Novembre 1937, un banchetto al Cremlino
Diego Gabutti legge ‘L’Utopia e il Terrore’ di Karl Schlögel

Karl Schlögel, L’utopia e il terrore, Rizzoli 2016, pp. 824, 30,00 euro 
Novembre  1937, un banchetto al Cremlino. Stalin prende la parola al momento dei  brindisi. «È noto che Trockij è stato l’uomo più popolare del paese dopo  Lenin», dice il Padrone (così lo chiamano i seguaci). «Popolari erano  anche Bucharin, Zinov’ev, Rykov, Tomskij... Allora noi eravamo degli  sconosciuti. Io, Molotov, Vorošilov... All’epoca di Lenin noi eravamo  quelli che facevano il lavoro pratico». E adesso? Adesso noi siamo vivi,  e loro sono morti.  «Gli uomini che in passato “affettavano la salsiccia sulla carta di  giornale” oggi dispongono di un’autorità illimitata su case, automobili,  appartamenti, dacie, servitori». 
Nel 1937 ci sono loro a capotavola. Come racconta Karl Schlögel nel suo L’utopia e il terrore,  un grande reportage storico «nel cuore della Russia di Stalin», il 1937  non è un anno qualsiasi. È l’anno dei processi, delle fucilazioni, dei  colpi alla nuca, dei vecchi bolscevichi che «ammettono» d’essere stati  al servizio del Mikado, di Hitler e dei Rothschild, dell’Intelligence  inglese, dei fascisti spagnoli e che invocano per sé la pena di morte  (un po’ perché il partito ha le sue ragioni anche quando pretende  sacrifici umani e un po’ perché sperano che il Padrone sia di parola e  risparmi almeno i loro familiari, anche se per la speranza quell’anno  non è aria). Ma il 1937 è anche l’anno del giubileo di Puškin, delle  avventure degli aviatori e degli esploratori polari sovietici, delle  parate sportive (e delle fucilazioni) sulla Piazza Rossa, delle  manifestazioni di massa pro pena di morte per la feccia trockijsta, del  primo congresso panrusso degli architetti al quale partecipa anche Frank  Lloyd Wright, dei festeggiamenti al Bol’šoj per «i vent’anni della  Čeka», delle «crociere sul Volga» e delle «vacanze in Abcasia», dei film  d’avventura per i bambini (L’isola del tesoro, Biancheggia una vela solitaria). 
Inseparabili,  utopia e terrore s’alimentano l’una con l’altro, proiettando ombre  lunghe sull’intero paese, sulle vetrine dei negozi speciali di Mosca che  rigurgitano di merci e sulle campagne devastate dalla carestia, sulla  «stirpe di Stalin» che inneggia a «una vita finalmente felice» e sulla  forza lavoro di detenuti schiavizzati (ne muoiono decine e forse  centinaia di migliaia) che nel 1937 finisce di costruire il canale  Moscova-Volga. Anno del Grande terrore, per citare il saggio pionieristico di Robert  Conquest sull’epoca delle repressioni, il 1937 è l’anno in cui Andrej  Vyšinskij, il grande inquisitore stalinista, nega d’essere un  «nichilista del diritto» ma insiste per dare «forma giuridica al  terrore». Nega che, per condannare i trockijsti a morte, servano le  prove; bastano e avanzano le confessioni. Più che un giurista, Vyšinskij  è un romanziere pulp. È l’Edgar Wallace del terrore. Parla per ore  d’«avventurieri con identità multiple, documenti falsificati e  sconcertanti biografie» che si muovono «con abilità nelle grandi città  capitaliste. Esperti nell’uso d’inchiostro invisibile, venduti ai  servizi segreti delle potenze straniere, recapitano messaggi nascosti  nei tacchi delle scarpe». Un solo neo: «Terroristi esperti, stranamente  non riescono mai a mettere in atto alcun attentato». È dunque a quest’utopia – un mondo perfetto, in cui il romanzo è  diventato realtà, per metà musical socialista e per metà spy story  bolscevica – che Stalin brinda insieme alle nuove star della  rivoluzione. Allegri, compagni! È mezzanotte nel secolo (come Victor  Serge ha intitolato il suo romanzo sul Gulag siberiano) e finalmente gli  ultimi sono diventati i primi.

Diego Gabutti