Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/06/2010, a pag. 15, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Pacifici invita a Roma i soldati feriti ". Dall'OPINIONE, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " L'Egitto blocca la carovana 'umanitaria' per Gaza, ma nessuno dice niente ". Dal FOGLIO, a pag. I, l'articolo di Alessandro Schwed dal titolo " Tornatevene ad Auschwitz ". Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Pacifici invita a Roma i soldati feriti "
Riccardo Pacifici
TEL AVIV — Moshe dorme in una camera del piano di sotto. Haim, no: non ci riesce. Gli hanno dato i sonniferi e la tivù, gli han mandato i parenti e lo psicologo. Niente: «Dieci notti, rivedo sempre quella scena...». Di quando s’è calato coi primi, sul ponte della nave turca. Continua a chiedersi da dove sia saltata fuori tutta quella gente: «Ognuno di noi scendeva dalla corda e si trovava circondato da tre o quattro persone. Al buio. Ho pensato subito che ci avrebbero linciato». Haim ha 22 anni, viene da un kibbutz del Nord. E’ un firmaiolo: quando ha finito il servizio di leva, ha messo il suo nome in calce al modulo e ha deciso di restare, quarto anno, riservista della Forza 13 della Marina. Sa che Moshe sta peggio di lui, ha la febbre, stanotte si lamentava per la ferita all’addome. Haim è seduto sul letto, in maglietta rossa, secondo piano dell’ospedale Tel Hashomer.
Chiacchiera con un amico infermiere. Sul tavolo biscotti, pane, patatine, avanzi di veglia. Fuori c’è una scorta, per evitare troppa curiosità: «Sono i ragazzi che mi hanno salvato quella notte». Fuori c’è un’inchiesta che l’attende, per stabilire se il massacro dei pacifisti fu o no legittima difesa: «So che m’interrogheranno. Vogliono sapere com’è andata». S’immaginava di diventare un caso internazionale? « No » . Preoccupato? «No».
Può stare tranquillo. Bibi Netanyahu ha detto che per ora lo interrogheranno solo i generali, e che a sorvegliare sugli interrogatori saranno le forze speciali «perché è così che i nostri alleati fanno in tutto il mondo»: «Anche se — ha aggiunto il premier israeliano — voglio che tutta la verità venga alla luce sia sugli estremisti, sia sui soldati: dobbiamo sapere chi c’era dietro questi gruppi, chi li ha finanziati, a che cosa serviva tutto il denaro che abbiamo trovato a bordo; ma dobbiamo anche sapere com’è andata l'azione militare». Più che ai soldati, quello di Netanyahu sembra un messaggio al consigliere per la sicurezza, Uzi Arad: proprio ieri, la radio israeliana ha rivelato che il blitz contro la Freedom Flotilla era stato deciso almeno tre settimane prima. E che all’incontro operativo, quando s’era stabilito che cosa fare e come, i generali erano stati tenuti fuori dalla porta. Perché? E per colpa di chi? Fra Netanyahu e Arad, è scontro aperto. Arad avvertiva da tempo che troppe operazioni non erano coordinate col braccio politico: il caso della nave Marmara, dice, è l'ultima conferma. Cose di palazzo: «Dell'azione non posso parlare...», dice Haim. «Hazak Veematz!», si sente echeggiare nella stanza: forza e coraggio. Entra Riccardo Pacifici, il presidente della Comunità ebraica di Roma: il soldato è stupìto, che ci fanno qui pure gli ebrei della diaspora? «Sono qui per affetto. Il mondo vi ha descritto come criminali, noi non abbiamo mai dubitato della vostra etica di soldati. Solo in questi giorni la verità sta venendo a galla e ci dà ragione. Per noi, siete eroi scampati al tentativo di linciaggio di una folla inferocita». Il soldato gli mostra la gamba spezzata, la ferita all’orecchio, il colpo d’arma da fuoco: «Mi volevano morto. Hanno rubato l’arma e mi hanno sparato addosso...». Pacifici ha deciso d’invitare Haim e Moshe a Roma, in vacanza, quando saranno dimessi dall’ospedale: «Israele è un Paese con alto tasso di democrazia— dice al soldato —. Il dibattito è giusto. Ma questo non mette in discussione quel che questi soldati fanno nel Mediterraneo: difendere anche noi europei». Odiati su Facebook Turchia (dove c’è un gruppo che ha messo una taglia: «Nomina d'eroe a chi trova quei bastardi»), acclamati sul web israeliano: Haim e Moshe usciranno d’ospedale fra un po’ di giorni, la consegna è il silenzio, l’anonimato. Chi entra a visitarli, chiede di fare foto con loro: «Solo di spalle, per favore. E quando uscite di qui, dimenticate anche come ci chiamiamo».
