'Primo Levi: guida a Se questo è un uomo', di Alberto Cavaglion
Analisi di Giuliana Iurlano
 La copertina (Carocci ed.)
La copertina (Carocci ed.)
L’interessante saggio di Alberto Cavaglion, Primo Levi: guida a “Se questo è un uomo”  (Roma, Carocci, 2020, pp. 111), mette a fuoco la complessità dell’opera  di Primo Levi, la sua anomalia e, insieme, il suo fascino, dovuti  all’impossibilità di rinchiuderla in un genere specifico, ma anche  l’interscambiabilità dei linguaggi e delle voci, i richiami alla cultura  classica e alla letteratura internazionale, la sua “inattualità” (il  libro, infatti, fu inizialmente respinto dalle grandi case editrici  italiane). L’analisi di Cavaglion si snoda – con “selvaggia pazienza”,  per usare uno dei più enigmatici ossimori leviani – attraverso la genesi  del testo, le sue revisioni, le varie edizioni, le interviste, gli  articoli, seguendo il percorso anche interiore di Primo Levi in quel  mare magnum che è la letteratura dopo Auschwitz. Si tratta di un campo  “minato”, fatto di iniziali rifiuti all’ascolto e, insieme, di una  ricerca di scrittura che andasse oltre la memorialistica, che si  innalzasse in quel mondo letterario in cui anche le memorie più tragiche  assumono i contorni dell’universalità. 

Primo Levi
Contemporaneamente,  come sottolinea Cavaglion, mutava anche lo scrittore e, con lui, il  rapporto tra letteratura e scienza, con la rivincita di quest’ultima  sulla prima a partire dal 1963, dopo la pubblicazione de La tregua.  Insomma, la composita tessitura intertestuale di Se questo è un uomo  mostra una frattura nella biografia di Levi, una frattura che si  ripercuote nel modo in cui la sua opera fu accolta dopo la sua morte,  quando la poca considerazione anche del mondo accademico e del pubblico  si trasformò in un interesse talvolta sospetto e tendenzialmente diretto  a trasformarlo in “icona”. La “guida” di Cavaglion, invece,  ricostruisce passo dopo passo la tecnica della “riscrittura”, che Levi  applica in primo luogo a se stesso e poi a Se questo è un uomo,  rendendolo un vero e proprio macrotesto, in cui gli srotolamenti  all’indietro della vita dei personaggi, veri o inventati, sono frequenti  e prevedono sempre un doppio itinerario retrospettivo (dal presente del  Lager a Dante e da Dante alla Bibbia), attraverso una “Imitatio  Bibliae” e una “Imitatio Comediae”, che spesso si sovrappongono e si  confondono. 

Come  duale è spesso il linguaggio che Levi adopera, un duale simbolicamente  rappresentato dalla metafora dei Pesci dello zodiaco ed espresso “dai  prigionieri in marcia, fianco a fianco, pelle contro pelle” (p. 76). La  dualità viene rafforzata dalla contrapposizione geografica, dalla  dialettica delle posizioni-limite che definiscono i comportamenti umani  al di qua e al di là delle Alpi (per esempio, il soldato Steinlauf e der  Italeyner), ma contemporaneamente Levi sembra rifiutare le posizioni  estreme, muovendosi “tumultuosamente” tra coppie antitetiche di  aggettivi, tra ossimori da lui tanto amati e tra palindromi, che  consentivano una doppia lettura in due direzioni diverse, alla ricerca  di gradualità intermedie. Sicuramente, ci avverte Cavaglion, tra le  varie letture di Se questo è un uomo, vi è sicuramente anche quella di  considerarlo una sorta di “trattatello di moralità” (p. 61):  l’occorrenza di parole come “felicità” e “anima”, l’assonanza  “anima-anonima”, l’uso dei biblionimici anche per indicare stati d’animo  come metafore della condizione umana e, soprattutto, la messa a fuoco  leviana del processo degenerativo che riduce l’uomo alla materialità  grammaticale del “neutro singolare”, tutto ciò presenta quella  riflessione sulla felicità imperfetta, che – attraverso una serie di  ragionamenti concatenati – porterà Levi alla conclusione amara de I  sommersi e i salvati: “Si sono salvati i peggiori, i migliori sono stati  sommersi”.

Giuliana  Iurlano è Professore aggregato di Storia delle Relazioni Internazionali  presso l'Università del Salento. Collabora a Informazione Corretta