Egitto ancora oggi, 28/07/2013, in primo piano. Reprendiamo dal GIORNALE il commento di Fiamma Nirenstein a pag. 11, dalla STAMPA quello di Maurizio Molinari a pag. 5, dal CORRIERE della SERA, una intervista di Lorenzo Cremonesi.
Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Ma con gli occhi dell'Occidente non capiremo mai questa crisi "


Fiamma Nirenstein
La nostra immensa «deplorazione per la perdita di vite umane», in mezzo alla carneficina che nelle scorse ore ha preso il via in Egitto, è piuttosto ovvia. Quindi, l'ha naturalnente espressal ady Catheine Ashton, alto rappresentante perl a Politica estera e la Sicurezza dell'Unione europea. Altrettanto ovvio il fatto che Ashton «esorta tutti i protagonisti ad astenersi dalla violenza e a rispettare i principi delle proteste pacifiche e della non violenza».
Abituato a sua volta alle manifestazioni a Downing Street William Hague esprime gli stessi sentimenti e seguono tutti gli altri, preoccupandosi, chiedendo di star calmi. Lo sfondo di questo pensiero è l'idea che le parti in causa potrebbero trovare un accordo, che il compromesso, come usa da noi, potrebbe salvare delle vite. Intanto sale il numero di morti, l'odio avanza insieme alla violenza fra l'esercito di Abdel Fattah al Sisi e i Fratelli Musulmani di Morsi. Il tipo di dichiarazioni che vengono fatte, come dice bene lo studioso Harold Rhode su Gatestone, sono totalmente prive di significato, e anzi riducono la nostra influenza. Insensato il tentativo di indurre alla calma parlando di qualcosa che è totalmente estraneo alla cultura di un mondo che non conosce il compromesso e la parziale rinuncia, ma solo la vittoria o la sconfitta.
E assurdo che seguitiamo a sbagliare dopo che le nostre parole al vento hanno tolto sia all'Europa che agli Usa ogni credibilità a partire dalle «Primavere arabe»: vi abbiamo scorto segni di democratizzazionee abbiamo giubilato. In realtà, hanno vinto ovunque le forze ultrareligiose e hanno imposto regimi liberticidi.
E molto difficile- dopo che in Egitto una parte (la Fratellanza Musulmana, più i Salafiti) ha preso il 75 per cento dei voti e un presidente (Morsi) il 41 - non denunciare un attaco alla democrazia in un golpe militare. Ma è anche vero che lo scopo di quelle forze era un regime non democratico e islamista. Vuol dire allora che hanno vinto le forze laiche, cacciando la Fratellanza dal potere? Niente affatto, esse rappresentano una piccola parte della massa anti Morsi, e sarebbe assurdo ignorare due fatti: il primo, che l'Egitto è un Paese che ama l'islam e probabilmente quelli che ora sono in campo contro Morsi pensano che, con dei capi onesti e competenti, «l'islam è la risposta». La forza sociale e politica dei laici è scarsa. In secondo luogo, l'Egitto è un Paese dominato dall'esercito, che lo teme, lo odia, lo ama, è abituato ai suoi colpi di stato, sa che dal colpo di stato nasseriano la forza trainante è l'esercito, con Nasser, Sadat o Mubarak. Il generale Mohammed Tantawi, fattosi da parte a 76 anni, ha governato più di Mubarak, l'esercito governa economia, posti di lavoro, opinione, è il decimo nel mondo per numero di uomini, Tantawi ha messo in galera prima dell'avvento di Morsi circa 10mila Fratelli.
Dobbiamo capire che l'islam, per cultura e onore, non cerca il compromesso, Hamas e Fatah si odieranno per sempre, Erdogan e la sua opposizione non arriveranno a un accordo, Assad e i ribelli hanno scelto la carneficina, Saddam Hussein si fece ammazzare piuttosto di trovare un compromesso. Occorre, se vogliamo incidere, fare la voce grossa, stabilire una politica condizionale, avere il coraggio di scegliere chi fa meno danno. In questo caso, probabilmente, è l'esercito.
La Stampa-Maurizio Molinari: " L'incubo del caos spinge Washington verso l'esercito "


