|
| ||
|
||
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 27/03/2017, a pag. II, con il titolo "Quel progressista uscito dalla 'tribù' ", l'analisi tratta dal Financial Times.
Ho cambiato idea, lentamente, sul liberalismo moderno”. Inizia così la clamorosa confessione sul Financial Times di David Goodhart, già autore di “The British Dream”, la più serrata critica al multiculturalismo inglese e a sessant’anni di politiche di immigrazione. “Da studente di sinistra, ero ribelle contro lo sfondo borghese. Più tardi, sono diventato il fondatore e l’editore della rivista Prospect di sinistra. Lì ho dissentito dal consenso liberal in materia di immigrazione e multiculturalismo. Ho incontrato l’intolleranza della sinistra moderna per la prima volta. Successivamente, mi sono abituato a essere accusato di razzismo, anche per i miei figli”. Goodhart vede una distanza abissale fra “i colti, le persone che vedono il mondo da ‘anywhere’ e che apprezzano l’autonomia e la fluidità, e le persone generalmente meno istruite che vedono il mondo da ‘somewhere’ e che danno la priorità alla sicurezza. I primi rappresentano un quarto della popolazione e i secondi la metà”. Secondo Goodhart, è “confortante” far parte del primo gruppo, “contribuisce a creare pareti protettive intorno alla propria visione del mondo. In Gran Bretagna questo è sociologicamente rafforzato da un sistema universitario tale che l’università ti dà una sorta di status sociale in cui gli atteggiamenti liberal fanno parte di un ethos. Questa narrazione vede la razza e l’uguaglianza di genere come un preludio al superamento di tutte le comunità esclusive, tra cui lo stato-nazione. Cosa mi ha cambiato? La spiegazione convenzionale è che sono cresciuto e sono diventato un uomo di famiglia. Ma nessuno vuole essere un luogo comune e preferiamo l’idea che sia il mondo esterno che è cambiato. La spiegazione più lusinghiera è che sono sempre stato inquieto, che non mi sono mai sentito a mio agio nella tribù della sinistra privilegiata, l’inautenticità era troppo forte, la preoccupazione per la sofferenza in terre lontane anziché quella dietro l’angolo, l’incomprensione da vuoto religiosoe il disprezzo per la gente comune che avremmo dovuto sostenere. Poi mi è venuto in mente che, forse per la prima volta nella mia vita, mi sto comportando da intellettuale marxista trascendendo gli interessi di classe della borghesia e parlando alle preoccupazioni delle masse”. E in cosa crede ora Goodhart? Nell’idea “che il nazionalismo moderato è una forza positiva benigna che rafforza gli interessi comuni (e il welfare) contro gli effetti disgreganti del benessere, dell’individualismo e della diversità. Che gli uomini e le donne sono uguali, ma non identici. Che la legittima autorità nelle famiglie, nelle scuole e nella società in generale è una condizione necessaria per lo sviluppo umano. Che la religione, la lealtà e la saggezza della tradizione meritano maggior rispetto. Ora sono un post-liberale orgoglioso. Venite, unitevi a me, non avete niente da perdere se non le vostre cene comodamente consensuali”. Per inviare la propria opinione al Foglio, telefonare 06/589090, oppure cliccare sulla e-mail sottostante lettere@ilfoglio.it |
Condividi sui social network: |
|
Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui |