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Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
16.07.2016 Strage islamista a Nizza: le analisi
Analisi di Fiamma Nirenstein, Ely Karmon intervistato da Francesco Rigatelli

Testata:Il Giornale - La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstein - Francesco Rigatelli
Titolo: «Ma il terrorismo si sconfigge, non è un destino ineluttabile - 'Nizza non a caso: da lì sono partiti 110 jihadisti verso la Siria'»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 16/07/2016, a pag. 15, con il titolo "Ma il terrorismo si sconfigge, non è un destino ineluttabile", l'analisi di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA, a pag. 13, con il titolo "Nizza non a caso: da lì sono partiti 110 jihadisti verso la Siria", l'intervista di Francesco Rigatelli a Ely Karmon, tra i maggiori esperti mondiali di antiterrorismo.

A destra: strage islamista a Nizza

Ecco gli articoli:

IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Ma il terrorismo si sconfigge, non è un destino ineluttabile"

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Fiamma Nirenstein

Fra le immagini spaventose che tutti gli schermi del mondo ci hanno mostrato da Nizza, una colpisce particolarmente, perché è l'autoritratto dell'Europa: una madre appoggiata a un muretto, immobile, stupita di essere viva, lei e il suo bambino terrorizzato, fermo anche lui, riverso sull'unica fonte della sua sicurezza, il calore della mamma. Quella mamma è il Vecchio Continente, una madre stupefatta, in preda a un incubo da cui non sa uscire, consapevole di dover proteggere i suoi figli, ma impietrita di fronte a questa necessità.

Il terrorismo non è però il destino dell'Europa, è un'evento catastrofico da affrontare, da cui difendersi, da definire con precisione, piantandola finalmente con le stupide diatribe sulla sua componente religiosa. La bandiera dell'Isis viene piantata dove colpisce, e si aggiunge cosi una pietra alla costruzione che deve rendere il mondo uguale a quello dell'ottavo secolo, quando Maometto marciava vittorioso alla testa delle sue truppe. Non abbiamo voglia di confessare a noi stessi questa verità perché evidentemente non siamo abbastanza sicuri di non essere «islamofobici»; dovremmo invece una volta per tutte essere abbastanza sicuri delle nostre buone intenzioni, del liberalismo della società democratica per capire che non la stiamo attaccando quando identifichiamo i terroristi, ma che la stiamo difendendo, e con essa anche i musulmani che intendono, se vivono da noi, rinunciare alla shariah che non è compatibile con le nostre norme democratiche. Non abbiamo tempo, dobbiamo difenderci e se l'acqua in cui nuotano è vitale per i terroristi, là bisogna agire.

Il terrorismo non è imperscrutabile. Lo si può capire, in parte prevedere, studiare e spiare. In Israele l'uso dello shabbach e del mossad per prevenirlo è intensivo, ci sono gruppi, i «mistaravim», che vivono coraggiosamente mescolati con gli arabi e portano informazioni preziose. Gli attacchi con le auto sui cittadini inermi nascono in Israele durante questa ultima Intifada sono stati già 46, le fermate degli autobus sono state uno degli obiettivi più facili. Adesso gli attacchi con le auto sono diminuite, la gente ha imparato a stare attenta, e la polizia sta in allerta.

Si dice che la gente a Nizza non abbia capito a lungo che si trattava di un terrorista, e ha invece pensato a un guidatore colpito da malore. Ci vuole più quieta consapevolezza, niente panico. Importanti anche gli aggiomamenti continui alle leggi, adesso per esempio è in discussione il progetto di trattenere ai palestinesi l'equivalente del denaro che versano mensilmente ai palestinesi condannati per terrorismo e, se sono morti, alle loro famiglie: veri stipendi al terrore. Il circolo familiare è stato individuato come culla del sostegno alle loro attività, quindi un terrorista sa che se ucciderà la sua casa verrà distrutta, e i suoi parenti, se hanno un permesso di soggiorno se lo vedranno ritirare. Il numero delle forze dell'ordine, sempre coadiuvate dai volontari, è stato recentemente aumentato specie nei centri urbani; i mezzi di comunicazione, autobus, treni, sono tutti sottoposti a stretta sorveglianza.

Se un attentato esce da un villaggio particolare, il luogo viene circondato e bloccato finché non si prendono i ricercati. E efficace? Fino a un certo punto, non sempre funziona, purtroppo a volte i terroristi uccidono con tale crudeltà e velocità che nessuna mossa funziona. Ma altre volte può funzionare, deve funzionare. Per esempio Israele è un paese che vive e si sviluppa senza toccare la sua democrazia respingendo ogni giorno decine di attacchi conosciuti e sconosciuti. Ma sempre, il punto principale per combattere e il consiglio biblico di Isaia: non avere paura.

LA STAMPA - Francesco Rigatelli: "Nizza non a caso: da lì sono partiti 110 jihadisti verso la Siria"

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Ely Karmon

«Il metodo di usare auto e camion per atti terroristici viene inventato dai palestinesi in Cisgiordania e in Israele negli Anni 90. Gli attentatori dell’Isis li hanno imitati su consiglio dei portavoce della propria organizzazione. Anche gli Uiguri, etnia islamica cinese, vi si sono ispirati nell’attacco suicida di una famiglia intera in auto a Pechino due anni fa».
Ely Karmon, decano dell’Interdisciplinary Center di Herzlyia vicino Tel Aviv, tra i maggiori esperti di antiterrorismo, ricostruisce così l’origine dell’attentato di Nizza.

Cos’altro ha notato?
«Nizza non è un posto qualsiasi. Da lì sono partiti 110 jihadisti per la Siria».

Si poteva evitare?
«La soluzione parziale a questo tipo di rischio è la preparazione delle forze dell’ordine. In questo caso, una serie di civili ha contribuito a limitare il pur alto numero delle vittime».

L’Italia com’è messa nell’antiterrorismo?
«Ha un’esperienza storica a riguardo e il fatto che non ci siano stati attentati a Roma o in Vaticano è un successo. Ricordo che il magistrato Stefano Dambruoso sventò un attentato a Strasburgo facendo arrestare a Milano una cellula islamica sei mesi prima dell’11/9. Va detto che in Italia c’è una comunità islamica più moderata e piccola di quella francese o scandinava».

Lei pensa che tutti gli attentati cui assistiamo siano collegati?
«Occorre distinguere. Quelli del Bataclan di Parigi e di Bruxelles sono stati organizzati e promossi da Is. Charlie Hebdo da Al Qaeda. Quelli in Turchia vengono da un Is più caucasico. In Bangladesh da una rivalità Is-Al Qaeda. E quelli negli Stati Uniti mi sembrano frutto della propaganda».

Come si capisce se un attentato è individuale o dell’Isis?
«Bisogna guardare quanto è organizzato».

Si può credere a ogni rivendicazione dell’Isis?
«Solo dopo l’identificazione degli attentatori. Isis si giova della sua propaganda, l’arma più forte che tutti dovremmo combattere vigilando, dialogando e informando».

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