Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/10/2019, a pag.7, con il titolo "Da Baghdad al Cairo la 'Generazione 10 dinari' lancia la rivolta del pane" l'analisi di Giordano Stabile
Giordano Stabile
Per il quinto giorno consecutivo gli iracheni sono scesi in piazza anche ieri, hanno sfidato le pallottole dei cecchini delle milizie e le cariche della polizia e hanno marciato verso piazza Tahrir al centro di Baghdad. In cinque giorni 100 persone sono morte negli scontri con la polizia. Il nome della piazza, «della liberazione», evoca quella del Cairo nel febbraio 2011, quando la primavera araba era al suo apogeo, e centinaia di migliaia di manifestanti erano riusciti ad abbattere il raiss Hosni Mubarak.
Otto anni dopo nessuno dei problemi economici, sociali e di rappresentanza politica nel mondo arabo è stato risolto. La primavera è stata soffocata, mentre in Siria, Libia e Yemen si è trasformata prima in una guerra civile e poi per procura fra le diverse potenze che lottano per l’egemonia nella regione.
Il Medio Oriente è ora attraversato da un lungo autunno caldo, cominciato in Iraq l’anno scorso, con le proteste spontanee di Bassora, e che ha contagiato in seguito il Sudan, l’Algeria, l’Egitto, il Libano.
Il motore delle proteste è ormai economico, la rivendicazione di salari migliori e di servizi pubblici decenti. Il carattere «apolitico» delle rivolte è evidente in Iraq.
I manifestanti hanno rifiutato tutti gli endorsement dei partiti, anche di quelli che avevano cavalcato le proteste dell’anno scorso.
L’imam Moqtada al-Sadr, che da capo milizia si era riciclato in «leader degli oppressi», ha tentato ieri di riconquistare la piazza con la proposta di elezioni anticipate, ma con scarso successo. I ragazzi che scendono in strada a petto nudo, nei 40 gradi dell’ottobre mesopotamico, si autodefiniscono «generazione 10 dinari», quello che riescono a guadagnare in una giornata, meno di otto dollari, e rifiutano ogni etichetta politica e settaria: «Non siamo né sciiti né sunniti, siamo iracheni».
L’Iraq segna così una nuova fase della rabbia araba. Il primo a esserne travolto è stato il Sudan, dove la rivoluzione è stata innescata dall’aumento del prezzo del pane e dove è caduto Omar al-Bashir. Un percorso simile ha seguito l’Algeria. Poi ha contagiato l’Egitto, ormai dotato di apparato di repressione così efficiente da aver soffocato le proteste, con 2400 arresti preventivi e il filtro dei social, in una settimana. E infine il Libano, l’ex Svizzera del Medio Oriente, che ha visto l’assalto ai bancomat quando si è capito che il cambio fisso con il dollaro, e tutto il castello di carte finanziario, stava per crollare.
ALGERIA
Sfida a Bouteflika e spreco di soldi
Ragioni sociali e politiche hanno catalizzato le proteste. L’annuncio del presidente Bouteflika di ricandidarsi per la quinta volta, ha scatenato la rivolta il 16 febbraio. Il raiss si è dimesso il 2 aprile, a dicembre ci saranno le presidenziali. Intanto i militari, con Ahmed Gaid Salah, hanno il controllo. Lo spreco di denaro è scandaloso: la Jamaa Al-Jazair, moschea in costruzione che ha inghiottito 4 miliardi di dollari, «pari al costo di 200 ospedali», è l’esempio più clamoroso.
MEDIO ORIENTE-EGITTO
La repressione di Al Sisi
Il Paese centrale del mondo arabo era avviato a una stabilizzazione sotto il generale Al-Sisi. Le proteste del 20 settembre hanno colto gli analisti di sorpresa. Disoccupazione giovanile al 32%, salari da fame nell’industria tessile e nei servizi, un’economia occupata per un terzo dai militari hanno ampliato il disagio sociale. La macchina repressiva, che si avvale di sofisticati mezzi di controllo elettronico, ha permesso di stroncare le manifestazioni, con 2400 arresti. La corruzione divora i redditi
IRAQ
La corruzione divora i redditi
La rivolta cominciata martedì è fuori controllo. I due terzi degli iracheni vive con 6 dollari al giorno, in un Paese che incassa 100 miliardi all’anno dal petrolio ma fornisce elettricità solo 8 ore al giorno. La manna petrolifera è inghiottita dalla corruzione: 12° Paese più corrotto al mondo, un posto pubblico è «venduto» a 10 mila dollari. Protesta la gioventù sciita. I sunniti restano fuori, traumatizzati da 15 anni di conflitti settari culminati con la distruzione delle città.
LIBANO
In crisi le scelte iperliberiste
L’economia è sotto pressione come non mai negli ultimi 25 anni. Pesano le sanzioni Usa su Hezbollah e il crollo delle rimesse degli espatriati nel Golfo. Le politiche iperliberiste – imposta massima al 20%, servizi pubblici all’osso, cambio fisso con il dollaro a 1500 lire – si reggevano sull’afflusso di valuta forte ma hanno acuito le diseguaglianze sociali. Al cambio nero il dollaro è a 1700 lire. Quando non è stato più possibile ritirare ai bancomat sono scoppiate proteste.
SUDAN
Prezzi triplicati Cacciato Bashir
La rivoluzione è scoppiata il 19 dicembre dopo che il prezzo del pane era triplicato. In aprile il presidente Al-Bashir è stato messo da parte dai militari e dal suo ex braccio destro Dagalo. I berretti rossi del generale hanno compiuto un massacro il 3 giugno al sit-in davanti al quartier generale dell’esercito: 116 morti. Ma la piazza è riuscita a piegare i militari con la «marcia del milione» del 30 giugno. Il potere è passato a un Consiglio esecutivo, misto civili-militari.
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