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Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/05/2018 a pag. 12/13 due servizi da Israele, preceduti dal nostro commento Marco Ansaldo: " Ambasciata Usa e rivolta ai confini 7 giorni di fuoco per Israele e Gaza" Israele festeggia il 70° compleanno, ma questa data sembra interessare poco a gran parte dei nostri giornali, che preferiscono dedicare i servizi a criticare Netanyahu e il cattivo Trump. Così fa Marco Ansaldo, in un articolo illustaro da una immagine del repertorio Pallywood, un bambino che reca un cartellone più grande di lui con la scritta "La Palestina appartiene ai palestinesi" con una spessa X che cancella la scritta stradale US Embassy. Poi la solita retorica sul "mondo islamico in fiamme" per la scelta di trasferire l'ambasciata a Gerusalemme. Evidentemente Ansaldo non è molto nformato su quello che avviene fra sciiti e sunniti, o se lo sa si auto-censura per rimanere in linea con Repubblica. Poi le solite tiritere sulla Nakba.
«Trump make Israel great». La strada che da Gerusalemme porta a Betlemme, attraversando il quieto quartiere di Arnona, è costellata di lampioni dove fra le bandiere israeliane e americane il Museo degli amici di Sion ha appeso striscioni su cui campeggia un invito augural e. E per "fare grande Israele" il capo della Casa Bianca ha deciso di spostare domani pomeriggio qui, tra le abitazioni moderne di Arnona lontane dalle tipiche case vecchie e belle color ocra, l'ambasciata Usa. Che lascia Tel Aviv per aprire le sue porte nella Città Santa. Un passo ben più che simbolico. Da parte americana significa il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e non dunque della Palestina. Scelta che porta allo scontro con tutto il mondo islamico. E, intanto, prima tappa di una settimana che in Israele si preannuncia bollente, ovunque, Cisgiordania e Striscia di Gaza comprese. L'inaugurazione della nuova sede diplomatica coincide, il 14 maggio, con il 70° anniversario della creazione dello Stato ebraico. Da giorni, da nord a sud, da Haifa a Eilat, le auto innalzano con orgoglio il vessillo nazionale bianco e blu con la stella di David. E il giorno successivo i palestinesi commemoreranno la Nakba, la "catastrofe", l'inizio dell'esodo dalle loro terre per centinaia di migliaia di persone. Si prevedono giorni cruciali. Perché nei Territori, e soprattutto lungo la Striscia, chiusa e isolata, fervono preparativi capaci di culminare il venerdì successivo, per l'ottava settimana consecutiva nella zona controllata in buona parte da Hamas, in ondate di protesta volte a superare le linee di confine considerate illegittime. Già ieri sera l'aviazione israeliana ha lanciato 9 missili sulla Striscia, distruggendo un generatore e un nuovo tunnel, definito "del terrore", nei pressi del valico di Erez. Il movimento palestinese punta a portare lungo i valichi 100 mila dimostranti, con il tentativo di abbattere recinti e scrollarsi di dosso il blocco israeliano. «Dopo 11 anni di blocco e tre guerre - intima il leader dell'organizzazione, Ismail Haniyeh - Hamas non riconoscerà Israele e non deporrà le armi. La nostra Nakba - promette - si trasformerà in una catastrofe del progetto sionista». Settimana complessa, dunque, che dopo la notte fra il 15 e il 16 maggio vedrà anche l'inizio del Ramadan, il mese del digiuno secondo la pratica islamica, e in cui approfittando del legame religioso le fila del mondo musulmano si rinsalderanno maggiormente. Hamas avverte che le manifestazioni di protesta non si concluderanno per forza il giorno 15: «Le abbiamo iniziate il 30 marzo per sottolineare il diritto del ritorno. Poi ci siamo mobilitati contro il trasferimento dell'ambasciata Usa. Quindi abbiamo invocato la rimozione immediata e incondizionata del blocco di Gaza. Le dimostrazioni proseguiranno fin quando non potremo godere di una esistenza dignitosa». Intanto si parte domani, con la festa di Israele e lo spostamento dell'ambasciata americana. Gerusalemme nelle ultime ore appare vigile. Pattuglie miste di soldati e polizia, uomini e donne armatissimi, percorrono le strade della zona araba, a