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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/04/2017, a pag. 1-21, con il titolo "Perché racconto la guerra dei marines", il commento di C.J. Chivers. IC ha già pubblicato il 14 gennaio 2013 una interessante riflessione di Chivers a proposito dell'Iran e del commercio delle armi in Africa: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=4&sez=120&id=47706 Ecco l'articolo:
Ho chiesto di tornare in Iraq perché sentivo l'urgenza di andare ancora una volta a vedere le cose da vicino, come giornalista e come cittadino. Ci ho passato molto tempo, prima come Marine nel 1990 e 1991, poi come reporter nel 2002 e 2003. Ma non sono qui per suggerire quale piega debba prendere questa guerra. Altri possono farlo meglio di me, o almeno provarci. Il nostro obiettivo era trascorrere del tempo con un battaglione di fanteria dei Marine impegnato nell'attività anti insurrezionale nella provincia di Anbar e cercare di catturarne l'esperienza, farci un'idea delle loro esistenze e del loro modo di intendere la guerra. I protagonisti di questa storia sono loro, non noi. Io sono soltanto un reporter. Descrivo, non prescrivo. Cerchiamo solo di mostrare la guerra da vicino, attraverso le vite di alcuni di questi giovani soldati. Io e Joao Silva andiamo in missione con loro, che si tratti di un raid, di un pattugliamento a piedi, di un avvicendamento nei bunker o che ci si debba infilare nei nascondigli con i cecchini. E, oggi come allora, non appena mi imbatto in una storia, scrivo quello che vedo e sento intorno a me. Cerchiamo di catturare la storia per quella che Perché racconto la guerra dei Marines è, e di portare il lettore negli stessi posti e nelle stesse situazioni che affrontano i Marines. Ma, come ho detto, si tratta di una descrizione, il racconto di una fetta di vita in questa piccola parte della guerra, nella provincia di Anbar. Non ci sono richiesti giudizi o conclusioni. Altri potranno dire che cosa si può fare di tutto questo. Noi cerchiamo solo di registrare quello che succede e che cosa provano quelli che lo vivono in prima persona. Credo che sia sufficiente così. E' anche liberatorio, in un certo senso. Liberi dall'incombenza di dare giudizi possiamo concentrare tutta l'attenzione sull'esperienza di questi Marines, e tratteggiare un quadro della loro quotidianità in questo posto. E' un tassello della storia, complementare a tutti gli altri. Messi insieme, mi auguro, rendono il racconto ricco e completo. Questo è un messaggio che Chris Chivers, che lunedì ha vinto il Premio Pulitzer, aveva mandato a Paolo Mastrolilla nel 2006, quando era tornato in Iraq come inviato del New York Times, dopo averci combattuto come ufficiale dei Marines nel 1991. Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante direttore@lastampa.it |
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