Maurizio Molinari
Le violenze al Cairo fanno temere a Washington che l’Egitto possa diventare uno «Stato fallito» ma su come evitarlo l’amministrazione Obama è divisa.
Ad esprimere la preoccupazione che il Cairo possa scivolare nel caos è stato William Burns, numero due del Dipartimento di Stato, durante una seduta a porte chiuse del Congresso di Washington avvenuta al suo ritorno dall’Egitto. Da quanto trapelato, Burns ha spiegato che lo scenario del «failed State» - uno Stato con un governo incapace di mantenere l’ordine - si pone a causa della degenerazione della sicurezza nel Sinai, dove bande di beduini e gruppi jihadisti gestiscono ampie aree geografiche e traffici illeciti riuscendo anche, dall’indomani del rovesciamento del presidente Morsi, ad insediare le forze governaitve dentro El Arish, il maggiore centro a ridfosso del confine con la Striscia di Gaza. L’incapacità dell’esercito egiziano di ripristinare il controllo sul Sinai è un segnale di allarme che accompagnato alla violenta contrapposizione fra sostenitori e avversari di Morsi paventa il peggio. Si spiega così anche il contenuto della testimonianza resa sempre al Congresso da Dennis Ross, ex consigliere per il Medio Oriente della Casa Bianca, per sostenere la necessità di continuare a fornire gli aiuti militari al Cairo, considerandoli in questa fase decisivi per puntellare una stabilità sempre più precaria .Al momento la Casa Bianca sembra seguiire tale strada, come testimonia la scelta - illustrata da Burns e confermata dai portavoce del presidente- di non adoperare l'espressione "colpo di stato" per il rovesciamento di Morsi perchè ciò porterebbe a congelare aiuti militari per 1,3 miliardi annuali. A sostenere questa linea è il Pentagono di Chuck Hagel, che conferma le previste manovre militari congiunte proprio per consolidare i legami con i vertici delle forze armate egiziane. È una strategia che che punta a spingere Abdel Fattah al-Sisi da un lato verso le elezioni e dall’altro ad accordi rapidi con il Fmi per migliorare la situazione economica.
Ma dentro l’amministrazione vi sono altre opinioni - attribuite al consigliere per la Sicurezza Susan Rice - favorevoli piuttosto ad accrescere la pressione sui militari. Sarebbe questo il motivo per cui il presidente Barack Obama ha deciso di rinviare la consegna al Cairo di quattro F-16 confermando il «malumore» per la mancata scarcerazione di Morsi. Liberazione chiesta di fatto ieri da Kerry che ha ribadito «il diritto a manifestare». Al Congresso è l’influente senatore democratico del Michigan Carl Levin a sostenere tale approccio, battendosi per «la sospensione immediata degli aiuti militari» con un linguaggio fatto proprio dal «Washington Post» che incalza Obama: «Deve farsi sentire dai militari». Dietro tali posizioni liberal c’è la convinzione, espressa dall’arabista Marina Ottaway in un commento sul «Washington Post», che al-Sisi punti a diventare «un nuovo Nasser» ripetendo ciò che il raiss fece nel 1952: rovesciò il re Faruk con il sostegno dei Fratelli Musulmani per poi innescare violenze di strada che gli consentirono di metterli fuori legge, tenendo per sé tutto il potere.
Corriere della Sera-Lorenzo Cremonesi: " L'avvocata Heba, stop ai fanatici, l'Egitto che conosco è aperto e tollerante "


Lorenzo Cremonesi Mohammed Badie, capo dei Fratelli Musulmani
DAL NOSTRO INVIATO
IL CAIRO — «In casa nostra la religione è sempre stato un fatto personale, una scelta individuale. Musulmani, cattolici, copti, ebrei o atei, per noi sono tutti eguali. Questo era lo spirito del vecchio Egitto aperto, cosmopolita e tollerante, che parlava cinque lingue ed era curioso di tutto ciò fosse diverso. Questo era il Paese della mia giovinezza tra Port Said ed Alessandria, dove le comunità di italiani, ebrei sefarditi, greci ortodossi convivevano spalla a spalla, frequentavano gli stessi ristoranti, le stesse spiagge, gli stessi club sul lungomare, addirittura accettavano con un brindisi allegro i matrimoni misti. Ma adesso questo Paese è stato corrotto dal fanatismo intollerante, chiuso, ignorante e folle dei Fratelli musulmani. Minoranza ubriaca di pan-islamismo a noi straniero e anti-nazionale. Fa bene il generale Abdel Fattah Al Sisi a definirli terroristi. E spero che utilizzi a ogni prezzo il pugno di ferro contro di loro. La vera battaglia deve ancora cominciare».
Non occorrono troppe domande per spingere Heba Kaf El Ghazal a dire quello che pensa. Ci riceve con un grande sorriso nella sua bella casa tra i parchi verdi e punteggiati di palme nella «Green Residence», uno dei quartieri appena costruiti nella cosiddetta «Nuova Cairo», una zona di ville e palazzine di lusso nata negli ultimi anni alla periferia meridionale della capitale. Una bella donna di 43 anni, due figli universitari e il marito ingegnere navale, abituata agli agi e ai privilegi delle classi ricche egiziane. Ad aprire la porta della villa sono due cameriere africane. Nel giardino la piscina è piena, le piante sono ben tenute, lussureggianti, nonostante il caldo che confonde nelle fate morgane il giallo accecante del deserto pietroso circostante. Per lei la vita è sempre stata carica di piacevoli sorprese, sino a due anni fa. «Sino alla caduta di Hosni Mubarak le nostre esistenze non sono mai state minacciate. E in casa nostra la religione non ha mai costituito un problema. Io sono musulmana. Mio marito ha una parte della famiglia che è greca-ortodossa. Un mio zio ha sposato un’ebrea in Germania», racconta.
All’inizio non fu contraria alla defenestrazione del vecchio regime. «Mubarak aveva fatto il suo tempo. Era un anziano ormai isolato dal mondo che sperava di fare eleggere il figlio Gamal senza accorgersi che la corruzione fioriva tutto attorno a lui. Ma poi i Fratelli musulmani si sono impadroniti della rivoluzione, hanno cambiato la Costituzione, hanno stravolto la democrazia in teocrazia», spiega. Un fenomeno che ha comunque radici antiche. «Il primo a sbagliare fu Anwar Sadat, che all’inizio degli anni Settanta permise che la legge islamica fosse inclusa nella Costituzione», dice. Per lei e la sua famiglia la crisi economica è particolarmente dura. Heba esercita da avvocato, guadagna oltre 7.000 euro al mese. Il marito prendeva anche di più. Ma la sua ditta ha chiuso da oltre un anno. Lui, licenziato, ha sofferto un grave infarto. Quando lo portano all’ospedale privato l’amministrazione chiede in anticipo 40.000 lire egiziana, una volta bastava il loro nome come garanzia. Adesso nessuno si fida: vale solo il contante, meglio se in valuta straniera. In pochi mesi si sono trovati a dover contare sui risparmi. «In gennaio abbiamo fatto un viaggio di piacere a Roma. Sono entrata da Prada. Volevo comprare una bella borsa. Un tempo non ci avrei pensato due volte. Ma mi sono controllata. Oggi ogni euro vale il doppio e sono sempre di meno».
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