Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 23/08/2022, a pag.15, con il titolo "In gabbia nel teatro di Mariupol pronto il processo agli Azov", l'analisi di Brunella Giovara.
In queste grandi gabbie da orsi (robuste, come si usava con le belve allo zoo) stanno per entrare 23 imputati del reggimento Azov, tutti già condannati a morte. Tutto è ormai pronto, il processo per terrorismo è imminente e potrebbe partire oggi o domani, per celebrare alla russa le odiate feste ucraine. La Giornata della bandiera, e il Giorno dell’indipendenza dall’Unione Sovietica. Perciò i saldatori arrivati da San Pietroburgo hanno lavorato senza fermarsi, per finire in tempo i gabbioni costruiti sul palco del teatro di Mariupol. Non quello distrutto il 17 marzo dai russi, con un bombardamento che ha ucciso 600 persone (ricordate, le cubitali e ingenue scritte “bambini”, per segnalare che dentro c’erano rifugiati civili, donne e figli piccoli). Quel Teatro Drammatico è tuttora inagibile, perciò per il processo è stato scelto un posto quasi gemello, il Filarmonico, rappezzato alla meglio per l’inizio del dibattimento. E per spiegare quanto sia importante questo “tribunale del popolo contro i nazisti di Azov”, per Putin e per l’opinione pubblica russa, bisogna dire che i ferri usati per costruire le gabbie arrivano direttamente dallo stabilimento Azovstal, dove i soldati ucraini hanno deposto le armi, consegnandosi così al nemico. Centinaia di metri di tondino semi arrugginito, saldato però con una certa perizia dagli operai di San Pietroburgo, dipendenti delle aziende scelte per la ricostruzione di Mariupol. Azovstal è già in smantellamento, così come l’altro stabilimento siderurgico della città, l’Ilicya. Migliaia di tonnellate di ferro e acciaio vengono caricate ogni giorno sui treni diretti in Russia, e il progetto prevede un grande parco divertimenti, con alcune zone residenziali affacciate sul mare. E in un complesso intreccio di simboli, anniversari e straordinarie coincidenze, come l’individuazione da parte russa della presunta responsabile dell’omicidio di Daria Dugina (una soldatessa diAzov, per pura combinazione), in questa congiuntura fatale si apre il processo del secolo, per Putin. Zelensky ha già detto che se davvero si farà, «non ci sarà trattativa possibile». Gli ha risposto ieri Denis Pushilin, presidente dell’autoproclamata Repubblica filorussa di Donetsk. «Tutti i criminali di guerra, in particolare i neonazisti del battaglione Azov, devono ricevere la punizione appropriata», ha detto alla tv di Stato russa. Spiegando che tutto è pronto, e che c’è materiale probante su 80 crimini, per cui sono imputati 23 militari, a vari livelli di importanza. Non sappiamo ancora se ci saranno i capi della resistenza ad Azovstal, ovvero Denys Prokopenko, detto Renis, e Serhiy Volynsky, comandante dei marines, che risultano detenuti a Mosca, nel carcere della Lubjanka. La loro presenza sarebbe un grande colpo mediatico, ma è certo che li porterebbero a Mariupol solo a una condizione. Se hanno confessato, sì. Se no, possono restare dove sono. Sappiamo infatti che molti dei 2.500 catturati ad Azovstal sono stati torturati, e alcuni hanno confessato quello che i torturatori volevano: «Abbiamo bombardato i civili, abbiamo ucciso noi i civili di Mariupol». Lo hanno raccontato ieri tre ex prigionieri, in una conferenza stampa a Kiev. Non saranno al processo perché sono in Ucraina, scambiati con prigionieri russi per via delle gravi ferite, nell’unico scambio finora avvenuto, a quel che si sa. Tutti e tre mutilati. «A noi infilavano gli aghi nelle piaghe… Oppure ci lasciavano giorni senza acqua», ha detto Vinceslav Javoronok, un giovane artigliere che ha il nome di battaglia Wikipedia, perché sa tutto, dicono i compagni. «Quelli sani subivano di peggio. Li pestavano per tre giorni, li torturavano in modi che non so, ma li vedevo quando li riportavano nelle baracche: erano mezzi morti». Per tutti, la domanda era: «Perché hai ucciso i civili?». La risposta era «voi avete ucciso i civili, non noi». Poi si ricominciava, tra botte e altre sevizie che non sono state raccontate. Qualcuno ha ceduto. Non Denis Chipuruk, detto Mango (senza un braccio): «Ci chiedevano di firmare il documento in cui confessavo ‘ho sparato ai bambini’. Oppure le accuse contro i nostri comandanti». E neanche Dmytro Usychenko, incursore, detto Visnia, ciliegia, ha firmato niente: arrivato il 18 marzo ad Azovstal su un elicottero, uscito 2 mesi dopo, deponendo le armi davanti ai russi. Ma ci sono almeno 23 soldati che infine hanno firmato il foglio, e con quello entreranno nei gabbioni. Avranno un difensore d’ufficio russo, che non dirà niente a loro favore, in quanto rei confessi. Non saranno protetti dalla Convenzione di Ginevra, perché il parlamento russo ha stabilito che i crimini commessi a Mariupol sono atti di terrorismo. C’è la pena di morte, quindi. Il processo è già fatto.
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