Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
Elly e Kamala identiche Editoriale di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 07 agosto 2024 Pagina: 1/10 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «Diritti, minoranze e demonizzazione dell'avversario: la Schlein sposa il modello Harris di lotta politica»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 07/08/2024, a pag. 1/10, con il titolo "Diritti, minoranze e demonizzazione dell'avversario: la Schlein sposa il modello Harris di lotta politica", l'editoriale di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Kamala Harris si sposta ancora di più a sinistra con la scelta di un estremista come vice, Tim Walz del Minnesota. Ormai la deriva del Partito Democratico, americano così come quello italiano, è segnata: non cercano nemmeno più di attrarre il voto dei moderati, ma solo di eccitare la base della sinistra. E in politica estera si posizionano per la Palestina e contro Israele.
Da qui al 5 novembre, data delle elezioni americane, chi vorrà potrà dedicarsi a un utile ripasso di inglese e constatarlo direttamente, senza bisogno di mediazioni: assisteremo a una quasi totale sovrapponibilità tra i toni e le strategie della campagna elettorale di Kamala Harris e quelli – qui in Italia – di Elly Schlein e della variopinta coalizione giallorossa che il Pd sta allestendo.
Con tre connotati ormai supercollaudati: demonizzazione assoluta del nemico (altro che dialogo tra avversari), schiacciamento totale a sinistra (altro che caccia agli swing voters, cioè agli elettori indipendenti), politica delle figurine identitarie (altro che costruzione di programmi razionali).
Sul primo fronte, è evidente che Giorgia Meloni sarà destinataria di quello che ormai possiamo chiamare “trattamento Trump” (auspicabilmente senza proiettili): una sistematica campagna di mostrificazione personale e politica che non deve risparmiare nulla, nemmeno la figlia e gli affetti familiari.
Poiché la logica è quella di chiamare a raccolta gli elettori di sinistra contro «Annibale alle porte», nessuna concessione al dialogo è possibile (vorrei dire: nemmeno al rispetto personale). Ogni giorno sentiremo ripetere che «la democrazia è in pericolo», il «rischio fascismo» conoscerà livelli parossistici di evocazione, e i media di accompagnamento (cioè quasi tutti) saranno parte essenziale di questo racconto.
Il secondo fronte è conseguenza diretta del primo: nessuno pensa (meno che mai tra i dem, statunitensi come italiani) che ci siano ormai voti “contendibili” o elettori incerti a cui rivolgersi: il che, qui da noi, è paradossale, visti i livelli complessivi di astensione che farebbero pensare a diverse aree sociali a cui potenzialmente attingere. No: l’unica logica sarà quella di appellarsi in modo ansiogeno e scomposto alla base di sinistra per agitarla-eccitarla-mobilitarla, tentando di comprimere la quota di astenuti (solo) in quell’area.
Il terzo elemento è un ulteriore corollario di questa deriva: identity politics spinta al massimo, nessuna attenzione all’allargamento del messaggio, radicalizzazione delle battaglie e del modo di proporle, ricorso a profili ad altissimo tasso identitario. La scelta che ieri Kamala Harris ha formalizzato per il suo compagno di corsa è altamente significativa: no al candidato ebreo, sì al candidato più filo-Islam; no al candidato più centrista, sì a quello più ambiguo rispetto alle manifestazioni di protesta degli anni passati.
Del resto, tornando alle nostre latitudini, la stessa Schlein trova i suoi veri modelli proprio nella sinistra americana, dove gli eccessi radicali dei dem stanno facendo danni inenarrabili. L’ultima ondata era partita alle già elezioni di midterm del 2018, con i democratici Usa e la loro grancassa mediatica che si erano messi a sgranare il rosario delle diversità etniche e di genere, rivendicando una specie di dream team multiculturale. Ecco i nuovi campioni: Alexandria Ocasio-Cortez, radici portoricane e narrazione ultra-sinistra (e già allora al suo attivo le prime dichiarazioni pro-Palestina e anti-Israele); Rashida Tlaib, la prima musulmana eletta in Congresso; Ilhan Omar, la prima rifugiata africana (con tanto di hijab); Sharice Davids, nativa americana e lesbica. Tutte storie e profili, secondo la ben nota analisi del politologo Mark Lilla, con il solito vizio di fondo della cosiddetta nuova sinistra: appassionarsi alle minoranze e dimenticare la maggioranza degli elettori. Peggio ancora: non solo la sinistra ha preso a concepire se stessa come sommatoria di campagne minoritarie, ma per lo più ha iniziato a condurle senza nemmeno l’ambizione culturale di parlare un linguaggio maggioritario.
La Schlein è figlia di tutto questo: giovane volontaria della campagna Obama, poi tifosissima della Ocasio-Cortez, la neosegretaria Pd è la trasposizione italiana (o italo-svizzera) di quel format politico. Frontiere spalancate, dirittismo spinto, spesa pubblica allegra.
Non a caso – negli Usa – tra le città peggio gestite ci sono San Francisco, Los Angeles, Chicago, tutte a loro modo vittime politiche di questa tendenza.
Si tratta della ben nota tecnica della creazione delle figurine, cioè di soggetti – ideati e prodotti, politicamente e mediaticamente, a sinistra – che servono in quanto entità esponenziali di una campagna, come simboli, come bandiere da far sventolare (di volta in volta: green, immigrazioniste, lgbt, e così via). Se va bene o finché va bene, c’è gloria per tutti. Quando va male, si ammaina la bandiera e se ne tira su un’al tra.
Ma intanto l’essenziale è usare tutto questo come una clava, nel modo più divisivo possibile, descrivendo gli altri (Trump o Meloni, poco cambia) come mostri, come nemici del popolo, come pericoli per una democrazia che con loro morirebbe ma che – miracolo! – in mano ai dem rifiorirebbe rigogliosa.
La posta in gioco è dunque altissima, molto più di una vittoria o una sconfitta alle elezioni: il tipo di impostazione dem, al di qua e al di là dell’Atlantico, è una nuova forma (solo apparentemente soft) di totalitarismo culturale e morale. Se si sta da una parte, si è nel perimetro del “pensiero accettato”: se invece si sta dall’altra, si è buttati nell’area dei paria, degli intoccabili, in una sorta di lebbrosario nemmeno troppo metaforico. Prospettiva inquietante.
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