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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Informazione Corretta Rassegna Stampa
15.05.2025 Per Trump Israele è una pedina come le altre nel Medio Oriente
Commento di Antonio Donno

Testata: Informazione Corretta
Data: 15 maggio 2025
Pagina: 1
Autore: Antonio Donno
Titolo: «Per Trump Israele è una pedina come le altre nel Medio Oriente»

Per Trump Israele è una pedina come le altre nel Medio Oriente
Commento di Antonio Donno

Relazione speciale addio? Con l'accordo con gli Houthi e il fatto che non si escluda più un colloquio fra Usa e Hamas, Trump ha fatto capire a chiare lettere che Israele non ha più rapporti privilegiati fra gli alleati e gli interlocutori del Medio Oriente. E questo sarà un pericolo per Israele, in futuro.

Israele fa parte dei Paesi con i quali Trump ha normali rapporti diplomatici e politici, cioè è uscito dalla sfera dei Paesi che hanno goduto finora di una particolare attenzione da parte dei presidenti americani per la sua particolare funzione in seno al sistema politico dell’area mediorientale, un sistema tradizionalmente complesso nel quadro dei rapporti internazionali. In quella complessità politico-militare lo Stato ebraico ha svolto per decenni la funzione di difesa avanzata del mondo libero, cioè del mondo occidentale, in una regione nella quale i valori democratici erano inesistenti. Oggi Israele è una delle tante pedine del gioco diplomatico americano nel Medio Oriente. Lo era già, in parte, ai tempi di Biden, il che vuol dire che d’ora in poi è destinato a svolgere un ruolo paritario, forse in alcuni casi secondario, rispetto agli altri attori della regione.

     In risposta agli attacchi di Hamas, Israele aveva costretto il gruppo terroristico a rinchiudersi all’interno della Striscia di Gaza. A quel punto, Trump aveva sollecitato Israele a completare l’opera eliminando completamente Hamas, per poi fare marcia indietro nel momento in cui ha dato inizio ad una sistematica svolta politica americana all’interno dell’area mediorientale. In fondo, l’accordo con gli Houthi, posizionati all’ingresso del Mar Rosso, sta a dimostrare che Washington ha bisogno di mano libera in quel passaggio marittimo strategico per ampliare la propria capacità a controllare il Medio Oriente partendo da sud. Ma l’accordo era solo con gli Stati Uniti e ciò ha un’evidenza palmare. Gli Houthi hanno ben compreso che il progetto mediorientale di Trump ha una valenza paritaria per tutti gli attori della regione e che Israele, cui gli Houthi non concedono il passaggio dallo Stretto di Bab-el-Mandeb, non rientra più nelle priorità politiche e militari degli Stati Uniti, ma è soltanto uno dei fattori che costituiscono l’impianto politico del Medio Oriente.

     Del resto, la liberazione dell’ostaggio americano nelle mani di Hamas, Edan Alexander, potrebbe significare che nel programma mediorientale di Trump un accordo con Hamas non sarebbe da escludere, il che costituirebbe un evento molto negativo per Israele. Intanto, Israele si prepara ad un attacco via terra nella Striscia di Gaza, in cui Hamas tiene prigionieri diversi ostaggi israeliani. Prima di questa eventualità, si parla della possibilità di 40 giorni di tregua e scambio di ostaggi israeliani con prigionieri palestinesi. Il voltafaccia di Trump nei confronti di Israele a proposito dell’attacco decisivo israeliano contro Hamas nella Striscia di Gaza, in un primo momento avallato ed ora negato, conferma la nuova strategia che Trump intende mettere in atto nella regione, a cominciare da un trattato Stati Uniti-Iran.

     Questo è un punto cruciale della politica del presidente americano nel Medio Oriente. La visione paritaria di Trump verso gli attori politici del Medio Oriente parte dalla conclusione di un accordo con l’Iran, il cui potere sui gruppi terroristici della regione ha un peso decisivo per un assetto complessivo dell’area che Trump vuole “normalizzare”. Nel progetto del presidente americano, dunque, Israele è soltanto una parte, seppur non marginale, di una visione generale dell’area. Netanyahu ha compreso che il suo Paese non ha più un ruolo primario nella politica mediorientale americana, come ai tempi del primo mandato presidenziale americano, quando Trump aveva Israele al centro della sua valutazione politica dello scenario della regione e si era ritirato – era il 2018 – dal trattato sul nucleare stipulato con gli ayatollah iraniani.

     Israele è un Paese isolato nello quadro complessivo del Medio Oriente. Gli Accordi di Abramo, fortemente voluti da Trump, sono ancora in vigore, ma la nuova politica mediorientale del presidente americano tende, oggi, a porre quegli accordi in un quadro più generale, che possiamo definire composto da più problematiche di eguale peso politico. Per ora, le trattative in corso con il regime degli ayatollah rivestono una funzione centrale nella politica di Trump e Israele è un attore di second’ordine in questo quadro in evoluzione.

         Così sembra, almeno, in attesa degli sviluppi dell’azione di Trump in un contesto tradizionalmente difficile come quello mediorientale. Comunque, se Trump riuscisse a convincere l’Arabia Saudita a partecipare agli Accordi di Abramo, questo esito avrebbe una rilevanza molto positiva, anche per Gerusalemme.

Antonio Donno
Antonio Donno


takinut3@gmail.com

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