illusione ottica. Non è una notizia del tutto cattiva»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 16/05/2025, a pag. 1, con il titolo "L’Unione europea è ormai ridotta a illusione ottica. Non è una notizia del tutto cattiva", l'editoriale di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Il parlamento europeo, come le altre istituzioni dell'Ue, è ormai un'illusione ottica. Ognuno fa già per conto suo. E non è una cattiva notizia, considerando che, ad esempio, la politica estera europea ha come unico obiettivo che mette tutti d'accordo l'odio per Israele.

Un’illusione ottica. Anzi, peggio: una serie di orpelli pomposi e decorativi, dalla bandiera all’inno. Più – quello non manca davvero – un pesantissimo catafalco burocratico, dal mastodontico apparato della Commissione passando per un Parlamento che ha due sedi tra Bruxelles e Strasburgo ma (quasi) zero poteri.
Ecco, la grande retorica dell’Ue è ridotta a questo, con rispetto parlando: tutti fanno finta che esista, non mancano mai altissimi elogi formali, ma nella sostanza l’Ue non esiste più. Sopravvive - appunto - come illusione ottica, come costo per i contribuenti e insieme come finzione visiva (in questo caso: come fictio giuridica e istituzionale), ma nei fatti non ci crede più nessuno.
Non ci credono gli eurocritici, e questo è perfino ovvio. Ma non ci credono più nemmeno gli eurolirici, i dogmatici della religione europeista.
Prendi Emmanuel Macron: palesemente, si muove e parla come se l’Ue non esistesse più, e come se l’unico obiettivo fosse (e infatti per lui lo è) riaffermare la grandeur francese, anche usando la carta nucleare come fattore per una mini-egemonia in Europa. Non ci crede nemmeno il neocancelliere tedesco Merz, tutto impegnato tra Parigi e Varsavia, in una logica di geometrie di politica estera tutte concepite in chiave di centralità tedesca.
Le stesse regole esistenti europee (per quanto sbagliate, contorte, inefficienti, illiberali: qui su Libero le abbiamo criticate migliaia di volte) ormai non le segue più nessuno. Ognuno si muove come se non ci fosse una Commissione (quella della fragile e azzoppata von der Leyen), come se non ci fosse un Consiglio, come se non ci fossero 27 membri. Ovunque è caos, approssimazione, informalità: il tutto accompagnato da un dibattito abbastanza surreale sul cambiamento delle regole stesse. Ma se non sono seguite quelle di oggi, perché dovrebbero esserlo quelle da scrivere domani?
E allora è venuto il momento di prendere atto di una realtà che è sotto i nostri occhi: “il re è nudo”, l’esperimento è naufragato, e forse è il caso di compiere tutti insieme questa onesta e leale constatazione.
Sono tornate le nazioni (e questo è per tanti versi un bene); è svanita la prospettiva del super-Stato (e questo è ottimo). E così delle due l’una: si può continuare a invocare una assurda verticalizzazione in capo a Bruxelles (che però i popoli non vogliono, come mostrano ad ogni elezione), oppure si potrebbe ragionevolmente prendere atto di una sola strada praticabile, e cioè limitarsi a una libera cooperazione tra nazioni sovrane.
Ci sono cose che si possono fare bene insieme (c’è un grande mercato europeo che rappresenta una oggettiva opportunità); ci sono cose che si possono fare collaborando in ambito Nato (un rafforzamento della difesa, ma senza pretese di un esercito europeo a guida franco-tedesca e scollegato dall’Alleanza atlantica); e ci sono molte altre cose (la maggioranza) rispetto alle quali conta e conterà la dimensione nazionale, quella per cui i cittadini votano e su cui possono esercitare il loro diretto controllo democratico.
È dunque venuto il momento di non considerare più l’Ue come una gabbia esclusiva, ma solo come uno dei possibili ambiti in cui dovrà dispiegarsi la nostra iniziativa politica ed economica. E per il resto – vale in primo luogo per l’Italia – c’è da muoversi a tutto campo. C’è da relazionarsi con Washington, con Londra, con Gerusalemme, con Riad (non solo con Bruxelles-Parigi-Berlino); c’è da immaginare (Piano Mattei) un nostro protagonismo in Nord Africa e nel Mediterraneo, ma pure - su un altro versante - nel rapporto con l’India.
C’è da far tesoro di un player di valenza eccezionale come l’Eni. C’è da sfruttare ogni possibile corridoio per le nostre merci e le nostre filiere produttive.
E poi diciamocelo: da parte di troppi altri c’è il tentativo di arginare Roma, di bypassare il ruolo che il governo italiano si è ritagliato o potrebbe ritagliarsi. Tutte ragioni – ci mancherebbe – per rispettare molto Francia e Germania. Ma anche per non farci dettare proprio niente da Parigi e da Berlino. 

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