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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
14.05.2013 Siria: Obama cerca una soluzione politica per evitare l'intervento
cronache di Maurizio Molinari, Daniele Raineri

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - Daniele Raineri
Titolo: «Obama-Cameron: nuova Siria senza Assad - E’ guerra tra i servizi segreti di Erdogan e la mafia di Bashar el Assad»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 14/05/2013, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Obama-Cameron: nuova Siria senza Assad ". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " E’ guerra tra i servizi segreti di Erdogan e la mafia di Bashar el Assad ".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama-Cameron: nuova Siria senza Assad"


Maurizio Molinari       Barack Obama

Soluzione politica in Siria e libero commercio per rilanciare la crescita: sono i punti di convergenza registrati alla Casa Bianca da Barack Obama e David Cameron in un summit servito per preparare l’agenda del G8 che si svolgerà a metà giugno in Irlanda del Nord.

È il premier britannico a illustrare il percorso possibile per porre fine «al brutale conflitto siriano costato già 80 mila vittime». «Vladimir Putin è favorevole ad una soluzione politica» spiega Cameron, reduce dagli incontri al Cremlino, e ciò rende possibile lavorare per «un governo di transizione» che veda «tutte le forze politiche attorno a un tavolo». Il presidente americano guarda alla «conferenza in preparazione a Ginevra fra le forze di opposizione» come un momento di svolta, sottolineando come «la Russia ha interesse quanto noi a una Siria stabile» e «a una soluzione della crisi» che impedisca di emergere «ad altri attori come l’Iran, gli Hezbollah e, sul fronte opposto, l’organizzazione al-Nusra, affiliata ad Al Qaeda».

Obama ammette che le incomprensioni con la Russia «sono frutto di tensioni ereditate dalla Guerra Fredda», ma si mostra convinto che il punto di intesa con il Cremlino possa essere nella formula «una Siria unita senza Assad». Potrebbe essere questo il punto di accordo al G8 per una dichiarazione congiunta sulla Siria per la quale Cameron preme mettendo sul piatto l’allarme armi chimiche: «Assad le usa, abbiamo prove serie». E Obama aggiunge: «Dalle armi chimiche dipendono i nostri passi». Il messaggio a Mosca è chiaro: senza soluzione politica, Usa ed Europa seguirebbero altre strade.

L’altro perno dell’intesa Obama-Cameron sul G8 è la necessità di «rafforzare il commercio per sostenere la crescita comune» come sottolinea il premier. Da qui l’attesa del presidente per «iniziare a breve i negoziati fra Usa e Ue sulla Partnership transatlantica» per il libero scambio di beni e investimenti. Ma è uno scenario che si scontra con l’anti-europeismo che monta in Gran Bretagna, dentro lo stesso partito conservatore del premier fino al punto da invocare un referendum immediato sulla permanenza nell’Ue. «Adesso non ci sarà alcun referendum - ribatte Cameron - perché la scelta sarebbe fra uno status quo europeo inaccettabile e l’uscita dall’Ue». Bisogna piuttosto spingere l’Ue verso le riforme «e poi faremo il referendum, entro il 2017» promette il premier, secondo cui «il nostro interesse adesso è varare l’accordo di libero commercio UsaUe». Al suo fianco, Obama lo sostiene: «Non sta a noi parlare per i britannici ma risolvere i problemi esistenti nell’Ue è la strada giusta da percorrere, l’interesse dell’America è che Londra resti nell’Ue».

Obama è da parte sua sotto attacco in patria per le indagini del fisco sui gruppi conservatori e i sospetti di cover up sull’assalto di Bengasi in cui morì l’ambasciatore Stevens. Reagisce con approcci opposti. Sul fisco che bersaglia i gruppi politici parla di «vergogna da correggere» mentre respinge al mittente le accuse su Bengasi: «Non hanno alcun tipo di fondamento».

Il FOGLIO - Daniele Raineri : " E’ guerra tra i servizi segreti di Erdogan e la mafia di Bashar el Assad "


