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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/08/2020, a pag.15, con il titolo "Nuovi scontri a Beirut, il governo perde pezzi. Macron guida gli aiuti: '250 milioni al popolo' ", la cronaca di Leonardo Martinelli, Giordano Stabile; dal giornale di ieri, a pag. 3, l'intervista di Fabiana Magrì dal titolo "Lo storico Eyal Zisser: 'Potere in mano ai clan. Il Libano non cambierà' ".
Leonardo Martinelli anche oggi "dimentica" che Israele ha subito offerto aiuto al Libano dopo il disastro dell'esplosione a Beirut - aiuto che è stato rifiutato dal governo del Paese dei cedri, ostinato a non volere alcuna forma di cooperazione con quella che definisce "entità sionista". Sottolinearlo, invece di negarlo, da parte del giornalista sarebbe stato doveroso.
Ecco gli articoli:
"Nuovi scontri a Beirut, il governo perde pezzi. Macron guida gli aiuti: '250 milioni al popolo' "
Leonardo Martinelli Giordano Stabile Beirut si è risvegliata tardi dal «sabato della rabbia» che ha visto quattro ministeri occupati dai manifestanti. Gli edifici sono stati sgomberati dalla polizia nella notte. Nel pomeriggio di ieri altre migliaia di persone si sono radunate in piazza dei Martiri. Una folla meno compatta ma che ha cercato ancora una volta di avvicinarsi al Parlamento, respinta dai gas lacrimogeni. Ieri, comunque, l'attenzione di tutti, anche dei manifestanti libanesi, era rivolta alla videoconferenza internazionale organizzata dalla Francia (Emmanuel Macron era collegato dal forte di Brégançon, sulla costa mediterranea, dove sta trascorrendo le vacanze) e dall'Onu per coordinare gli aiuti d'urgenza a favore del «popolo libanese». Alla fine dell'incontro, secondo fonti dell'Eliseo, sono stati raccolti 252,7 milioni d'euro di finanziamenti, di cui 30 dalla Francia. Tra i più generosi la Ue con 60 milioni e il Qatar con 50. La conferenza ha riunito i grandi del mondo, anche gli Usa (era collegato Donald Trump) e la Cina. Giuseppe Conte ha rappresentato l'Italia. Quattro, invece, i grandi assenti, la Russia, la Turchia, l'Iran e Israele, mentre ha risposto presente (non era scontato) l'Arabia Saudita. I fondi d'urgenza serviranno al ripristino degli edifici danneggiati e alla costruzione di nuovi ospedali e scuole, oltre agli aiuti medico-sanitari e alimentari. Nel comunicato finale i Paesi partecipanti «hanno convenuto che la loro assistenza dovrà essere coordinata dall'Onu e fornita direttamente al popolo libanese, con il massimo di efficacia e trasparenza». Palese la sfiducia nella classe politica libanese. Hanno pure insistito per «un'inchiesta imparziale, credibile e indipendente» sul disastro. Intanto ieri continuava l'assedio al potere e il presidente del Parlamento, Nabih Berri, ha convocato per giovedì prossimo una riunione speciale dell’assemblea, per chiedere spiegazioni al premier Hassan Diab sul «crimine dell'esplosione». Il giornale francofono L'Orient-Le Jour ha scoperto che il premier aveva programmato a luglio una visita al magazzino, dov'erano stipate le 2750 tonnellate di nitrato di ammonio. Doveva seguire il trasloco del materiale in un «luogo sicuro». Invece non se ne è fatto più nulla. Perché? Ieri si è dimesso il ministro dell'Informazione, la drusa Manal Abdel Samad, in quota al blocco di Walid Jumblatt ma con una personalità indipendente, uno dei volti nuovi su cui puntava il premier Diab. Con lei il deputato del Movimento per l'Indipendenza, Michel Moawad, il settimo parlamentare ad aver lasciato il seggio dopo la strage del quattro agosto. L'esecutivo rischia di collassare. Ma un nuovo voto presuppone una legge elettorale diversa, per scardinare il sistema settario. L'idea è un collegio unico proporzionale. Una mossa controversa, in un Paese dove i cristiani sono ormai un terzo della popolazione ma hanno ancora diritto a metà dei deputati.
Fabiana Magrì: "Lo storico Eyal Zisser: 'Potere in mano ai clan. Il Libano non cambierà' "
Fabiana Magrì Quali le conseguenze di queste manifestazioni di piazza? «Non so come potrà evolvere la situazione. Sono pessimista. O meglio, realista. Il problema è che queste manifestazioni non hanno un leader né portano rivendicazioni precise. La protesta è generica, come generica è la richiesta di riformare il Libano. Ma questo è un obiettivo troppo ambizioso, fuori dalla portata di chiunque».
Perché? «I libanesi sanno come sopravvivere e rimettersi in piedi ma la maggior parte di loro vuole mantenere lo status quo».
Anche chi è sceso in piazza e chiede «dimissioni o impiccagione» per il presidente Aoun e per l'alleato Nasrallah leader di Hezbollah? «A un certo punto calerà il polverone, la vita tornerà a come era prima. Il governo si dimetterà, ci saranno elezioni anticipate e nulla cambierà. Perché al momento del voto, i libanesi confermeranno il loro sostegno ai soliti rappresentanti delle varie comunità divise. Dal punto di vista sociale, il Libano è come la Sicilia dei clan familiari. Il sistema è comune a molti dei Paesi che si affacciano sulle coste del Mediterraneo. Ma il Libano è l'unico luogo dove le solite poche famiglie di sempre hanno ancora in mano le redini del paese».
In piazza, però, per la prima volta, la gente accusa apertamente Hezbollah di essere un'organizzazione terroristica. «Sì, perla prima voltai libanesi hanno capito che il Partito di Dio non li rappresenta e non si prende cura della povera gente ma è dietro le quinte del potere da 15 anni. Fa parte del sistema. Ha le sue responsabilità. In Libano non c'è un governo forte perché Hezbollah lo vuole debole».
In questa situazione, da quale paese arabo si può aspettare aiuto, il Libano? «Nessuno stato arabo è in condizione di aiutare il Libano, se non a parole. Niente di più».
Nelle settimane scorse, anche dopo il gioco di attacchi e ritorsioni tra le milizie sciite di Nasrallah e l'esercito israeliano, nessuno avrebbe sostenuto la possibilità che, se non per errori non calcolati, la tensione tra Israele e Libano potesse degenerare. A questo punto, cosa si sente di prevedere? «Non cambia nulla. Hezbollah non ha alcuna convenienza ad attaccare Israele. Avrebbe tutto da perdere. D'altro canto, Israele ha un solo desiderio: dimenticare tutto ciò che ha a che fare con il Libano. Questo è solo un piccolo dettaglio, in un quadro più ampio, in cui nessuno ha interesse».
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