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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - La Stampa Rassegna Stampa
14.02.2013 Israele: immaginare chissà quali complotti e retroscena
Ma la parola che viene declassata è sempre la stessa: 'sicurezza'

Testata:La Repubblica - La Stampa
Autore: Antonio Monda - Claudio Gallo
Titolo: «'Ma una guerra è inutile', la verità dei servizi israeliani - Israele, il prigioniero X un australiano del Mossad»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 14/02/2013, a pag. 32, l'articolo di Antonio Monda dal titolo " 'Ma una guerra è inutile', la verità dei servizi israeliani ". Dalla STAMPA,a pag. 18, l'articolo di Claudio Gallo dal titolo " Israele, il prigioniero X un australiano del Mossad ".

In Italia ci si stupisce sempre immaginando chissà quali complotti o retroscena quando da Israele giungono notizie del tutto anomale rispetto al trattamento che avrebbero avuto in Italia. Una incomprensione che ha sempre al centro la parola 'sicurezza'.
Il fatto che alcuni ex capi dei servizi di sicurezza interna israeliana abbiano accettato di venire intervistati in un documentario- che è arrivato fino alla candidatura agli Oscar - è  qualcosa di inimmaginabile persino nelle democrazie più avanzate. In Israele succede, invece.
Così come si ammanta di mistero il suicidio in prigione di un cittadino israelo-australiano del quale, ad oggi, si sa poco o nulla, ma sul quale le cronache dei giornali hanno subito inzuppato la penna.
La pratica democratica israeliana è tale da non consentire che rimangano nascoste ogni tipo di notizie, anche le più delicate, come quelle che riguardano, appunto, il problema della sicurezza dello Stato ebraico.
Ecco i due esempi:

La REPUBBLICA - Antonio Monda : " 'Ma una guerra è inutile', la verità dei servizi israeliani "


La locandina del documentario

Continuare a perseguire azioni di guerra sarebbe per Israele un grave errore: è quello che sostengono gli ultimi sei direttori dello Shin Bet, l’agenzia israeliana per la sicurezza interna, che hanno accettato di farsi intervistare per la prima volta di fronte ad una telecamera in “The Gatekeepers” (I Guardiani) un documentario che racconta i retroscena di molti episodi tragici degli ultimi quaranta anni, e consente di comprendere la mentalità degli uomini preposti ad un compito drammatico e quasi sempre violento, ma di fondamentale importanza per l’esistenza stessa del Paese.
Nel documentario il regista Dror Moreh lascia parlare i suoi testimoni senza manipolare le immagini o aggiungere commenti, ma lo straordinario impatto emotivo ha suscitato enormi polemiche, alle quali il regista ha reagito dichiarando che per Israele l’estrema destra è più pericolosa della bomba dell’Iran. Per realizzare “The Gatekeepers”, candidato agli Oscar come miglior documentario, ha cominciato con l’intervistare Ami Ayalon, attualmente deputato del partito laburista, il quale ha convinto gli altri cinque ex-direttori a partecipare al progetto. I testimoni parlano con assoluto distacco, raggiungendo un effetto raggelante: si va dal racconto dell’assassinio di Rabin alla prima Intifada, dall’esecuzione di pericolosi terroristi al tentativo fallimentare di eliminarne altri, causando lutti nella popolazione civile. Gli indubbi risultati ottenuti, a cominciare da un calo drastico di attentati, si scontra con i metodi messi in atto, e le testimonianze ribadiscono sia l’impossibilità di fare altrimenti che la consapevolezza che l’uso della violenza non possa mai portare una pace reale a duratura: uno dei protagonisti teme di esser
diventato «più crudele» senza per questo aver risolto il problema. «Non parlare ai nostri nemici è un lusso per Israele - ammette un altro dei “Guardiani” dobbiamo parlare con tutti anche con Hamas e con l’Iran. Non abbiamo alternative ». I titoli apposti ad ogni sezione del film rinforzano questa sensazione di gelo e disincanto: «Niente strategia, solo tattica»; «Dimentica la morale»; «Un terrorista è per un’altra persona un combattente per la libertà»; «Danni collaterali » e «La vittoria è vederti soffrire».
Ripetutamente i capi dello Shin Bet raccontano come abbiano fatto da capro espiatorio per scelte che venivano direttamente dai politici, e sono molti i passaggi sconvolgenti: il linciaggio dei terroristi responsabili del dirottamento di un autobus, il racconto di come si metta in conto il sacrificio di vittime innocenti, un attentato sventato in extremis e, soprattutto, il clima irrespirabile che circondava Rabin dopo l’accordo di pace con Arafat. Agghiaccianti le immagini di un finto funerale del premier, organizzato quando era ancora in vita, che vide la partecipazione di Benjamin Netanyahu ed una folla scatenata. A questo riguardo il regista nega di considerare l’attuale premier come mandante, ma imputa al suo partito una grave responsabilità morale. Ma gli attacchi a Netanyahu da parte dei Gatekeepers non mancano: «Ossessionato dall’Iran e inaffidabile», lo ha definito in un’intervista per il lancio del film Yuval Diskin, numero uno dello Shin Bet fino al 2011.
Le scelte più tragiche sono motivate con la salvezza dello stato e del popolo di Israele, ma anche nei momenti di successo prevale il pessimismo: alla luce di quanto avvenuto in tutti questi anni, Ami Ayalon sostiene che «si rischia di vincere la battaglia ma perdere la guerra» e cita con amarezza Clausewitz: «La vera vittoria è una migliore realtà politica».

