Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/10/2019, a pag.1/29,  con il titolo "Dalla Siria un domino di conflitti" l'analisi di  Maurizio Molinari sull'intera situazione mediorientale
L'analisi del direttore della Stampa tiene conto del perdurare  dell'alleanza con Israele da parte della Casa Bianca, il che differenzia  la politica mediorientale di Trump rispetto a Obama. Lo scenario  complessivo non lascia però molte speranze, dato che Trump conferma  l'abbandono dell'America sulla scena mediorientale. Non a caso, nel  titolo, la parola chiave è "domino", il cui significato è chiaro.  Divisi, distratti e miopi sono i governi delle democrazie europee, così  li definisce Molinari, a conclusione della sua analisi, tutt'altro che  politicamente corretta.

Maurizio Molinari 
Ecco l'editoriale:
La scelta della Casa Bianca di ritirarsi dalla Siria innesca in  Medio Oriente il timore di un più generale disimpegno americano dalla  regione destinato ad accrescere la possibilità di conflitti fra le  maggiori potenze. La decisione del presidente Donald Trump di consentire  alla Turchia di Recep Tayyp Erdogan di invadere il Rojava curdo è solo  un tassello di un processo che appare più vasto: gli Stati Uniti non  hanno soltanto ritirato le unità speciali dal confine turco-siriano ma  tutto il contingente - mille uomini - dall'intero Nord della Siria e ciò  è avvenuto ad appena venti giorni dall'attacco missilistico iraniano  agli impianti petroliferi di Aramco in Arabia Saudita a cui Washington  non ha risposto venendo meno al patto non scritto con Riad sullo scambio  fra stabilità nella produzione del greggio e protezione dei pozzi. Se a  ció aggiungiamo i piani del Pentagono per riportare in Nord America  parte delle sofisticate strutture di comando e controllo delle truppe in  Medio Oriente- attualmente posizionate in Qatar e Arabia Saudita - si  spiega perché nelle capitali della regione si stia diffondendo la  convinzione che Trump voglia davvero mantenere la promessa elettorale di  "porre fine al coinvolgimento in guerre interminabili che non ci  appartengono". È una scelta strategica che segue quelle compiute dal  predecessore Barack Obama nel 2011 e nel 2013 - quando decise  rispettivamente di ritirare tutte le truppe dall'Iraq e di non  intervenire in Siria contro l'uso dei gas sui civili da parte di Assad -  e pone il Medio Oriente in una situazione di pericoloso bilico. Il  motivo è che in politica estera il vuoto non esiste e dunque  l'interrogativo è chi riempirà lo spazio lasciato dagli americani.  L'intenzione di Washington è di favoriredi la formazione di un'alleanza  politico-militare simile alla Nato fra Paesi del Golfo e Israele in  funzione anti-Iran - come spiega anche l'invio in questi giorni di due  nuovi squadroni di F-16 in Arabia - ma è un processo ancora in divenire.  Da qui lo scenario di possibili collisioni fra le potenze regionali  impegnate a perseguire interessi divergenti, in evidente competizione  nel tentativo di riempire il vuoto creato dal ritiro degli americani. È  proprio la Siria a evidenziare tale rischio perché la Turchia vuole  controllare stabilmente una fascia di territorio lungo i propri confini  profonda 20-30 chilometri in funzione anti-curda mentre la Russia spinge  il regime di Bashar Assad a tornare in possesso dell'intera nazione e  l'Iran non gradisce l'ipoteca di Ankara su un Paese che considera sotto  la propria sfera di influenza. Senza contare la variabile dei jihadisti  di Isis e Al Qaeda che riconquistano spazio e risorse. Sulla carta  Erdogan, Vladimir Putin e Hassan Rohani sono partner se non alleati -  più volte si sono incontrati in veri e propri summit - ma il ritiro  americano è un regalo avvelenato che ne esalta gli attriti e può  portarli a confliggere. Perché hanno in Siria disegni rivali: Erdogan  persegue il progetto neo-ottomano di aree vassalle attorno ai propri  confini, Putin vuole ricostruire il Paese degli Assad come un suo  protettorato e l'Iran ne vuole fare una piattaforma per minacciare  frontalmente Israele. Il ritiro Usa dal confine Siria-Iraq consente  infatti a Teheran di avere mano libera nel trasferimento di uomini, armi  e mezzi fra l'Iran e il Libano attraverso una "Mezzaluna sciita" - come  l'ha definita il re Giordano Abdallah - che modifica gli equilibri  regionali. Ovvero, si è messo in moto in Medio Oriente un domino di  eventi che può portare a conflitti regionali. Resta da vedere come la  Russia si porrà davanti a tale rischio: ha sul terreno una significativa  presenza strategica, vanta rapporti diretti e stretti con tutti gli  attori e non ha interesse a crisi armate destinate a proiettare  instabilità lungo i propri confini meridionali. Ma il Cremlino è ancora  privo di una strategia di alleanze capace di generare sicurezza  collettiva nel lungo termine. Con tali premesse non è difficile arrivare  alla conclusione che lo scenario più verosimile nel breve periodo sia  un aumento delle fibrillazioni fra i grandi rivali dell'Islam - sciiti  iraniani e sunniti sauditi - a cui basta una scintilla o un incidente  per degenerare in guerra aperta. L'interesse dell'Europa è di evitare  tale escalation perché pagherebbe un prezzo altissimo - in termini di  sicurezza, migrazioni e commerci - ma i suoi leader appaiono divisi,  distratti e miopi davanti alla necessità di considerare il Mediterraneo  come il confine più urgente da presidiare.
Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare:011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante