Tu non sei come le altre madri Angelica Schrobsdorff
Traduzione di Monica pesetti
e/o euro 20
Peggio di così a Else Kirschner non poteva andare. E dire che la bella berlinese, intelligente e vitale, figlia di genitori ebrei, era una forza della natura, una donna libera dal fascino provocante. Sembrava che la vita come gli uomini fossero ai suoi piedi. Ma ben presto quella ragazza dai capelli di bronzo, «forti come una criniera», dovette incassare i primi colpi e scoprire che l’avventura della sua esistenza era destinata, nonostante anni gioiosi e spensierati, a trasformarsi in un dramma senza fine. Terribili le sequenze: il fratello Friedel morto nel 1918 di febbre spagnola, il primo marito che la tradisce con due intime amiche, i divorzi, la fuga in Bulgaria con le due figlie dopo il pogrom del novembre del 1938 e la deportazione della madre a Theresienstadt. Poi la follia della guerra in cui, combattendo per i francesi, trova la morte non ancora trentenne il primogenito Peter; e da ultimo, colpita da sclerosi multipla, la sua lenta, inesorabile agonia e la fine alla soglia dei cinquantasei anni. Un destino drammaticamente esemplare che nell’intenso romanzo della figlia Angelika Schrobsdorff, Tu non sei come le altre madri (1992), diventato in Germania un vero bestseller e ora edito da e/o nell’ottima traduzione di Monica Pesetti, si dilata nell’affresco di un’epoca in bilico fra ebbrezza e rovina. La scrittrice che ha vissuto la sua infanzia e adolescenza a stretto contatto con la madre condividendone con la sorella maggiore Bettina anche i difficili anni dell’emigrazione fra il 1939 e il 1945, proietta sul suo schermo autobiografico l’ascesa e la caduta di un mito. Quello di una madre disinvolta e rapace, che si appassionava agli intellettuali come il primo marito Fritz Schweifert autore di commedie, amava i potenti come Hans Huber, il secondo compagno figlio d’un ministro bavarese, e adorava il denaro e la bella vita che l’altro marito, Erich Schrobsdorff, le assicurò come rampollo dell’alta borghesia imprenditoriale nei primi anni Trenta. Facce diverse di un universo maschile che risulta spesso egoista e inadeguato. Else, daparte sua, inebriata dal gioco della trasgressione e dal travolgente girotondo di feste e spettacoli, rimuove la tragica realtà che la circonda, segrega i figli in un mondo di fiaba e ne prepara l’infelicità futura. Aveva anticipato i tempi infrangendo le regole del suo ristretto ambiente ebraico e sognato il «mondo vasto» cristiano, la cultura, l’eleganza di un milieu che ebbe modo di conoscere nelle sue case di Dahlem, Wannsee e Grunewald, nomi che a Berlino, già allora, suggerivano gioia di vivere e solidità borghese. Più tardi, ormai mutilata nell’anima e nel corpo, dovrà ammettere: «La mia vita non è stata forse solo un susseguirsi di pazzia, superficialità, egoismo, ricerca del piacere e follia erotica?». Di questo ha dato conto la figlia Angelica nata nel 1927, delineando la sua stessa difficile iniziazione,ma soprattutto ricostruendo attraverso ricordi, testimonianze e lettere, l’atmosfera di una belle époque riflessa nella livida luce dell’incombente tragedia. Come in Via col vento, a cui quest’epopea è stata accostata, il destino dei singoli rimbalza fra ineluttabili catastrofi storiche e si affloscia senza speranza. Else non potrà dire come Rossella O’Hara afflitta da tante sventure: «Dopo tutto, domani è un altro giorno». Nelle sue ultime lettere che la figlia mette in appendice, il passato è ormai seppellito sotto le rovine della sua città e la Germania è il regno dell’Apocalisse. Eppure Angelika fa riaffiorare attimi di felicità nelle pagine sui soggiorni a Pätz o a Bukowo nella misera campagna bulgara che commuovono anche il lettore più disincantato. C’è molto sentimentalismo, anche del godibile kitsch nella prosa della Schrobsdorff, ma la sua debolezza è la forza del romanzo perché il cuore è guidato da una vigile intelligenza che trasforma la storia in un duro j’accuse contro una società che vuol rimuovere e dimenticare. Sola e disperata si leva a tratti la voce del fratello Peter in cerca di una propria identità, come ebreo e soprattutto come uomo, oltre la follia di un paese che sente nemico. Anche Angelica è andata lontano: moglie del regista Claude Lanzmann, ha scritto e vissuto a Parigi, Monaco e Gerusalemme, per poi tornare in anni recenti a Berlino. Là dove le voci d’un tempo s’infittiscono, dove la porta il cuore e dove, come lei dice, si può morire meglio.
Luigi Forte
Tuttolibri – La Stampa