Daniele Raineri             Recep Erdogan

Roma. Reyhanli è l’ultimo miglio di Turchia prima di superare il confine e di arrivare in Siria, è l’ultima boccata di ossigeno prima di entrare nella guerra civile. Una città e un territorio ancora pacifici. Almeno fino a sabato scorso, quando due autobomba sono esplose poco dopo l’una di pomeriggio davanti a due uffici pubblici: 46 morti, quasi tutti turchi e tre siriani, palazzi semidistrutti. Lanciare questo tipo di messaggi mafiosi è una specialità del mukhabarat siriano – la polizia segreta – e si può chiedere a Beirut, in Libano, insanguinata da una serie di grandi attentati a partire dal marzo 2005. Non è una supposizione informata, è l’indicazione precisa del governo turco, che accusa Damasco di essere mandante e di avere agito grazie a esecutori locali – sono stati arrestati nove turchi, pare, ma non è confermato, grazie ai numeri di targa di automobili osservate sul luogo delle esplosioni. Il governo di Ankara non dice tutto, ma fornisce abbastanza elementi per identificare i sicari. Si tratta di appartenenti alla milizia Muqawama Suriya, la “resistenza siriana”, un gruppo turco di estrema sinistra che organizza parate a favore di Assad nella vicina Antiochia, a 40 chilometri dal confine, e i cui leader negli anni passati hanno trovato rifugio in Siria. Marxisti turchi, fanatici sciiti libanesi (Hezbollah), volontari sciiti iracheni, milizie popolari alawite, forze speciali mandate dall’Iran, tutti assieme a combattere contro i ribelli per il governo di Damasco: Assad sta sfruttando ogni opzione possibile per rovesciare la situazione sul campo e ottiene qualche successo – secondo una strategia di rimonta militare che altro non è che un’operazione comandata dal generale iraniano Qassem Suleimani. Due settimane fa la stessa milizia turca, la Muqawama Suriya, ha attaccato al Bayda e Baniyas in Siria e ha massacrato civili nelle strade e dentro le loro case, donne e bambini inclusi. Il numero accertato delle vittime per ora è 141 – si parla di quelle identificate con nome e cognome – ma potrebbe diventare più alto. Ecco i dettagli in più che filtrano: quattro dei nove turchi arrestati hanno legami con il gruppo degli Acilciler, estrema sinistra attiva negli anni Settanta e Ottanta, innamorata di Saddam Hussein, Kim Jong- Un e Gheddafi. Uno dei loro capi, Mihrac Ural, trovò riparo in Siria dopo il colpo di stato del 1980 e da là diresse la sezione siriana del movimento, diventata poi la “Resistenza siriana”, o anche “Il Fronte di liberazione di Hatay”. Anche se indossa una tuta mimetica, Ural è un signore paffuto con i capelli bianchi e due occhi mogi, che spesso si fa fotografare tra i libri, o sul divano, o in teatri e a barbecue politici – oppure assieme a suoi miliziani armati. E’ comparso in un video accanto a un religioso alawita prima degli eccidi di Bayda e Baniyas, mentre predica la necessità di “ripulire e liberare” la zona dai sunniti. “Baniyas – dice – è l’unico sbocco dei sunniti al mare, per questo va circondata e ripulita”. Ural e i suoi terroristi rossi prima si sono riciclati in esecutori del piano di pulizia “confessionale” contro i sunniti sulla costa siriana, e adesso sembrano essere diventati attentatori su suolo turco per conto dell’intelligence di Assad che vuole intimorire il governo di Ankara. Due giorni prima delle autobomba il primo ministro, Recep Tayyip Erdogan, ha rilasciato un’intervista cruciale all’americana Nbc in cui sostiene che l’esercito siriano “ha usato con certezza il gas, abbiamo le prove, ha lanciato 200 missili con testate chimiche”. Giovedì Erdogan incontra il presidente americano, Barack Obama, a Washington, e forse risolverà i dubbi della Casa Bianca – che galleggia nel limbo dell’indecisione e si dice incerta a proposito delle notizie di attacchi chimici in Siria. E’ da notare che le vittime degli attacchi sono fatte uscire dal paese di Assad e sono curate e analizzate alla ricerca di prove proprio a Reyhanli, prima tappa oltreconfine per i siriani in fuga (questo è un altro elemento a favore di chi interpreta l’attentato come un messaggio mafioso mandato del governo siriano). Una guerra di intelligence è in corso tra Siria e Turchia. L’11 febbraio i servizi di Assad hanno colpito il valico di Bab al Hawa, a un chilometro da Reyhanli: un’autobomba davanti alla sbarra della dogana, 14 morti. Le forze speciali turche sono entrate in Siria e hanno catturato la squadra di responsabili grazie alla collaborazione con i ribelli e anche con il gruppo Jabhat al Nusra, legato ad al Qaida e inserito dagli americani sulla lista dei terroristi globali. Il 30 aprile un aereo del governo ha bombardato il valico, ma dal lato siriano. Un’operazione rischiosa perché vicina al confine difeso dalla batterie di missili Patriot della Nato, per colpire un edificio accanto alla rotonda centrale del valico e dirimpetto al duty free, che tutti sanno essere usato da Ahrar al Sham, la più grande fazione di ribelli islamisti in guerra contro Damasco. Il posto pullula di informatori pro-governo, come scoprì a sue spese anche Richard Engel, inviato americano sequestrato lo scorso dicembre pochi chilometri dopo essere entrato nel paese. Ieri, dopo un incontro con Obama, il primo ministro inglese David Cameron ha detto che alla fine del mese, quando scadrà l’embargo dell’Unione europea sulle armi alla Siria – inteso come: “Ai ribelli siriani” – il governo inglese intende armare con mezzi blindati e giubbotti antiproiettile i gruppi ribelli che combattono con Assad, selezionati tra quelli che non hanno legami con gli estremisti. Oggi il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, vola a Sochi per convincere il presidente russo Vladimir Putin a non vendere i sofisticati missili S-300 alla Siria.

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