La STAMPA - Claudio Gallo : " Israele, il prigioniero X un australiano del Mossad"


Ben Zygler

Dopo dieci mesi di ricerche, una trasmissione televisiva australiana ha gettato un esile fascio di luce su uno dei misteri più fitti e inquietanti di questi anni: il Prigioniero X, la maschera di ferro israeliana. Era un ebreo australiano di 34 anni l’uomo che neppure i suoi carcerieri conoscevano, tenuto in regime di totale isolamento, senza avvocati, senza visite, in spregio a tutte le leggi internazionali.

Nonostante ancora oggi la censura ufficiale proibisca ai media nazionali di parlare di lui, era trapelato che nel 2010 si era tolto la vita impiccandosi, nonostante fosse tenuto sotto sorveglianza 24 ore su 24. Poco tempo prima del suicidio, il parlamentare del partito di sinistra Meretz scrisse una lettera al procuratore generale Yehuda Weinstein chiedendo notizie del recluso: «Imprigionare in completo isolamento e totale anonimità è una cosa molto grave». Un alto funzionario assicurò il deputato che tutto era «sotto il controllo giudiziario».

Tre anni dopo la scoperta della prigione segreta nota come «Camp 1391», nel 2003, Israele aveva assicurato che non esistevano più detenzioni al di fuori degli standard giudiziari internazionali. Il Prigioniero X era rinchiuso nel penitenziario di Ayalon, che in un primo tempo ospitò anche Ygal Amir, l’assassino di Peres. Una prigione notoria per il detenuto che non c’era.

Il programma «Foreign Correspondent» dell’«Abc News» australiana ha rivelato l’altra sera che si chiamava Ben Zygler, aveva 34 anni e la doppia cittadinanza australiana e dello Stato ebraico. Aveva una moglie israeliana, due figli e lavorava per il Mossad, talvolta con i nomi di Ben Alon e Ben Allen. Quest’ultima identità è quella con cui sarebbe stato spedito il cadavere in Australia.

Sul motivo per cui l’hanno imprigionato con tanta crudeltà e segretezza non ci sono ipotesi se non l’ovvia osservazione che si tratterebbe di qualcosa legato alla sicurezza nazionale. La sua memoria è ancora oggi maledetta. Racconta «Haaretz» che martedì scorso il premier Netanyahu aveva convocato un incontro semi-segreto con i vertici dei media, giornalisti e proprietari. Voleva essere sicuro che sulla vicenda non uscisse una riga.

Richard Silverstein, un blogger americano, rivelò che il Prigioniero X era Ali Reza Asgari, ex generale dei Pasdaran iraniani, sparito a Istanbul, rapito o forse fuggito per vendersi ai servizi segreti occidentali. Ma Silverstein si era ricreduto: «Le mie fonti mi hanno ingannato, vogliono distogliere l’attenzione dalla vera identità del carcerato».

Nel 1983 era sparito allo stesso modo il chimico israeliano Marcus Kingberg, spia dei sovietici. A lui è andata meglio: dopo lunghi anni in galera sotto falso nome, oggi vive in Francia.

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