est della città, mentre vengono di continuo istruite dai loro comandanti. In arrivo sono Ivanka Trump, la figlia, principale consigliera del presidente, e il consorte Jared Kushner. Il genero di Donald è stato fin dall'inizio l'uomo di punta per il Medio Oriente, oscurando così il ruolo dell'ex segretario di Stato, Rex Tillerson. Non sarà però lui il capo della delegazione, affidata invece al vicesegretario di Stato, John Sullivan. Mossa subito interpretata a Washington come il segnale evidente che nella nuova era di Mike Pompeo il Dipartimento di Stato è deciso a riprendersi il terreno perduto sul fronte mediorientale. «Jared Kushner ha finora controllato il dossier israeliano-palestinese», ha detto Martin Indyk, già ambasciatore a Tel Aviv ai tempi di Bill Clinton, al sito Politico. «Non credo che Pompeo voglia ora accomodarsi nel sedile posteriore. Questo indica che vuole anzi avere un ruolo che Tillerson non aveva». Trump non infiamma solo il Medio Oriente. Juan Carlos Sanz: "Amos Oz 'il mondo ha voglia di fanatici. Ma sono i coraggiosi a evitare le guerre' "
Spunta questo Juan Carlos Sanz, a Rep si sono dimenticati di specificare da quale testata hanno preso la sua intervista ad Amos Oz. Che è un grande narratore, laico come piace anche a noi eretici, detesta i fanatici come li detestiamo noi, che però non dimentichiamo quelli di sinistra, ignorati da Oz. Con lui condividiamo anche la frese " Sono i coraggiosi a evitare le guerre" - scelta anche per il titolo - ma si dà il caso che siano proprio i deboli a cedere di fronte ai dittatori, dando così via libera alle guerre. I coraggiosi - come Trump o Netanyahu - impediscono ai dittatori di armarsi, quindi niente guerre. E se proprio insistono meglio sconfiggerli prima che la dichiarino. Amos Oz impari dal suo Primo Ministro come si governa una democrazia, in grado di difendere i propri cittadini. Fra i quali c'è anche lui. TEL AVIV Sembra lo stesso di tre anni fa, ma la sua voce si perde spesso nel registratore tra le fusa del suo gatto Freddie. «Le mie condizioni di salute mi permettono di viaggiare solo con la mia immaginazione», si scusa il più noto scrittore in lingua ebraica. Amos Oz parla nella sua casa di Tel Aviv sugli zeloti, gli estremisti e i settari che preferiscono affrontare un mondo complesso nel modo più semplice, ma finisce col riconoscere che il suo ultimo libro, "Cari fanatici", è in realtà un lascito: «L'ho dedicato ai miei nipoti. Ho concentrato ciò che ho imparato nella vita, come una Scrittore Amos Oz, 79 anni, è uno dei più apprezzati scrittori esaggisti israeliani. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è un saggio e si intitola "Cari fanatici", traduzione di Elena Loewenthal, Feltrinelli, (2017). storia. La cosa più pericolosa del XXI secolo è il fanatismo. In tutti i suoi aspetti: religioso, ideologico, economico... perfino femminista. È importante capire perché ritorna ora. Nell'islam, in certe forme di cristianesimo, nell'ebraismo... » Lei scrive della tua terra. Il Medio Oriente è la culla del fanatismo? «È un'idea comune, ma non penso sia vero. L'ascesa del fanatismo e del razzismo negli Stati Uniti è molto più pericolosa. C'è il fondamentalismo in Russia e nell'Europa orientale. Ed è pericolosoanche il fanatismo nazionalista nell'Europa occidentale». Questa è un'epoca di semplificazioni: 80 anni fa avevamo paura di Hitler o Stalin, oggi la gente non teme di sembrare estremista Condividiamo questo peccato originale? «Penso che in ognuno di noi, forse, ci sia un gene di fanatismo. È la tendenza dell'essere umano a voler cambiare gli altri. Diciamo ai bambini: "Devi essere come me". È una cosa molto comune». *** Come si cura il fanatismo? «Bisogna essere curiosi. Mettersi nei panni dell'altro. Anche se è un nemico. La ricetta è immaginazione, senso dell'umorismo, empatia. Ma non per compiacere l'altro. Io cerco di immaginare che cosa fa si che l'altro si comporti in un certo modo». Lei è fuggito dal clima che si respira a Gerusalemme, la città dove è nato. È difficile non diventare un fanatico in quella città? «Amo Gerusalemme. Ma ho bisogno di mantenere una