Egitto alla resa dei conti. Riprendiamo oggi, 26/07/2013, dal CORRIERE della SERA la cronaca di Lorenzo Cremonesi a pag.11. Dal FOGLIO il commento di Carlo Panella a pag.1/4.
Corriere della Sera-Lorenzo Cremonesi: "Ultimatum dei militari ai Fratelli Musulmani, 48 ore per allinearsi"

IL CAIRO — Vigilia di tensione e paura per l’Egitto sull’orlo della guerra civile. Gli ospedali sono in allarme, si preparano cliniche di fortuna, si fanno scorte di cibo e benzina. «La violenza crescerà nella serata di venerdì e potrebbe allargarsi nel fine settimana», temono i giornalisti locali. Milioni di manifestanti favorevoli ai militari che il 3 luglio hanno defenestrato il governo dei Fratelli Musulmani e arrestato il presidente Mohamed Morsi sono attesi oggi nelle piazze di tutto il Paese in risposta all’appello lanciato mercoledì dal generale Abdel Fattah Al-Sisi. È lui l’uomo forte del momento autonominatosi ministro della Difesa ad interim: chiede il pieno mandato popolare per usare il pugno di ferro contro il fronte religioso. In un ultimatum reso noto ieri concede «48 ore» (dunque sino a sabato pomeriggio) ai Fratelli Musulmani per porre fine alle manifestazioni di protesta che da quasi un mese scuotono l’Egitto. Il comunicato distingue tra «popolo» e «terroristi che non hanno patria o religione», ma ribadisce la vecchia tesi per cui i sostenitori del presidente defenestrato sarebbero comunque nemici da combattere «con ogni mezzo».
I Fratelli Musulmani rispondono gridando al «golpe». Per loro al sopruso dell’esercito, visto come la versione ancora più «intransigente» delle vecchie forze armate dell’ex presidente Hosni Mubarak, si deve reagire con la piena mobilitazione. Non lasciano spazio al compromesso. Hanno rifiutato gli appelli al dialogo lanciati dal nuovo presidente ad interim, Adli Mansur, bollato a sua volta come un «burattino di Al Sisi e degli americani». E non intendono togliere le barricate. Anche ieri i loro leader ancora in libertà (a centinaia sono stati arrestati nelle ultime tre settimane) hanno definito l’appello alla mobilitazione di Al Sisi «un invito alla guerra civile». Ma a loro volta sono divisi. Le frange più estreme si stanno armando. Due sere fa alcuni gruppi hanno cercato di attaccare l’aeroporto di Luxor. Nel Sinai sono stati uccisi altri due militari (sono 30 i soldati morti nella regione dai primi di luglio). Morti chiamano morti. Pare siano oltre 150 i militanti del fronte religioso deceduti in un mese. La catena di violenze è alimentata dalla crisi economica sempre più grave. Dagli Stati Uniti l’amministrazione Obama invita i militari alla moderazione e fa sapere che non dichiarerà la destituzione del governo precedente un colpo di Stato.
Mohamad Badie, uno dei massimi leader spirituali dei Fratelli Musulmani, ha invitato ieri i seguaci a «manifestare per ripristinare il governo legittimo e la legalità», ma anche ad «evitare le provocazioni e lo scontro violento». E ha aggiunto: «L’appello di Al-Sisi è una vera catastrofe, spinge al massacro, peggio che se fosse stata distrutta la Kaaba alla Mecca». Al Cairo ieri sera imperava una calma tesa, preoccupata. I posti di blocco militari fermavano l’accesso agli assembramenti religiosi. Le televisioni nazionali filo-militari hanno cancellato le telenovelas per il Ramadan col fine di non distogliere la popolazione dalla mobilitazione in sostegno di Al-Sisi. Intanto gli elicotteri dell’esercito hanno lanciato volantini sui quartieri bastione dei Fratelli Musulmani, specie nella zona della moschea di Rabaa Adawiya, per invitare la gente a «unirsi nello sforzo di riconciliazione nazionale». Ma la logica del muro contro muro domina incontrastata.
