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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale Rassegna Stampa
21.05.2013 Tunisia, salafiti sempre più potenti
altro che 'primavera' e 'islam moderato'. Commento di Gian Micalessin

Testata: Il Giornale
Data: 21 maggio 2013
Pagina: 15
Autore: Gian Micalessin
Titolo: «Dopo la Primavera, ecco l’autunno del terrore»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 21/05/2013, a pag. 15, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo "Dopo la Primavera, ecco l’autunno del terrore ".


Gian Micalessin


Amina Tyler

La chiamavano «primavera», ma le sue conseguenze minacciano ora di trascinare la Tunisia nell’autunno del terrore e della guerra civile. Un ter­rorismo antico, collegato a quell’at­tentato al comandante afghano Ah­mad Shah Massoud che fu prologo dell’11 Settembre.Per capirlo basta ri­percorrere la biografia dell’emiro Saif Allah Ben Hassine, capo e fonda­tore di Ansar Al Sharia, l’organizza­zione salafita protagonista dei violen­ti scontri di domenica con le forze di sicurezza tunisine. Nel 2000 mentre combatte in Afghanistan l’emiro, og­gi conosciuto come Abu Ayad, fonda il Gruppo Combattente Tunisino. Nell’estate del 2001 il gruppo recluta - attraverso la sua cellula di Bruxelles - Dahman Abdelsatar e Bouraoui El Waer, i due tunisini che avvicinano Massoud fingendosi giornalisti e lo uccidono con una bomba nascosta in una telecamera. Ma il gruppo ha lega­mi anche con i fo­ndamentalisti tunisi­ni che usano la moschea di Milano co­me base operativa per il trasferimen­to dei militanti pronti a combattere in Afghanistan e in Iraq.
La prima fase della carriera del­l’emiro Abu Ayad si conclude nel 2003 quando viene arrestato in Tur­chia, estradato in Tunisia e condan­nato a 43 anni di galera. A farlo torna­re in libertà ci pensa il governo guida­to da Ennahda, il cosiddetto partito islamico moderato vincitore delle pr­i­me elezioni dopo la caduta di Ben Ali.
L’amnistia del 2011 apre le porte del carcere a 1200 integralisti, ma ri­schia, oggi, di rivelarsi una maledizio­ne. Almeno 300 di quei 1200 sono ve­terani dell’Afghanistan e dell’Iraq e
non tardano molto a seguire Abu Ayad e a dar vita ad Ansar Sharia, un gruppo il cui nome suona in italiano come i «partigiani della Sharia». Per capire che non si tratti di un organiz­zazione propriamente pacifica baste­rebbe ascoltare i proclami di Abu
Ayad. In un’intervista al
Giornale del dicembre 2011 l’emiro difende aper­tamente la memoria di Osama Bin La­den e inneggia ad Al Qaida. Ma il go­verno di Ennahda preferisce non in­tervenire. La decisione d’agire arriva solo all’indomani dell’11 settembre del 2012. Quel giorno Ansar Al Sharia guida un assalto alla rappresentanza diplomatica statunitense di Tunisi e, nelle stesse ore, un organizzazione li­bica dallo stesso nome rivendica l’at­tacco al consolato di Bengasi costato la vita all’ambasciatore americano.Il mandato di cattura contro Abu Ayad, latitante da allora, non viene però se­gui­to dallo scioglimento dell’organiz­zazione. E così il gruppo continua ad organizzare campi d’addestramento e a usare le proprie sedi come centro di smistamento per i volontari decisi a combattere in Siria.
Solo domenica scorsa quando Al Sharia si prepara a riunire migliaia di militanti nella cittadina di Kairouan dove ha convocato il proprio congres­so­il primo ministro Ali Laraydeh si de­cide a definirla un organizzazione «non legale» e a vietarne il raduno. Per molti tunisini quella decisione ar­riva però con troppo ritardo. Grazie a due anni di tentennamenti Ansar Al Sharia ha avuto il tempo di crescere, armarsi e moltiplicarsi. Ed è ora pron­ta a trascinare la Tunisia nel baratro.

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