Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 22/08/2013, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Ipotesi su una strage con armi chimiche. Cosa è successo ieri a Damasco? ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 1-11, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Così il regime ha costruito quell'arsenale ". Da REPUBBLICA, a pag. 12, l'intervista di Alix Van Buren a Gwyn Winfield dal titolo " Troppe anomalie in quell’attacco, adesso serve un’indagine seria ", preceduta dal nostro commento.
Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Ipotesi su una strage con armi chimiche. Cosa è successo ieri a Damasco?"

Roma. Tre giorni dopo l’arrivo a Damasco degli ispettori delle Nazioni Unite incaricati di investigare sull’uso di armi chimiche in Siria, l’opposizione siriana denuncia la morte di centinaia di civili in un attacco con armi chimiche. Ci sono numeri eccezionalmente diversi sui morti: da poche decine a 213 a oltre 650 fino alla cifra impensabile di 1.400 e arrivano tutti dai gruppi di attivisti anti Assad che hanno contatti sul posto, non ci sono conferme indipendenti. Il governo nega. Di certo c’è che ci sono video e foto di decine e decine di cadaveri anche di bambini che non presentano ferite evidenti, sembrano morti per soffocamento e quindi è plausibile che la causa della loro morte sia un qualche tipo di arma chimica. L’attacco chimico presunto è arrivato all’inizio di una massiccia offensiva dell’esercito siriano per allontanare i ribelli dalla periferia orientale di Damasco. I siti colpiti sono nella Ghouta, ovvero nella lunga striscia semiurbana a sud e a est della capitale che avvolge la città come la lunga coda di una cometa e da mesi è controllata dalla guerriglia – anche dalle fazioni più estremiste, come il Jabhat al Nusra. I razzi con le testate chimiche secondo i testimoni hanno colpito alle quattro del mattino a Duma, Irbin, Hamuriya, Zamalka, Ein Tarma, Kafar Batna, Daraya e Muaddamiya. All’alba è seguito un bombardamento di artiglieria convenzionale e brutale, forse uno dei più intensi della guerra. I video mostrano i primi soccorritori prestare aiuto alle vittime degli agenti velenosi lavando le bocche e gli occhi con aceto e Seven up; si vedono alcune vittime schiumare dalle labbra e boccheggiare; pupille dilatate (possibile sintomo di un’aggressione chimica) e file e file di cadaveri. I siti della strage – perché armi chimiche o no ieri c’è stata una strage di civili – sono in media a 15 chilometri di distanza dall’ albergo a cinque stelle Four Seasons di Damasco, dove da domenica alloggia la squadra dell’Onu che per mesi era stata tenuta fuori, a Cipro, prima di poter entrare finalmente in Siria per indagare sul possibile uso di armi chimiche. Il capo svedese, Ake Sellström, dice di aver visto le immagini e che “c’è sicuramente qualcosa su cui indagare”. Il suo mandato però è valido soltanto per Khan al Asal, vicino Aleppo (dove a febbraio c’è stato un presunto attacco chimico), e per altri due siti non specificati. Se il governo siriano non consentirà l’accesso, la squadra non potrà percorrere quei pochi chilometri che sarebbero cruciali, perché la scena di un attacco “fresco” contiene molte più prove e molto più forti rispetto ai siti vecchi di mesi. Washington, Londra e Parigi chiedono all’Onu di negoziare con la Siria un nuovo mandato del team e ieri era in programma una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza. La Russia, però, è alleata del presidente Assad, sostiene a priori che le notizie sull’attacco chimico “sono false” e ha potere di veto. Il massacro arriva esattamente un anno dopo il discorso del presidente americano Barack Obama sulla “linea rossa”, era il 20 agosto 2012. L’uso di armi chimiche, disse, sono la linea rossa che se attraversata farà scattare il nostro intervento. Obama pensava probabilmente a uno scenario tipo Halabja, la cittadina del nord iracheno gassata nel 1988 (morirono 5.000 curdi). Intere famiglie morte a terra in un panorama spettrale di devastazione. Quelle parole sulla linea rossa sono state rinfacciate molto a Obama a causa di una serie di presunti attacchi chimici minori avvenuti in Siria negli ultimi otto mesi e mai chiariti del tutto e che non hanno fatto mai scattare alcuna reazione da parte dell’Amministrazione Obama, se non di blanda “preoccupazione”.
