Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
Piero Fassino spaccia l'ipotesi superata dei due stati per una soluzione possibile La sua lettera a Repubblica
Testata: La Repubblica Data: 20 settembre 2021 Pagina: 25 Autore: Piero Fassino Titolo: «Spiragli in Medio Oriente»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 20/09/2021, a pag.25, con il titolo "Spiragli in Medio Oriente" lalettera di Piero Fassino.
Piero Fassino spaccia un'ipotesi superata - quella dei due stati - per una soluzione possibile. La ripropone in nome della pace, ma le sue posizioni si scontrano contro la dura realtà. E la realtà è che la leadership araba palestinese, sia a Ramallah sia a Gaza, ha sempre respinto qualsiasi piano di spartizione in nome di un solo slogan: "liberare la Palestina dal Giordano al mare", cioè distruggere Israele.
Ecco l'articolo:
Piero Fassino
Naftali Bennett, Joe Biden
Caro direttore,
dopo un decennio di stallo, primi segnali importanti di novità giungono dal Medio Oriente. Prima l’incontro tra il presidente palestinese Abu Mazen e il ministro della Difesa israeliano Gantz. Poi la presentazione da parte del ministro degli Esteri israeliano Lapid di un piano per la ricostruzione economica e sociale di Gaza. E infine l’incontro a Sharm el-Sheikh tra il presidente egiziano Al Sisi e il primo ministro israeliano Bennett, a dieci anni dall’ultimo vertice israelo-egiziano. E il governo israeliano ha approvato la costruzione in Cisgiordania di 900 unità abitative per la popolazione palestinese. Atti che cadono a un anno dagli Accordi di Abramo sottoscritti da Israele con Emirati Arabi Uniti e Bahrein. A cui sono seguite nuove relazioni di Israele con Marocco e Sudan. Insomma, le cose iniziano a muoversi e si può apprezzare il carattere di svolta che ha avuto la formazione di una nuova maggioranza politica che segna una discontinuità con Netanyahu e Likud. Discontinuità sottolineata anche dalla elezione a presidente di Israele di Isaac Herzog, un leader di netto profilo progressista. Si tratta di primi atti e una ripresa di un percorso negoziale tra israeliani e palestinesi non è ancora all’ordine del giorno. Le ferite prodotte in entrambi i campi dalla crisi di maggio sono ancora aperte; le politiche perseguite per anni da Netanyahu — l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, la giudeizzazione di Gerusalemme, il tentativo di annettere la Valle del Giordano — hanno scavato un solco di diffidenza; alla fragilità di Abu Mazen, indebolito anche dalle divisioni in Al Fatah, si contrappone la crescita del radicalismo di Hamas — che nello Statuto preconizza la distruzione di Israele — suscitando inquietudine nella società israeliana; la nuova maggioranza di governo israeliana comprende partiti di sinistra, centro e destra, laici e religiosi, che esprimono diversità di vedute sulla soluzione della questione palestinese.
Il contesto è ancora condizionato dai conflitti di questi anni. Ma proprio per questo non vanno sprecate le finestre di opportunità che si possono aprire, chiamando in causa la responsabilità della comunità internazionale. A giugno — quando i razzi di Hamas cadevano sulle case israeliane e Gaza subiva la reazione militare di Israele — la diplomazia internazionale si mobilitò per far tacere le armi e imporre il cessate il fuoco. Seguirono alcuni atti dell’amministrazione americana, con la visita del Segretario di Stato Blinken, l’annuncio dell’apertura del Consolato Usa a Gerusalemme Est e l’impegno a concorrere alla ricostruzione delle infrastrutture distrutte di Gaza. Via via però l’attenzione si è spenta, anche per l’emergere di altre crisi e il precipitare della vicenda afghana. Le ultime novità offrono uno spazio di iniziativa, sollecitando a rimettere in moto il Quartetto Onu-Usa-Ue-Russia, costituito anni fa proprio come gruppo di contatto capace di promuovere una ripresa di dialogo tra Israele e palestinesi per giungere a una soluzione di pace e stabilità capace di soddisfare le legittime aspirazioni di entrambi i popoli. D’altra parte è bene ricordare i trent’anni dalla Conferenza internazionale per la pace in Medio Oriente (Madrid, 1991) che segnò, per la prima volta dal 1948, il reciproco riconoscimento tra israeliani e palestinesi, avviando quel percorso negoziale che in soli due anni condusse ai colloqui di Oslo e agli accordi di Washington, sanciti dalla stretta di mano tra Rabin e Arafat sotto lo sguardo garante di Clinton. Quella volontà di pace si è affievolita, soffocata dal riemergere di pregiudizi, ostilità e conflitti. È tempo di riprendere l’unico cammino di pace possibile: dialogo e negoziato. Farlo compete in primo luogo alle parti in causa, ma è necessaria un’azione della comunità internazionale per incoraggiare e accompagnare israeliani e palestinesi in quel cammino.
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/ 49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante