Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/04/2019, a pag. 63 con il titolo " 'Fauda', il male su due fronti tra israeliani e palestinesi", l'analisi di Aldo Grasso.
Aldo Grasso
Da diversi anni Israele ci ha abituati a serie tv di ottima fattura, in grado di circolare ed essere adattati in tutto il mondo. Su tutti, «Homeland» e «In Treatment», autentici capolavori che hanno consacrato un modello di produzione originale, innovativo, mai superficiale nello sguardo e nel racconto. Su Netflix è disponibile un altro monile di questa piccola, ma prolifica scuola creativa: «Fauda», due stagioni da 12 episodi l’una e la terza già in fase di realizzazione, è una serie magnetica e spiazzante, unica nel suo essere distaccata ed equidistante di fronte alla quotidianità tragica del conflitto israelo-palestinese. Ideata da Lior Raz (che è anche attore protagonista) e Avi Issachroff, «Fauda» mette in scena il sangue, i codici, la vendetta che serpeggiano nei territori in guerra da decenni.
Tutta la storia prende le mosse da quando gli agenti del Mista’arvim, unità speciale della difesa israeliana, scoprono che il terrorista palestinese Abu Ahmed (detto la «pantera») è ancora vivo sebbene fossero convinti di averlo eliminato. Sulle sue tracce viene messo Doron (un Lior Raz perfettamente a suo agio), ormai ritiratosi a vita privata. Durante un’operazione viene ucciso il fratello di Ahmed, fresco sposo, e l’episodio innesca una spirale di vendetta senza fine. «Fauda», che in arabo significa «caos» e che nel linguaggio militare israeliano indica il momento in cui un’azione sotto copertura fallisce facendo saltare tutti i piani, ha il pregio di stare dentro il conflitto senza ambiguità, né indulgenze, mostrando il male che si annida in entrambi i fronti, grazie anche alla scelta (azzeccata) della doppia lingua. La regia indugia sui primi piani, sui dettagli, sui silenzi, restituendo i tormenti ma anche quella lucida follia dentro cui non pare scorgersi alcuna possibilità di redenzione.
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