La vera storia dei pescatori italiani detenuti in Libia Commento di Fausto Biloslavo
Testata: Il Giornale Data: 20 dicembre 2020 Pagina: 14 Autore: Fausto Biloslavo Titolo: «I racconti dell'orrore dei parenti: 'Pestati a sangue'»
Riprendiamo dal GIORNALE di ieri, 20/12/2020, a pag.14, con il titolo "I racconti dell'orrore dei parenti: 'Pestati a sangue' ", il commento di Fausto Biloslavo.
Fausto Biloslavo è oggi l'unico giornalista a raccontare la dinamica dei fatti. Sulle altre testate prevalgono incompletezza e omissioni.
Ecco l'articolo:
Fausto Biloslavo
I pescatori di Mazara
«Li hanno riempiti di legnate. Pestati a sangue, colpiti con i calci dei fucili in faccia» denuncia rabbiosa al Giornale, Marika Calandrino, la giovane moglie di Giacomo Giacalone, uno dei 18 pescatori detenuti in Libia, che oggi torneranno finalmente a casa. E saltano fuori altri particolari del trattamento libico: a Giacalone hanno portato via la fede nuziale e nei trasferimenti da un carcere all'altro i pescatori venivano fatti camminare nudi per umiliarli e soggiogarli. Giacalone è stato duramente bastonato dai libici del generale Haftar assieme a Bernardo Salvo. Sua moglie, Cristina Amabilino, conferma al Giornale «E stato picchiato. E si capiva dalle prime foto pochi giorni dopo il sequestro. Aveva il viso gonfio e un braccio nero». Il primo settembre, quando è scattato il sequestro a 40 miglia da Bengasi, i quattro miliziani armati di kalashnikov di una piccola motovedetta, hanno fatto salire a bordo i comandanti dei pescherecci italiani. Le barche fermate, che avevano l'ordine di seguire i libici, erano 4. Due, però, quando hanno capito che l'elicottero della Marina tanto atteso non sarebbe mai arrivato, hanno invertito la rotta scappando verso la Sicilia. Giacalone, comandante dell'«Anna Madre» e Bernardo Salvo, timoniere del «Natalino», che aveva sostituito il capitano, sono rimasti a bordo della motovedetta libica. Una volta arrivati a Bengasi gli uomini di Haftar si sono resi conto di avere «perso» due pescherecci. La moglie di Salvo spiega che «mio marito chiamava la barca via radio» ma era inutile. Ed i libici si sono accaniti sui due ostaggi con calci, pugni ed i calci dei fucili. «E stato pestato a sangue. Mio marito aveva il volto gonfio, un occhio quasi chiuso, e il collo rosso. Non hanno avuto pietà. E anche dopo li hanno trattati come bestie», sottolinea la moglie Marika che attende Giacomo con la piccola Gaia. «Mio figlio l'hanno massacrato. Mi ha detto che gli hanno rubato pure la fede del matrimonio. Sono dei barbari. Altro che hotel a 5 stelle e tutto a posto come diceva il governo» si sfoga con il Giornale, il papà, Giuseppe Giacalone, che era al timone dei due pescherecci rientrati a Mazara del Vallo.
Sulla discussa visita del premier Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ad Haftar, il capo dei carcerieri, in cambio della liberazione, Marika non ha dubbi. «Se il governo si è inchinato al generale avrebbe dovuto farlo prima, dopo una settimana per evitare ai pescatori 108 giorni di sofferenze» spiega la moglie di Giacalone. Dal peschereccio «Medinea» arrivano altri dettagli scabrosi sulla detenzione. «Non dovevamo guardare negli occhi i carcerieri, altrimenti ci avrebbero infilato la testa nel bidet» ha raccontato a Rainews 24 il comandante Pietro Marrone. Il fratello dell'armatore, Mauro Marrone, conferma al Giornale che «quando li spostavano di notte li facevano entrare nelle celle camminando nudi senza vestiti per umiliarli. Li tenevano al buio assieme ai topi. Non sapevano se fosse giorno e notte». E nel cambio delle quattro prigioni gli uomini di Haftar illudevano i pescatori dicendo che venivano trasferiti per liberarli, ma poi finivano in stanze buie e umide di 4 metri per 4. Oggi fra le 9 e le 10 l'Antartide e il Medinea arriveranno a Mazara e tutti i pescatori liberati, 8 tunisini, 6 italiani, 2 indonesiani e 2 senegalesi saranno accolti da un grande striscione: «Bentornati a casa».
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