L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " L'Egitto blocca la carovana 'umanitaria' per Gaza, ma nessuno dice niente "
Dimitri Buffa
“Le autorità egiziane hanno sequestrato gli aiuti alimentari e il materiale edile presente nei camion della carovana diretta a Gaza, organizzata dai Fratelli Musulmani, secondo quanto ha annunciato il deputato egiziano Hazim Faruq alla tv iraniana 'al-Alam', le autorita' egiziane hanno sequestrato l'intero carico di aiuti dopo aver impedito alla carovana di entrare nella città palestinese.” Dobbiamo ritornare, per capire, con la memoria allo scorso 7 giugno quando un lancio di Adn kronos international riportava il trionfalismo del quotidiano egiziano “Al hayat” per l’iniziativa di questo movimento fiancheggiatore del terrorismo islamico un po’ in tutto il mondo e segnatamente in Egitto, ove si porta dietro la responsabilità dell’attentato omcidida all’ex raiss Anwar el Sadat nel 1981, agguato in cui rimase ferito anche l’attuale leader Hornsi Mubarak. Il 7 giugno “Al hayat” scriveva che , “la carovana umanitaria percorrerà via terra il Sinai fino ad arrivare al valico di Rafah, aperto sei giorni fa proprio dal governo egiziano per permettere l'ingresso a Gaza di aiuti umanitari”. Poi si precisava che i permessi del governo non c’erano e che la cosa doveva essere considerata una “prova di forza” contro Mubarak. Ma intanto veniva rimarcata una presunta differenza tra Egitto e Israele nell’approccio al problema di Gaza. Ieri la differenza (meglio la sua propaganda, ndr) è saltata dopo che l’Egitto ha bloccato la carovana, e sequestrato le merci . E in effetti va detto che l’Egitto persegue gli stessi fini strategici anti Iran e anti Fratelli Mussulmani di Israele. E anche gli stessi metodi: esiste infatti anche un “muro” egiziano di cui però non parla volentieri nessuno.
Il FOGLIO - Alessandro Schwed : " Tornatevene ad Auschwitz "
Alessandro Schwed
Su Internet, una foto davvero insolita. Una voragine circolare apparsa a febbraio 2007, a Città del Guatemala. La grande buca è fonda come quei pozzi nei deserti la cui superficie non è cinta da pietre. Pare una bocca della Terra, spalancata in mezzo alla strada. Come se la Natura dicesse qualcosa che non sappiamo capire dato che non ci sono più gli sciamani; e anche come se, per una decisione presa in un altrove cupo, ora siamo in contatto col Male, e il Male fa giungere i suoi sussurri. Un’occhiata alla didascalia sotto la foto avverte che la buca ha un diametro di 35 m. ed è profonda 150. Così non si tratta di un condotto che porta al centro della Terra; né della sede di forze spirituali oscure; né del fremito di un vulcano sotterraneo in attesa di liberare il tappo e pervadere la superficie con oceani di lava, come in un romanzo di Verne; né del disvelarsi di una crepa della crosta terrestre, per un’imminente distruzione finale: è un crepaccio circolare che non minaccia neanche l’abitato circostante. E’ la paura a dare paura, l’angoscia a ingannare gli angosciati. E così, l’occhio del fotografo e il nostro vedono quello che vogliono vedere – quello che la debolezza spinge a vedere: a volte, su di noi, possono più le angosce della realtà. E la Sapienza ammonisce sull’essenza del Male, sul suo potere effettivo di esser trappola (gr. diabolos, gettare attraverso), di costituirsi davanti a noi come contraddittore (ebr.: satan). Ma cosa succede quando molti cadono nell’inganno? E’ in questi giorni dopo la flottiglia pacifista e il disvelamento dell’inganno che i pacifisti poi non erano pacifisti, ma maschere del terrore – commedianti della contraddittorietà, forma di colui che contraddice – che la foto della bocca della terra è tornata da me in un freddo familiare e irreale. Perché il Male è corrente gelida della realtà, ma poi non è la realtà; semmai, può divenirlo. La foto è tornata a me, ebreo, perché è adesso che la persona ebraica è nella solitudine; è ora che risuona in me la frase lanciata dalla nave Marmara all’esercito di Israele che intimava l’alt: “Tornate ad Auschwitz”. E io credo che dal giorno di chiusura di Auschwitz, il 27 gennaio di sessantacinque anni fa, mai come ora gli ebrei hanno sentito di essere soli – se è questo il frutto della politica obamiana e della mano tesa verso Teheran, che in queste ore propone l’arrivo a Gaza di una