Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 26/04/2013, a pag. 18, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Grande Fratello all’aeroporto in Israele controllano le e-mail". Dal GIORNALE, a pag. 14, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "Sacrosanto: nessun Paese subisce minacce così gravi ", l'articolo di Giordano Bruno Guerri dal titolo " Violazione inaccettabile della libertà individuale ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:
La STAMPA - Aldo Baquis : "Grande Fratello all’aeroporto in Israele controllano le e-mail "

Aeroporto Ben Gurion
Il nome, Najwa Daughman, suonava non tranquillizzante. Le origini palestinesi della famiglia, costretta ad abbandonare Haifa nella guerra del 1948, accrescevano il senso di disagio. A ciò si aggiungeva la netta sensazione che la giovane architetta appena sbarcata all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv dopo un volo notturno dagli Stati Uniti fosse un’attivista filo-palestinese dell’International Solidarity Movement, possibilmente in procinto di entrare in azione nei Territori.
Per cui - era il maggio 2012 - la responsabile dei servizi di sicurezza israeliani all’aeroporto le disse: «Adesso facciamo qualcosa di interessante». Le presentò un computer e le disse di entrare nella propria casella postale Gmail. Lo stato di Israele desiderava dare una scorsa alla sua corrispondenza...
L’episodio - denunciato con grande evidenza un anno fa da «Haaretz» - ha allarmato l’associazione israeliana per i diritti civili Acri, secondo cui le violazioni della privacy di stranieri in arrivo sono divenute un fenomeno preoccupante. Ieri però queste apprensioni sono state trovate ingiustificate dal consigliere legale del governo israeliano, Yehuda Weinstein, che si sente di poter invece giustificare «in casi straordinari» le intrusioni degli agenti di frontiera nella corrispondenza di quanti suscitino una serie di sospetti. Costoro, precisa, non sono costretti a mostrare le proprie mail. Ma il loro rifiuto potrebbe indurre gli agenti a negare l’ingresso in Israele.
La Daughman (e come lei altre tre donne statunitensi, di origine araba, citate in quell’occasione da Haaretz) fu sbigottita dalla richiesta e accettò di collaborare. Avrebbe poi riferito che la agente si era interessata ai messaggi che contenevano le parole: Israele, Palestina, Cisgiordania e aveva preso nota dei suoi contatti. Dopo alcune ore la Daughman fu costretta a rientrare negli Stati Uniti.
Israele, sottolinea il consigliere Weinstein, non ha alcun obbligo di garantire l’ingresso a cittadini stranieri. Quei controlli sono dunque giustificati per determinare il «background» di chi desideri entrare nel Paese. Parole che non acquietano l’Acri: in Israele, rileva, la ispezione della corrispondenza di un cittadino deve essere autorizzata da un giudice; altrimenti rappresenta una violazione della privacy. A ciò le autorità replicano, in via informale, che gli stessi israeliani che chiedono un visto all’ambasciata degli Stati Uniti d’America di Tel Aviv possono essere sottoposti a lunghi e dettagliati interrogatori. Talvolta basta essere nati nel Paese «sbagliato» (come l’Iran) per vedersi negare il permesso di sbarcare negli Stati Uniti. Dove pure capita per altro che computer siano ispezionati alla frontiera.
L’Acri comunque non si dà per vinta. Adesso, anticipa, la battaglia passerà alla Knesset. «Vogliamo spiega l’avvocato Lila Margalit - che in merito si faccia una legge ben chiara. E, cosa più importante, che le pratiche all’aeroporto Ben Gurion siano costantemente controllate dalla magistratura».
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Sacrosanto: nessun Paese subisce minacce così gravi "


