Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/09/2017, a pag.35 con il titolo " Tragedia israeliana in tre metafici atti " il commento di Alessandra Levantesi Kezich.
Alessandra Levantesi Kezich.
Durante il conflitto libanese del 1982, il giovane soldato di leva Samuel Maoz, chiuso con tre commilitoni in un carro armato, aveva ucciso un uomo prima di poter capire se costituiva davvero un pericolo. Gli ci sono voluti 25 anni e una seconda guerra con Beirut per sbloccare il trauma e rievocare l’esperienza: il film si intitolava Lebanon e nel 2009 vinse il Leone d’oro. Ora in concorso con l’opera seconda Foxtrot, Maoz torna ad agitare quelle stesse tematiche, sviscerando contraddizioni che lo assillano come uomo e come coscienza critica del proprio paese. In Foxtrot c’è un padre all’inizio annientato dalla notizia (falsa) dell’uccisione del figlio soldato Jonathan; e alla fine devastato dal fatto di averne indirettamente provocato la morte (vera). Fra questi due atti si inserisce una seconda parte ambientata in uno sperduto confine del Nord, dove Jonathan esasperato da logoranti giorni in attesa di un nemico che mai si palesa scambia una lattina di birra per una granata e ammazza degli innocenti. Fatalità, fede, e un lacerante complicato presente: tutto questo Maoz lo traduce in un film di surreale, metafisica, bizzarra densità, che testimonia una volta di più dell’attuale complessità e forza dialettica della drammaturgia ebraica, in Israele come in Usa. Vedi caso la sceneggiatura dell’altro titolo in gara, l’ottimo Suburbicon di George Clooney porta, e riconoscibilissima, la firma dei fratelli Coen.
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