flottiglia di pace armata sino ai denti, altro ossimoro del grande contraddittore, allora è meglio che questa politica obamiana venga rivista da cima a fondo; che la mano tesa ad Ahmadinejad sia rimessa in tasca. Altrimenti, il restante tempo del mandato presidenziale, corto o lungo che sia, è una bomba a orologeria il cui ticchettio scandisce le ore rimaste al jihad per usare la fragilità della democrazia mondiale. E infatti è ora, in questo mandato di Obama, lungo questo fragile sforzo di dialogo con Teheran e con la Siria, che Israele e gli ebrei cominciano a sentire un’altra volta la loro millenaria solitudine, e circola quella frase fatta che “gli ebrei, con la scusa della Shoah, se ne stanno approfittando”, per poi aggiungere: “… Eccetera, eccetera…”. “Eccetera”: perché nessuno sa completare le calunnie sugli ebrei – calunnia, altra parola ebraica che corrisponde al nome dell’antico calunniatore, contraddittore, oppositore. E’ dunque di poche decine di ore fa la notizia che non sfonda. Quando l’altoparlante israeliano ha scandito il protocollo dell’alt alla nave Marmara, una voce sarcastica ha risposto: “Go back to Auschwitz”. Tornate ad Auschwitz. Parole in inglese, come sul set di un film internazionale destinato al mondo. Quella voce avrebbe potuto rispondere in arabo, in turco, gli israeliani avrebbero capito. Ma si trattava di un programma televisivo destinato all’intero pianeta, “Go back to Auschwitz”, e la frase è stata detta in inglese. Niente è casuale in quella notte, sul mare davanti a Gaza. Ogni particolare è frutto della volontà meticolosa di costruire una trappola per Israele e trasmetterne il film come una maledizione che giunga ovunque. Anche fra gli alieni, se esistono. Spirito della moderna sapienza il cui vertice nichilista e antisemita è Goebbels. Il jihad vi primeggia dal kolossal delle Due Torri, alla fiction dei cadaveri di Beirut spostati da un palazzo in macerie all’altro ed esposti davanti alle telecamere, al grandissimo successo di botteghino di “Go back to Auschwitz”. Ricordiamo che poco prima della rivolta del ghetto di Varsavia, quando la popolazione ebraica era stremata dalla ferocia del razionamento e le persone morivano sui marciapiedi, la propaganda nazista girò dei cinegiornali circolati sino a New York dove si vedevano ebrei ricchi e vestiti a festa (comparse minacciate coi fucili, come si vede in un documentario sul documentario), che scavalcavano indifferenti le decine di ebrei morti di fame e stenti sul suolo stradale. Gli ebrei ricchi e disinteressati alla morte degli ebrei poveri furono il rovesciamento della verità, operato dalla propaganda nazista: ebrei-vittime presentati come ebreicarnefici. Nel caso della flottiglia della pace, gli ebrei, accusati da anni di nazismo a Gaza e in tutto il medio oriente, sono allo stesso tempo invitati a ritornare ad Auschwitz, intanto che sulla nave i “pacifisti” linciano i soldati. L’audio di “Go back to Auschwitz” è emerso pochi giorni dopo che l’universale condanna a Gerusalemme si era distesa sul mondo come un’immensa coperta mediatica, da polo a polo. Ma “Go back to Auschwitz” non è divenuto informazione per far sapere chi fossero in realtà i pacifisti della Marmara. “Go back to Auschwitz” è come un documento-audio senza volume, o meglio ha un volume che riescono a sentire gli ebrei e le persone di buona volontà: da una parte la frase “Go back to Auschwitz” non ha la forza di essere sentita nella sua mostruosa evidenza antiumana, e così risalire la china dello scoop di Israele stragista; dall’altra quella stessa frase pesca silenziosamente nella palude del mondo, dove si nasconde, voluttuoso, il desiderio della fine ebraica. “Go back to Auschwitz” è uno spot genocida sparato col silenziatore. Pubblicità nazista che si fa largo con tatto paradossale in mezzo a un consenso che non ne parla ma lo lascia diffondere, vendendo a Eurabia l’arrivo di una seconda possibile Shoah. “Stiamo tornando – recita in modo subliminale lo spot – e abbiamo la soluzione – finale”. Il punto non è che i media non hanno rivelato l’approccio nazi-islamico in puro stile Ahmadinejad, e neanche che dopo l’indiscriminata levata di scudi contro Israele a niente sono valse le foto e i video nella rete dove si vedono i soldati israeliani che si calano con una corda, linciati con