certa distanza. È troppo conservatrice, in termini ideologicie religiosi.A Gerusalemme quasi tutti hanno una loro formula personale per ottenere la salvezza o la redenzione. Cristiani, musulmani, ebrei, pacifisti, atei, razzisti, tutti. Una caratteristica di Gerusalemme? «Di Israele in generale, anche se è più evidente a Gerusalemme. Una fermata dell'autobus può diventare un seminario. Persone del tutto estranee discutono di politica, morale, religione, storia o di quali sono le vere intenzioni di Dio. Ma nessuno vuole ascoltare l'altro, tutti pensano di avere ragione. Nello Stato ebraico, dove la religione è un segno di identità, come vive un laico, un ateo? «II mio problema non è la religione, ma il fanatismo religioso. Non è il cristianesimo, ma l'Inquisizione. Non è l'Islam, ma iljihadismo. Non è il giudaismo, ma gli ebrei fondamentalisti». Un governo ultraconservatore in Israele, Trump alla Casa Bianca: un periodo storico favorevole all'intransigenza? «La maggior parte del mondo si sta muovendo velocemente da una prospettiva complessa a una molto semplicistica. Succede anche nella sinistra radicale». II nazionalismo, il conflitto palestinese, non hanno condizionato questa visione in Israele? «Ì naturale. Quando un conflitto dannato e crudele dura più di cento anni ci sono ferite da entrambe le parti. Immagini cupe dell'altro. Ci sono persone sentimentali in Europa che credono che si possa risolvere tutto parlando e andando a prendersi un caffè. Una piccola terapia di gruppo e amici più di prima. No. Ci sono conflitti che sono molto reali. Quando due uomini amano la stessa donna O due donne lo stesso uomo. C'è uno scontro che non può essere risolto andandosi a bere un caffè. II conflitto tra israeliani e palestinesi è reale». Ci vuole un divorzio: due Stati? «Fondamentalmente, si tratta di questo. La casa è molto piccola. Dobbiamo fare due appartamenti. Israele e, nella porta accanto, la Palestina Poi dovremo imparare a dirci "buongiorno" perle scale. Più avanti saremo in grado di farci una visita. E perfino di cucinare insieme: un mercato comune, una federazione o confederazione... ma prima bisogna dividere la casa. In fondo, tutti sanno che l'unica soluzione possibile è quella dei due Stati. Anche se non gli piace. Per i palestinesi e gli israeliani è come un'amputazione, come perdere una parte del proprio corpo. In Israele, c'è chi la considera un fanatico della formula dei due Stati. «L'altra soluzione funziona solo in Svizzera. In Jugoslavia fini in un bagno di sangue. Ci fu un divorzio pacifico nell'ex Cecoslovacchia. Chi può pensare che israelianie palestinesi debbano andare a letto insieme e fare l'amore e non la guerra? Dopo un secolo di massacri none possibile. Non sembra che la leadership israeliana abbia fretta di trovare una soluzione. «Questo è il cuore del conflitto, la mancanza di una leadership. Nessuno ha il coraggio che ebbe De Gaulle quando concesse l'indipendenza all'Algeria». Né gli israeliani, né i palestinesi? «Nessun leader del mondo. Per esempio non vedo leader coraggiosi a Madrid o Barcellona. Una nuova frammentazione dell'Europa non mi fa piacere. Non capisco perché, ma se in Catalogna c'è una maggioranza di cittadini che vuole vivere per conto proprio, lo farà. Può darsi che sia un grande sbaglio. Ma non puoi forzare due persone a condividere un letto se uno dei due non vuole. Persino la Scozia vuole uno Stato». Dunque, viviamo in un'epoca di vigliacchi e di fanatici? «È un'epoca di semplificazioni. La gente si aspetta risposte semplici e non teme più di sembrare estremista. 80 anni fa avevamo paura di Hitler o di Stalin». Se l'immunizzazione provocata dalla seconda guerra mondiale non funziona più, ci vorrà un nuovo vaccino? «Non voglio un altro bagno di sangue. Ma il rischio c'è: il fanatismo porta alla violenza. II mio libricino contiene un milligrammo di vaccino: tolleranza e curiosità. Sorridere, anche ridere di se stessi. Non ho mai visto un fanatico dotato di senso dell'umorismo». Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante rubrica.lettere@repubblica.it |
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