Fiamma Nirenstein
La privacy è bella, ma cerchiamo di fare buon uso della memoria: Israele è un Paese che sperimenta il terrore su base quotidiana. Autobus, ristoranti, supermarket sono stati colpiti indiscriminatamente. L’accetabile quiete odierna è un miracolo. Ma dal 2001, l’intelligence ha imparato a prevenire il maggior numero degli attentati proprio perché sa fare a meno delle desiderabili amnesie che impediscono di vedere nuda la realtà del pericolo. E la popolazione, fra le più caparbiamente democratiche del mondo, ha capito.
Israele ha il coraggio di seguitare a tenere ai checkpoint, nonostante le critiche di tutto il mondo, i ragazzi sotto le armi, diciottenni che il venerdì sera controllano un po’ tristi le auto che portano le famiglie alla cena festiva in famiglia; ha la forza di seguitare a far controllare le borse e il bagagliaio quando entri al centro acquisti; tiene sull’ingresso di quasi tutti i ristoranti, degli ospedali, eccetera, una guardia, e ti fruga sempre.
Non gli importa delle critiche, deve battere il terrorismo. Qualcuno mi venga a raccontare che si tratta di paranoia dopo quel che ho visto nella Seconda Intifada. E’ invece senso di realtà, per cui sono stati sviluppati negli ospedali sistemi efficaci ed empatici, poi adottati in tutto il mondo, per cui ogni attacco viene fronteggiato con innovazioni rivoluzionarie, e non come un disastro da macelleria. Funziona. Per questo il Massachussets General Hospital dopo l’attentato di Boston ha ringraziato gli israeliani per l’aiuto alle loro centinaia di feriti. Le misure adottate all’aeroporto Ben Gurion per le email dispiaceranno ai terroristi, ma saranno adottate in tutto il mondo.
www.fiammanirenstein.com
Il GIORNALE - Giordano Bruno Guerri : " Violazione inaccettabile della libertà individuale "

Giordano Bruno Guerri
Non è solo questione di terrorismo, ma anche dei seguaci della signora Morgantini, che diffondono menzogne su Israele.
Ci pare eccessivo che debbano venir accolti a braccia aperte all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.
Guerri invita, addirittura, a non andare in Israele per questa misura. Forse preferirebbe permettere a chiunque di entrare e uscire da Israele senza controlli? Stesso discorso, allora, per controlli ai check-in e metal detector? Magari eliminare anche il controllo passaporti, non è violazione della privacy anche quella?
Ecco il pezzo:
Se qualcuno - per farci entrare in casa sua- ci chiedesse la password della nostra posta elettronica, lo manderemmo al diavolo. I più rognosi potrebbero addirittura procedere con una denuncia per attentato alla privacy. Gli Stati, però, si fanno le leggi e se le cantano: se vuoi entrare dammi la password, se no vattene pure. È quanto si è stabilito in Israele, nel caso di «sospetti reali» su qualche aspirante visitatore: e pazienza se nella posta elettronica hai soltanto lettere d'amore, potrebbero celare il codice di chi sa quale cellula terroristica. Si tratta di una violazione insopportabile della libertà individuale, anche se per buoni motivi, anche se a metterla in atto è uno Stato dove i pericoli di terrorismo sono seri e quotidiani, anche se si tratta di una misura apparentemente inutile: è chiaro che, se io sono un terrorista, pulirò la mia posta prima di atterrare a Tel Aviv, o ti darò quella di un indirizzo innocente. I servizi segreti e i legislatori israeliani lo sanno benissimo e forse hanno escogitato un meccanismo simile a quello per cui, entrando negli Stati Uniti, dichiari di non essere iscritto a un partito comunista o di non essere stato nazista: nessuno, negli Usa, si aspetta che tu ti autodenunci, ma il giorno che dovessi incappare in qualche guaio, una dichiarazione falsa diventerebbe un'aggravante da pagare con l'espulsione perpetua o con anni e anni di galera. Il vero problema, dunque, è fino a che punto si può rinunciare alla riservatezza, quindi alla libertà, in favore della sicurezza. È sbagliato pensare che niente di simile potrebbe capitare anche da noi: chi avrebbe pensato, anni fa di non poter portare una bottiglietta d'acqua su un aereo? Allora, per cominciare, si eviti, possibilmente, di andare dove - a torto o a ragione, per sicurezza o per politica- puoi venire trattato, a priori, come un criminale.
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