Addio Babilonia Naim Kattan
Traduzione di Daniela Bonerba e Angela Liguori
Manni Euro 16
E’ un’altra Bagdad quella che racconta il romanzo “Addio Babilonia”, quasi più simile alla città delle Mille e una notte che non alla Badgad attuale, ormai da decenni associata ai disastri della guerra e alle rovine. L’autore, Naim Kattan, è nato nella città irachena nel 1928 e lì ha vissuto per diciotto anni, il tempo di conoscerla profondamente e amarla, prima degli studi in Francia e dell’esilio definitivo, a Montréal, dove tuttora risiede ed è considerato uno dei più significativi scrittori franco-canadesi. Alcune edizioni francesi di Addio babilonia recano un sottotitolo che sarebbe stato opportuno anche nell’edizione italiana: “Memorie di un ebreo iracheno”. Perché, come sottolinea Bernardo Valli nella prefazione, “quel che Naim Kattan fa rivivere sono gli ultimi giorni nel Medio Oriente in cui gli ebrei vivono ancora in coabitazione secolare, anzi millenaria, con gli arabi”, anche se il carattere di tale convivenza appare meno pacifico di quanto non lasci intendere il predatore. Non solo per i saccheggi cui la parte ebraica della città era esposta, ma per la condizione di subalternità nelle professioni, negli studi e nella vita pubblica. Tutto si aggrava poi quando a tali difficoltà si aggiunge la caccia al sionista, per diventare irrimediabilmente frattura con la nascita dello stato d’Israele, tre anni dopo la quale anche gli ultimi rappresentanti della comunità sono costretti a lasciare il paese. Un paese, lo scrittore sottolinea, nel quale risiedono dalla notte dei tempi e che è parte della loro storia.
Ma il romanzo di Kattan non racconta una vicenda politica e il tono che lo caratterizza è quello della nostalgia, se non di una patria perduta certo di una terra amata, della giovinezza e del mondo di ieri di cui ogni traccia è scomparsa. Ed è soprattutto la storia di una singolare iniziazione alla letteratura, divisa tra tre culture e tre lingue: l’ebraico della vita familiare, il francese del sogno della modernità occidentale e insieme l’arabo, quello parlato con i suoi tanti dialetti e quello scritto con la potenza della sua tradizione poetica. Una confusione di idiomi che è anche una benefica fusione, che Kattan porta con sé come ricchezza nella nuova patria, così come non dimentica i caffè delle serate animate con gi amici ebrei e arabi, i bagni nel Tigri e l’emozione adolescenziale alla scoperta dei quartieri proibiti che svelano brutalmente il sesso in un mondo in cui una esotica quanto rigida barriera separa gli uomini dalle donne.
Elisabetta Rasy
Il Sole 24 Ore