Riprendiamo dal GIORNALE di ieri 17/05/2020, a pag.32 con il titolo "La Francia ride con de Funès, il comico che fa piangere gli intellettuali" il commento di Mauro Zanon.
Louis de Funès, a quarant’anni dalla morte, è un attore in grado di appassionare ancora 50 milioni di spettatori francesi che in questi mesi di reclusione hanno rivisto i suoi film trasmessi da France 2. Mauro Zanon è un bravissimo corrispondente da Parigi che in nostri lettori conoscono e apprezzano. Il pezzo che segue è uscito ieri domenica 17.05.2020 sul GIORNALE che offriamo come se fosse un regalo, perché se in Francia la popolarità di de Funès è ancora alle stelle, in Italia non ha riscosso un eguale successo. Giudicato un comico capace soltanto di ‘far ridere’ – come ricorda Zanon- era sempre stato ignorato in Francia dalla intellighenzia snob di sinistra, ma non dal pubblico che lo ama ancora oggi. Un destino in parte comune con il nostro Totò, anche lui un attore di serie B, fino alla interpretazione di ”Uccellaci e uccellini” di Pier Paolo Pasolini, il film che lo ammise ufficialmente nel novero dei grandi attori. Se tutti i film di de Funès valgono la pena di essere visti, per IC il suo capolavoro è “Le avventure di Rabbi Jacob”, un esempio di come si può interpretare l’umorismo ebraico senza essere ebreo.
Ecco l'articolo:
Mauro Zanon
L' Umanité, l'organo del Partito comunista francese, gli rimproverava di «far ridere», invece di «far riflettere», e di contribuire dunque all'«alienazione delle masse». I suoi film provocavano disgusto nei salotti di Parigi, e la critica pensosa, quella dei Cahiers e di Positif, giudicava imbevibile la sua comicità popolare. Come un vino che sa di tappo. Ma lui, Louis de Funès, se ne infischiava bellamente e continuava a divertire la sua Francia profonda, rurale, tradizionale, di cultura cattolica, che riconosceva se stessa nei pregi e nei difetti dei suoi personaggi. De Funès ha lasciato questo mondo quasi quarant'anni fa, ma il maresciallo Cruchot, Rabbi Jacob, Don Salluste, Stanislas Lefort, i personaggi che lo hanno reso celebre, continuano a riscuotere un successo strepitoso. «Con gran sorpresa di tutti, e per la gioia della stragrande maggioranza, Louis de Funès ha fatto il suo ritorno trionfale alla televisione francese. I suoi film vengono mandati in onda e i telespettatori restano incollati allo schermo. Durante l'esperienza inedita del grande confinamento, è riemersa la figura più aggregante e più tipica della commedia alla francese.
La locandina
Destabilizzata da una crisi senza precedenti, che la sta immobilizzando fino alla paralisi, la società francese cerca dei rituali per strutturare un momento inedito dell'esistenza. E con de Funès ne ha trovato uno», ha scritto sul Figaro lo scrittore Mathieu Bock-Côté. Con le sue smorfie e i suoi scatti collerici, le esplosioni grottesche e le mimiche vivaci, de Funès, «l'uomo dalle quaranta espressioni al minuto», è stato il Grande consolatore della Francia durante la chiusura forzata a causa del coronavirus. Ha fatto ridere i francesi tutti assieme, senza distinzioni sociali, culturali, politiche, ha alleviato le loro pene e le loro frustrazioni in questi mesi di libertà sospese. Mentre la maggior parte ripeteva assieme a lui le battute cult, i restanti, ossia i più giovani, lo scoprivano entusiasti film dopo film, grazie all'operazione riuscita di France 2, che ha ritrasmesso i suoi cavalli di battaglia. Durante il confinamento, il comico ha raccolto più di cinquanta milioni di spettatori, a conferma di un'indiscussa popolarità (fu il primo comico a sfondare il tetto dei cento milioni di spettatori ai botteghini francesi).
Un fotogramma del film
«È il francese che più francese non si può, lamentoso, insolente, che fa ridere a crepapelle i comuni mortali. Naturalmente, alcune figure della mondanità arricciano il naso, perché non possono non essere dispiaciute nell'assistere a questo fenomeno», sottolinea Bock-Côté. La Parigi benpensante non gli ha mai perdonato le simpatie golliste e la comicità inclusiva, a portata di tutti. E oggi continua a mal sopportare questi francesi colpevolmente nostalgici di una Francia che non esiste più. «La passione per Louis de Funès, secondo alcuni mondani, sarebbe rivelatrice di una pigrizia mentale», osserva Bock-Côté, di un popolo che preferisce guardarsi allo specchio attraverso i cliché dell'epoca pompidoliana invece di abbracciare il nuovo mondo e i suoi nuovi comici, più pedagoghi che umoristi, sempre attenti a non urtare le sensibilità. Louis de Funès sapeva giocare con gli stereotipi senza farne un uso militante e rappresentava una comicità che attivava un processo di identificazione identitaria nei francesi. «Non è un prodotto di importazione e non si esportava tanto bene proprio perché simboleggiava una certa idea della Francia. La società globalizzata vorrebbe far ridere tutto il pianeta allo stesso modo», osserva Bock-Côté. Ma è contro la realtà, come dimostrano i numeri di Louis de Funès durante il confinamento (numeri che i comici americani, per esempio, non raggiungeranno mai in Francia). Il 1º aprile, la Cinémathèque française avrebbe dovuto inaugurare la prima retrospettiva in onore di questo iperfrancese, ma il Covid-19 ha mandato tutto all'aria. La televisione pubblica ha messo una pezza alla Grande delusione, dimostrando che Louis de Funès è il miglior antidepressivo di Francia.
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