Cosa può essere successo? Qui si entra nel campo della speculazione pura. Nei mesi scorsi il Monde ha parlato di uso “tattico” di armi chimiche sul fronte di Damasco: sono attacchi minori con agenti chimici meno potenti del gas nervino e hanno lo scopo di fare arretrare i ribelli senza doverli sloggiare con combattimenti casa per casa. C’è chi fa il confronto con il gas usato dai russi per il blitz nel teatro Dubrovka nel 2002 – avrebbe dovuto neutralizzare gli occupanti ma uccise molti ostaggi. L’ipotesi è che gli agenti chimici facessero parte del bombardamento preventivo prima dell’inizio della massiccia offensiva di ieri, che a terra vede anche l’impiego della quarta divisione corazzata, la più fedele, guidata da Maher el Assad, il fratello del presidente. Qualcuno tra i militari avrebbe esagerato con il gas e ha causato il più grave attacco chimico dal 1988, invece che l’ennesimo incidente minore che si sarebbe confuso nella nebbia della guerra come finora.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Così il regime ha costruito quell'arsenale "

Un programma di ricerche iniziato con l'aiuto di Paesi alleati e occidentali, poi lo sviluppo di un proprio arsenale attraverso una mezza dozzina di impianti sparsi sul territorio. I siriani hanno lanciato il piano per dotarsi di armi chimiche negli anni 70 grazie all'assistenza dell'Egitto che, a sua volta, aveva ricevuto il sostegno dell'Urss.
Successivamente Damasco ha ampliato la rete di cooperazione e ha avuto l’assistenza – ben pagata – di numerosi Stati. Corea del Nord, Germania, Francia e Iran hanno passato la tecnologia indispensabile a perfezionare gli apparati. Acquisti gestiti da un ufficio approvvigionamenti mascherato da centro scientifico con punti d’appoggio anche in Europa occidentale. Fondamentale – secondo l’analisi Usa – l’appoggio di Teheran. I pasdaran e i volontari hanno sperimentato sulla loro pelle gli attacchi non convenzionali iracheni durante il lungo conflitto (1980-88). Perdite pesanti che li hanno spinti ad ampliare i loro depositi militari per rispondere con la stessa carta. E, in seguito, a passare la conoscenza all’alleato siriano.
I dittatori della regione, poi, hanno imparato la tattica di Saddam Hussein. Per piegare gli oppositori – in particolare i curdi – il raìs di Bagdad non ha esitato a colpirli con i gas. Uno sterminio sistematico, con migliaia di vittime, nella cornice nera dell’Operazione Anfal. Una pagina terribile testimoniata dal massacro di Hallabja, con bimbi e donne portate via dalla morte invisibile nel marzo 1988. Un esempio di come si possano punire, su larga scala, gli avversari del potere.
Gli Assad, prima il padre Hafez e poi il figlio Bashar, hanno a loro volta costruito l’arsenale avendo in mente due esigenze. La prima strategica. Non potendo sostenere il confronto tradizionale con il nemico Israele, i siriani hanno deciso di dotarsi di gas letali, tra i quali il nervino. Mezzi da usare in caso di uno scontro totale. La seconda esigenza, emersa solo in seguito e con l’acutizzarsi della rivolta, è invece legata alla sopravvivenza stessa del regime. Se gli insorti dovessero avanzare in modo minaccioso, il clan alawita vuole essere in grado di fermarli, spazzando via tanto i militanti che la popolazione ostile.