Il Foglio-Carlo Panella: " Il generale al Sisi si veste da Nasser per raccogliere la piazza anti islamista "

Abdel Fattah al Sisi
Roma. Abdel Fattah al Sisi, comandante in capo delle Forze armate egiziane, nel suo “storico appello” dal palco dell’Accademia militare di Alessandria, mandato in onda decine di volte da tutte le televisioni egiziane, ha copiato sin nei particolari – la divisa piena di orpelli, gli occhiali da sole esibiti con fare pop – il modello di riferimento dei militari egiziani che governò il paese dal 1956 al 1970: il colonnello Gamal Abdel Nasser. Il troppo gallonato al Sisi, che evidentemente ha ben poca confidenza con le regole elementari della democrazia, si è rivolto non già al popolo, ma “alla piazza araba”, come ha sempre fatto Nasser nei momenti di crisi, per ottenere sbrigativamente e in poche ore l’investitura a condurre con polso fermo la “battaglia contro i terroristi”: “Tutti gli egiziani d’onore devono scendere nelle strade per darmi il mandato e impartirmi l’ordine di farla finita con il terrorismo e la violenza”. Linguaggio da rais, retorica assonante non soltanto con quella di Nasser, ma anche con molti dittatori della regione. Il non piccolo problema è che i “terroristi e i violenti” sono quei milioni di seguaci dei Fratelli musulmani, elettori al 52 per cento del deposto presidente Mohammed Morsi, che nelle ultime settimane sono scesi nelle piazze scontrandosi con le forze di sicurezza e soprattutto con i Tamarrod (i ribelli), con un bilancio di un centinaio e più di morti e di migliaia di feriti. “Farla finita” con i milioni di seguaci dei Fratelli musulmani è una “minaccia di guerra civile”, come ha denunciato Assam al Arian, numero due della Fratellanza. E’ una dinamica simile a quella che fece scivolare nel 1991 l’Algeria verso un conflitto fratricida sanguinoso, quando i generali al governo annullarono le prime elezioni democratiche che avevano visto, appunto, la piena vittoria dei Fratelli musulmani. La decisione, a poche ore di distanza, della procura del Cairo di arrestare il leader mondiale della Fratellanza, Mohammed Badie, “per incitamento all’odio e alla violenza”, ha poi tolto ogni dubbio circa l’obiettivo politico che al Sisi si prefigge. Il tutto mentre è ancora sconosciuto il destino dello stesso presidente deposto Mohammed Morsi.Il fatto indicativo del pericoloso deteriorarsi della crisi egiziana è che la richiesta di mobilitazione di al Sisi contro i Fratelli musulmani è stata subito accolta non soltanto da Mahmoud Badr, portavoce del movimento dei Tamarrod che determinarono, con la megamanifestazione del 30 giugno scorso, la caduta del presidente Morsi, ma anche dal vescovo copto Sergius Sergius, dal reverendo Andrea Zaki Stephanous, vicepresidente della comunità protestante, e persino dal vescovo Yohana Qalta, assistente del Patriarca cattolico d’Egitto, evidentemente non consci dell’inevitabile corsa verso uno scontro violento implicita nella mossa di al Sisi (il quale mercoledì ha ricevuto anche la chiamata del capo del Pentagono, Chuck Hagel, che gli annunciava lo slittamento della consegna degli F-16). I Fratelli musulmani hanno accettato la sfida e per oggi hanno indetto massicce contromanifestazioni: al Cairo partiranno 34 cortei da altrettante moschee e così sarà in tutto l’Egitto con la parola d’ordine “il popolo vuole abbattere il golpe”. Mohammed Badie, non ancora catturato dalle forze di sicurezza, ha assicurato che queste manifestazioni saranno “pacifiche” – ma non lo sono mai state – e dirette unicamente a respingere “il golpe militare sanguinoso”. La pur prevedibile reazione della Fratellanza ha prodotto un qualche tentennamento nelle Forze armate che ieri, a poche ore dal proclama nasseriano di al Sisi, hanno fatto postare sulla pagina di Facebook del loro portavoce confusi distinguo: “L’invito del generale al Sisi a scendere in piazza non è una minaccia nei confronti di nessuna forza politica e ha come obiettivo di rispondere alla violenza, al terrorismo e alle minacce alla realizzazione della rivoluzione, e di sostenere gli sforzi della presidenza per una riconciliazione nazionale”. La parziale marcia indietro è stata provocata da uno scontro tra lo stesso al Sisi e il nuovo governo egiziano, evidenziato da frasi molto polemiche nei suoi confronti pronunciate dal nuovo premier, Hazem el Beblawi, durante la sua prima conferenza stampa: “L’appello di Sisi a manifestare domani non è un invito allo scontro ed è necessario che tutti possano esprimersi liberamente, tutti devono rispettare la legge, altrimenti saranno puniti; l’Egitto è uno stato civile che crede alla libertà di religione e ha dirigenti civili, né religiosi né militari”. Senza giri di parole, dunque il capo del governo ha ricordato ad al Sisi che “non è un dirigente dell’Egitto”, segno di una dialettica più che tesa tra i vertici militari e i vertici politici del Cairo.
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