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Ugo Volli
Cartoline
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Romanticismo politico 12/08/2015

Romanticismo politico
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

permettetemi di prolungare ancora la mia riflessione sulla difesa di Heidegger fatta da certi intellettuali che sostengono “era nazista sì, ma anche un grande filsofo, non possiamo fare a meno della sua filosofia”.
Certo, molti filosofi hanno scelto pessime cause, a partire da quel Platone che andò a Siracusa due volte a farsi proteggere dai sanguinari tiranni di Siracusa Dionisio I e Dionisio II, anzi a pretendere di far loro da maestro e da guida (è un'illusione diffusa, anche Heidegger aveva analoghe speranze col nazismo), col risultato di essere imprigionato e quasi ucciso.

Ma in molti casi è possibile distinguere la filosofia dal sostegno a regimi dittatoriali e sanguinosi (forse non per Platone, o almeno non la pensava così Karl Popper, che contro le compromissioni politiche di Platone e Hegel scrisse proprio negli anni in cui Heidegger si atteggiava a filosofo del nazismo “La società aperta e i suoi nemici”).

Il servilismo dei filosofi e degli artisti nei confronti del potere è una storia vastissima, che in Occidente inizia forse con Omero (in fondo la sigla di una scuola di poeti girovaghi di corte, pagati da chi li sentiva lodare i loro antenati mitici) e non è certo ancora finita.

Ma nel Novecento o forse già dal Romanticismo, questa storia si è accresciuta di un nuovo capitolo, che potremmo chiamare “servilismo sovversivo” (Raymond Aron l'ha chiamato nel titolo di un celebre pamphlet “L'oppio degli intellettuali”).
Esso consiste nel mettersi al servizio non del sistema democratico presente, che è visto sempre come un po' traballante e comunque è per forza tollerante, non punisce i suoi nemici e non aiuta gli amici. Ma di arruolarsi nelle truppe rivoluzionarie, non importa se di destra o di sinistra, rifiutando la società “filistea” e “borghese” che dà a tutti la libertà di espressione, di voto e anche il benessere economico, per arruolarsi fra i contestatori, i rivoluzionari, e in particolare i cultori del capo, del Füher, del Grande Leader, della Guida Suprema.

Chiunque prometta di abolire la libertà, di distruggere la democrazia, di guidare con mano ferma una società militarizzata: Hitler e Stalin, Mao e Mussolini, Castro e Nasser, Khomeini e Ho Chi Min e Arafat e Chavez. E magari anche il piccolo aspirante dittatore locale Almirante e Togliatti e magari anche Brandirali (per chi non se lo ricordasse, era il grande leader di “Servire il Popolo”, quel gruppo maoista che faceva i matrimoni proletari; dopo qualche anno ne ho risentito parlare come esponente di Comunione e Liberazione) e Rauti e Capanna e Adriano Sofri e... I leader esotici sono naturalmente meglio dei leaderini locali, anche perché di solito hanno vinto e dispongono di soldi per pagare la pubblicità, o almeno dei bei viaggi con trattamento VIP.
Ma non è che vedere di persona i disastri che hanno combinato aiuti gli intellettuali assuefatti all'oppio a cambiare posizione. Tutt'altro. Ci sarebbe da riempire una grossa antologia comica con i resoconti di viaggio in Unione Sovietica, Cina di Mao, Cuba, Iran di Khomeini, Italia di Mussolini scritti da maitres à penser come Sartre, Foucault, e da noi Rossanda o Moravia. Non voglio farvi l'eneco di questi intrepidi viaggiatori o più in generale degli intellettuali “impegnati”, come li chiamava Sartre, ma forse sarebbe meglio dire impiegati. Sarebbe troppo noioso e mi prenderebbe l'intera cartolina.

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E' interessante notare che non c'è differenza su questo punto come su molti altri fra intellettuali militanti di destra e di sinistra; il meccanismo di corruzione è esattamente lo stesso. Fra i pittori comunisti che dipingevano Stalin e il “realizmo socialista” e quelli fascisti che ritraevano il Duce e la fierezza del popolo romano rinato non c'è alcuna differenza, spesso si tratta anche delle stesse persone.
Lo stesso dicasi di filosofi e giornalisti, romanzieri e professori, passati da un libro paga all'altro con la massima disinvoltura, anche perché il loro vero odio era per la monotona, banale, stupida società democratica dove, come diceva Churchill se non sbaglio, prima delle meraviglie della grande distribuzione, se qualcuno ti bussa alla porta alle sei di mattina è il garzone del lattaio che ti porta la bottiglia, non la polizia segreta che viene a prenderti.

Lasciamo stare la corruzione e il mercimonio, che non sono mancati in senso positivo (ci sono elenchi dei versamenti del fascismo ad artisti, giornalisti e intellettuali) e negativo (lo scrittore che non fosse “compagno di strada” dei comunisti negli anni Cinquanta e Sessanta in Italia non poteva praticamente pubblicare; in Russia e nei paesi dell'Est rischiava seriamente la vita - se volete dettagli leggete Kundera, Bulgakov, Solženicyn.

Anche se immaginiamo tutti puri e santi, resta il problema del “romanticismo politico”, per rubare l'espressione a uno di questi intellettuali compromessi col nazismo, che è ancora dominante nelle università americane, per esempio, dove non si può non essere (neo- o post- o anche solo paleo-marxisti, postcoloniali, saidisti, e dunque antisraeliani più o meno palesemente antisemiti).
Questo romanticismo politico consiste nell'odio per il sistema democratico e il mercato, nel desiderio di una missione e di un leader che lo incarna, concepisce la cultura come “servizio” (un concetto largamente usato da Heidegger nel suo rettorato).

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Martin Heidegger

C'è una complicità di fondo in questo atteggiamento di “impegno”, di “servizio” e quindi di disonestà intellettuale, di rifiuto del vincolo dei fatti, nella grande maggioranza degli intellettuali e degli artisti europei ormai da un secolo, sia quelli di destra che quelli di sinistra. C'è dunque comprensione, simpatia, che porta a perdonare anche il nazismo di Heidegger.

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Gianni Vattimo

Vi faccio solo un esempio. A parte l'interesse personale per un autore su cui ha costruito buona parte della sua carriera, qual è il motivo per cui un intellettuale di estrema sinistra come Gianni Vattimo non si turba per il nazismo “metafisico” o meno di Heigegger? Lo spiega lui stesso in un'intervista del 2012 ripresa nel suo blog: “se si rilfette un momento, ci si accorge che Heidegger, con la sua adesione al nazismo ha fatto un'azione coraggiosa [...] È sceso in campo, ha realizzato la sua personale idea di intellettuale engagé. Che poi fosse un'idea sbagliata è un'altra storia. Ma si è sporcato le mani.” (http://giannivattimo.blogspot.com.es/2012/06/heidegger-nazismo-e-filosofia.html ).

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Donatella Di Cesare

E' un atteggiamento diffuso, qualcosa di più di una semplice difesa corporativa, è l'idea che consegue a ciò che un altro filosofo antisemita e antidemocratico come Fichte chiamava “la missione del dotto”.
Insomma, il male che espone il nazismo e l'antisemitismo di Heidegger è profondo nella cultura europea. Non è forse solo l'insegnamento del maestro di Vattimo (e di Di Cesare) a dover essere messo in discussione, ma un'intera linea della filosofia.

Ugo Volli


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