Le analisi dell’intelligence americana sostengono che la Siria può contare su 5-6 impianti dove sono messi a punto i «veleni», laboratori presenti nel nord e nella zona della capitale. Homs, Al Safira, Latakia, Hama, Palmyra e Damasco sono tra i siti indicati dallo spionaggio statunitense come luoghi dove sono «studiati» i gas. Quanto ai vettori per lanciarle, i siriani possono usare vecchie bombe, missili terra-terra Scud e razzi Grad, poco precisi ma facili da produrre. Il controllo è affidato a unità scelte della Guardia repubblicana e composte esclusivamente da uomini della comunità alawita, la stessa del presidente. Di solito, le cariche chimiche sono tenute separate dagli ordigni e, solo in caso di necessità, sono assemblate insieme. Un passo che può essere intercettato dall’intelligence Usa e israeliana, entrambe vigili sulle mosse siriane. Al punto che il Pentagono, insieme a Francia e Gran Bretagna, ha elaborato piani di intervento per mettere in sicurezza i depositi. Operazione rischiosa che comporterebbe l’intervento di migliaia di uomini. Gerusalemme ha invece svolto esercitazioni ad hoc e condotto un intenso monitoraggio degli impianti siriani. La paura è che Damasco non solo usi i gas ma che li possa trasferire agli amici Hezbollah. Una grana in più per una regione ormai in fiamme.
La REPUBBLICA - Alix Van Buren : " Troppe anomalie in quell’attacco, adesso serve un’indagine seria "

Gwyn Winfield
Repubblica è il quotidiano che dà maggiore spazio al dubbio della realtà di quanto è avvenuto. La giornalista è Alix Van Buren, della quale ricordiamo gli stretti legami con l'ufficio stampa di Assad, per cui rimaniamo in attesa della verifica annunciata da Gwyn Winfield e quali risultati darà.
«L’attacco con agenti tossici ieri in Siria sembra avere tutte le caratteristiche di un nuovo incidente del Tonchino: un “casus belli” creato ad arte per giustificare un’escalation militare delle potenze straniere, come quello che nel ’64 autorizzò l’intervento americano in Vietnam. La verità la scoprirà soltanto un’indagine poliziesca: le impronte digitali sono fatte apposta per condurre all’esercito siriano». Gwyn Winfield è uno degli esperti più ascoltati in queste ore: a capo delle Falcon Communications inglese, è un’autorità riconosciuta nel campo della difesa dalle armi non convenzionali. Signor Winfield, le vittime dell’attacco sono vere. Quale agente è stato usato? «Per vederci chiaro bisogna aspettare il bilancio reale delle vittime. I sintomi fanno pensare all’uso di agenti antisommossa molto potenti contenuti in munizioni lanciate di solito da aerei o dall’artiglieria. Li hanno impiegati gli americani in Vietnam, gli israeliani a Gaza; servono a far uscire all’aperto il nemico dai nascondigli, per poi ucciderlo con munizioni regolari. Ma introdotti in spazi ristretti, provocano la morte». Sarà facile individuare la sostanza, recuperandone dei campioni? «Niente affatto. Chi lo ha usato ha scelto apposta un agente volatile per cancellare la propria firma. Ne restano tracce, però, nel sangue, nei polmoni e nei capelli delle vittime per 48-72 ore. Non si tratta di Sarin classificabile come arma, bensì di un organofosfato prodotto in Siria, forse mescolato con altre sostanze chimiche». Perché esclude il gas Sarin? «Perché i soccorritori non hanno protezioni, quindi la tossicità del prodotto è più bassa. Se invece fosse confermato il bilancio di 500 o 5000 morti, allora si prefigurerebbe l’impiego di una vera arma chimica». Lei è scettico al riguardo? «Come non esserlo? È difficile credere che il regime di Assad lanci un’offensiva del genere in simultanea con l’arrivo a Damasco degli ispettori Onu incaricati dell’indagine sulle armi chimiche. Come in ogni omicidio, l’investigatore deve chiedersi: cui prodest? Non giova certo al regime, che in ogni caso verrà incolpato». Perché? «Perché quella sostanza è prodotta dalle forze armate del regime. È probabile che sia stata catturata dai ribelli dell’Esercito libero siriano, gli unici altri in grado di lanciare quegli agenti con l’artiglieria. E a loro sì, che giova: otterranno le armi e l’intervento promessi da Washington. Solo un’indagine di tipo poliziesco potrà rivelarci chi è davvero il colpevole».
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