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Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 15/07/2021, a pag.15, con il titolo "'Missione New York'. L’Iran voleva rapire la blogger dissidente", la cronaca di Gabriella Colarusso.
Gabriella Colarusso Ebrahim Raisi C’era un piano per rapire e riportare in Iran Masih Alinejad via Caracas, la capitale del Venezuela amico di Teheran. Masih Alinejad è una giornalista e attivista per i diritti umani iraniano-americana che vive da 12 anni negli Stati Uniti, a New York, fuggita dall’Iran nel 2009 dopo la rielezione di Ahmadinejad e la stretta repressiva decisa dall’ex presidente. Una corte federale di Manhattan ha incriminato quattro iraniani per aver messo in piedi un sistema di spionaggio della giornalista, che abita a Brooklyn insieme al marito e al figlio, cercando di procurarsi anche un motoscafo veloce di tipo militare per una possibile fuga via mare. I quattro imputati avevano pianificato «di portare con la forza la loro vittima designata in Iran, dove il suo destino sarebbe stato nel migliore dei casi incerto», ha dichiarato Audrey Strauss, il procuratore per il distretto meridionale di New York.
Masih Alinejad Gli agenti avrebbero assoldato investigatori privati per seguirla dicendo che si trattava di una persona fuggita da Dubai per non pagare un debito. L’Iran, attraverso il ministero degli Esteri, ha definito le accuse «ridicole e senza fondamento, da scenario hollywoodiano», ma dalla Casa Bianca è giunta una condanna «categorica» del tentato rapimento. In dieci anni Alinejad è diventata uno dei volti più noti dell’opposizione iraniana all’estero, una delle decine di attivisti anti-regime costretti a vivere in esilio perché il ritorno a Teheran potrebbe significare il carcere, se non una condanna a morte, come è successo pochi mesi fa a Ruhollah Zam, il giornalista riparato in Francia che è stato attirato in Turchia con una scusa, rapito e riportato a Teheran, dove è stato giustiziato per attività contro la Repubblica Islamica. Da sempre contraria all’accordo nucleare, è impegnata da tempo per l’abolizione del velo obbligatorio: nel 2017 lanciò i "mercoledì bianchi" incoraggiando le donne iraniane a togliersi l’hijab il mercoledì o a indossarne uno bianco in segno di protesta. A decine a Teheran e in altre città del Paese hanno sfidato i divieti e la polizia morale, e molte sono finite in carcere in alcuni casi insieme agli avvocati che le difendevano. Dopo la brutale repressione delle proteste del novembre 2019, in cui furono uccise almeno 300 persone secondo Amnesty International, Alinejad si è unita alla campagna per chiedere giustizia per le vittime e processi per i responsabili della repressione.
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