Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/11/2015, a pag. 26, con il titolo "Fu una giustizia imperfetta ma il meglio che si potesse fare", l'intervista di Paolo Mastrolilli a Alan Dershowitz.
Paolo Mastrolilli
Alan Dershowitz
Il giurista di Harvard Alan Dershowitz, uno tra i più celebri principi del foro americano, definisce il processo di Norimberga come «giustizia imperfetta». E poi aggiunge: «Per non ritrovarci nelle stesse difficoltà oggi, dovremmo costituire un tribunale internazionale contro i reati di terrorismo».
Perché Norimberga fu «giustizia imperfetta»?
«Non esistevano i precedenti e le strutture. Non c’erano un tribunale e leggi internazionali chiare, e non c’erano neppure giudici preparati in maniera specifica per quel compito: molti di loro, anzi, erano ex nazisti. Infatti diversi criminali colpevoli di genocidio, come ad esempio il dottore Mengele, riuscirono a farla franca. Diciamo che, nelle condizioni date, fu il meglio che si potesse fare».
Dal punto di vista giuridico è accettabile che i vincitori di una guerra processino i vinti?
«Succede sempre così. In molti casi i vinti vengono semplicemente ammazzati, e quindi in questo senso Norimberga rappresentò un progresso storico, perché quanto meno di fu un processo».
Gli imputati di Norimberga
E’ lecito processare il male?
«No, si processano i reati. In quel caso il male assoluto fu implementato attraverso il genocidio, e quindi davanti ai giudici finirono persone accusate di aver commesso crimini specifici. C’è molto male anche nella nostra società, ma si può essere diabolici senza violare le leggi internazionali».
Perciò, davanti agli orrori commessi dall’Isis, lei invoca la creazione di un tribunale specializzato nel terrorismo?
«La situazione oggi è migliorata rispetto a Norimberga, perché abbiamo una Corte penale internazionale, e quindi un quadro di riferimento per giudicare certi reati. Però questa Corte non ha neanche un’inchiesta aperta sull’Isis, mentre indaga su Israele. Papa Francesco ha detto giustamente che stiamo vivendo la Terza guerra mondiale, ma si tratta di una guerra combattuta attraverso il terrorismo, e quindi dovremmo attrezzarci per affrontarlo anche sul piano legale».
Al momento la comunità internazionale non è d’accordo nemmeno sulla definizione del terrorismo.
«Vero. Ma la soluzione è semplice, se la vogliono: chiunque prenda di mira deliberatamente i civili commette un atto di terrorismo, che può essere perseguito da questo nuovo tribunale».
Non si corre il rischio che qualcuno definisca pure i militanti dell’Isis come combattenti per la libertà?
«Anche i nazisti, per difendersi, dissero che obbedivano ad un progetto politico che passava sopra le loro teste, ma nessuno accettò questo argomento. Gli esseri umani hanno la responsabilità delle proprie azioni, e non credo che esista un magistrato disposto a giustificare le atrocità commesse dall’Isis come atti politici finalizzati alla libertà».
L’assenza di questo tribunale favorisce lo sviluppo del terrorismo?
«Certo. Sul piano internazionale non è neppure formalmente un reato. Questa condizione di incertezza aiuta tanto i terroristi, quanto i loro fiancheggiatori».
Durante il G20 di Antalya, il presidente russo Putin ha accusato alcuni Paesi seduti intorno al suo tavolo di aver finanziato l’Isis. Andrebbero giudicati davanti al nuovo tribunale?
«Putin purtroppo aveva ragione. C’è troppa ipocrisia e connivenza intorno al fenomeno dell’Isis, così come c’era stata intorno al nazismo. Il tribunale contro il terrorismo, andando anche oltre Norimberga, dovrebbe poter processare chi lo finanzia, chi lo sostiene, chi incita a praticarlo. Avrebbe un forte effetto pratico di dissuasione e prevenzione, che non esistette ai tempi del nazismo».
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