Riflessioni apolitiche sulla democrazia in Israele 
Commento di Michelle Mazel 
(Traduzione di Yehudit Weisz)
 

La Knesset, il Parlamento israeliano 
I  cittadini israeliani sono stati chiamati alle urne per la prima volta  il 25 gennaio del 1949. Si trattava allora di eleggere l'Assemblea  Costituente che in seguito si trasformò nella prima Knesset. I padri  fondatori erano impregnati di socialismo democratico, e il diritto di  voto era stato concesso a tutti, vale a dire non solo agli arabi, ma  anche alle donne. Un fatto da sottolineare, perché le donne avevano  acquisito questo diritto in pochi Paesi, tra cui la  Francia. 
L'Assemblea legislativa prese il nome di Knesset in omaggio  alla grande Knesset, Haknesset Hagdola, l'assemblea dei saggi che aveva  guidato il popolo ebraico dopo il ritorno dall'esilio di Babilonia, e  contava alla stessa stregua, centoventi membri. Il sistema scelto era  stato quello di uno scrutinio proporzionale ad un solo turno, dato che  il Paese costituiva un solo collegio elettorale. È vero che all'epoca  c'erano soltanto poco più di 500.000 elettori. Secondo una vecchia  battuta ebraica, quando due ebrei s’incontrano, ci sono almeno tre  opinioni: i padri fondatori non avevano preso in considerazione questa  caratteristica. E fu così che quel 25 gennaio, al voto degli elettori si  candidarono non meno di dodici liste, tra cui una araba, la lista  democratica di Nazareth, guidata da Amin Salim Jarjora. Si piazzò al  nono posto con due deputati, davanti alla lista dei combattenti, a  quella della Wizo e alla lista degli yemeniti che ottennero ognuna, un  seggio.  Nessun partito aveva ottenuto la maggioranza assoluta e si  dovette ricorrere ad un governo di coalizione. Due anni dopo il Paese  tornò alle urne. Aveva imparato la lezione? Per niente. È vero che nel  frattempo il numero di elettori era praticamente raddoppiato, ma questa  volta si presentarono ben  quindici partiti, inclusi due partiti arabi:   la lista democratica degli arabi israeliani che finì in settima  posizione con tre deputati, e quella di Hakla`ut Ufituah  (Agricoltura e  Sviluppo) che si piazzò in ultima posizione con un solo seggio. Va  detto che la soglia di sbarramento elettorale era fissata all'1%.   
Nel  1988 c'erano ancora quindici partiti e dopo le elezioni la soglia fu  portata all'1,5%.  Nelle elezioni successive erano rimasti solo dieci  partiti, inclusi due partiti arabi, ciascuno con tre seggi.  Comunque  sia,  la soglia era ancora abbastanza bassa da incoraggiare questo o  quell’altro esponente politico a lasciare il partito in cui era  cresciuto per fondare la propria lista, che spesso godeva di un successo  assai effimero prima di scomparire del tutto. Un altro fenomeno, è  quello degli  eletti che svolazzano spensieratamente da un partito  all'altro. Ne è un perfetto modello Tsipi Livni, che prima era stata  deputata del Likud,  poi con Ariel Sharon  aveva abbandonato quel  partito per creare Kadima, che lei successivamente lasciò a favore di  Hatnuah, per aderire infine all'Unione sionista, avatar del partito  laburista. Ormai è chiaro:  finora il sistema israeliano non ha mai  permesso a una  sola lista di raggiungere la maggioranza assoluta e di  governare da sola. La conseguenza è che sfocia sempre in lunghe  trattative bizantine prima di arrivare a formare una coalizione, creando  sofisticate alchimie in cui l'ideologia non ha mai un gran peso. Per  esempio in seguito alle elezioni del 1984, il laburista Shimon Perez e  il leader del Likud, Itzhak Shamir,  formarono un governo di coalizione,  in cui ciascuno  dei due ricoprì la carica di Primo Ministro per due  anni. Solo nel 2014 la soglia è stata portata al 3,25%. Una misura  applicata a partire dalla ventesima Knesset, il 17 marzo del 2015,  quando il numero di elettori si avvicinò ai sei milioni e che ha spinto i   quattro partiti arabi a formare una lista comune per evitare di essere  eliminati, e ha portato all'unione effimera tra il partito Yesh Atid di  Yair Lapid e la nuova formazione di Benny Gantz. Oggi siamo alla  ventitreesima Knesset nell’arco di settant'anni, il che significa che  pochissimi sono stati i governi che  hanno operato per l’intero mandato  di quattro anni. E’ anche interessante notare come questa instabilità  politica non abbia in alcun modo ostacolato lo sviluppo del Paese. 

Michelle Mazel scrittrice  israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il  marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del  Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de  Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume  della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".