sbarre e bastoni, chiusi in una cella, i denti rotti e buttati fuori bordo – e si capisce la violenza debordante della reazione militare. Il punto è che i media sono stati entusiasticamente favorevoli a gridare alla strage degli innocenti, che è così ebraica, e se tale effetto virtuale si vanificasse, sarebbe una delusione come un gol della vittoria bellissimo in moviola e poi annullato per fuorigioco. In ogni caso, impressiona come nel mondo dell’immagine la parola torni a essere potente ogni volta che accanto a “morte” si scrive “esercito israeliano”. La morte è scandalo indigeribile, e ancor meno digeribile è la morte di uomini raccontati come inermi pacifisti. Ma che ghiottoneria è la morte procurata da un esercito di ebrei – ha scritto il Tizio della Sera su Moked, portale delle Comunità ebraiche italiane. Nessun network si è sentito di sciupare lo scoop antiebraico, dando importanza al fatto che i “pacifisti” non fossero affatto inermi, ma tutta gente addestrata. Martiri che da tempo si preparavano; genieri della provocazione, all’opera per una gigantesca trappola da lanciare fra le gambe degli israeliani. I quali da anni perdono tutte le grandi battaglie mediatiche per l’oggettivo pregiudizio che opera nei loro confronti di ebrei vivi; ben altra cosa, rispetto ai sei milioni di ebrei morti, plasmabili facilmente dall’ipocrisia di chi a loro è interessato solamente come elemento tattico-ideologico, variante della guerra antifascista. E di fatti, c’è quel mondo “antifascista” che spende i 27 di gennaio non parlando della Shoah, ma della guerra partigiana di cui sarebbe logico e onorevole parlare il 25 aprile. E ora che vengono fuori le notizie su chi fossero gli eroi della nave turca che il mondo ha cantato per dodici ore, anche se adesso la canzone si è strozzata in gola; ora che circolano silenziosi dubbi su chi fossero davvero i pacifisti, se fossero pacifisti, e come si sono comportati i pacifisti – è ora che nessuno è interessato a diramare le notizie. Come se notizie autentiche sui pacifisti siano elementi antispettacolari che la tv si guarda dal diffondere perché deludenti e portatrici di depressione. Ad esempio, non ha avuto rilievo una piccola notizia del 3 giugno sul Corriere della Sera fiorentino: il 26 aprile, Mariano Mingarelli, presidente dell’associazione dell’amicizia filopalestinese, si è dimesso dall’agenzia di stampa Filopal (filo Palestina), per gli eccessi di antisemitismo di alcuni intellettuali al suo interno. In una sorta di bonaccia universale della democrazia, durante la quale tutto è inerte prima del maremoto, i media non gridano la vera e nuova identità sinistro-destra dei pacifisti italiani, tornati trionfalmente a Fiumicino come decine di Ulisse a Itaca. Invece di uno sciopero generale per lo scandalo della menzogna, c’è un silenzio generale per imbavagliare la verità: come se quanto è successo alla Coop fosse stato una mera sbadataggine. Si guardi alla semplicità disarmante, e come armata, con cui una dirigente della Cgil ha dichiarato in tv che la Cgil, il più grande sindacato italiano, è con la Palestina – dunque Hamas, il jihad, il mondo che nega la Shoah e vuole vaporizzare Israele. E a sostegno unilaterale dei pacifisti, troverete lo sdegno del Colle che aveva messo in guardia dai pericoli dell’antisionismo antisemita e poi è caduto sulla buccia di banana della disinformazia pacifista; così come è apparso sonnacchiosamente dalla parte del pacifismo turco, il Partito democratico, appisolato nella sua eterna controra. E se ciò non costituisce novità, quante volte la linea del Pd su Israele, dalla guerra in Libano alle passeggiate con Hezbollah sul corso di Beirut, è sprofondata con un oplà nel terzomondismo. Ma lo strafalcione è stato commesso, e va detto che è proprio qui e ora, nell’approccio acefalo con la flottiglia semiturca della pace, che si salda l’alleanza passiva tra sinistra e fondamentalismo, evocando i nove morti come una sorta di Fosse Ardeatine dove gli israeliani sono quelli della rappresaglia nazista. Dunque, passando davanti al ghetto: “Nazisti”. Addio Storia, patrimonio gramsciano, addio memoria di come il mondo arabo fu alleato al nazismo – asini! E’ in questa facilità di adesione allo hitlerismo, nell’antigiudaismo, nei pogrom arabi di sempre, nei lamenti di Maimonide per le piaghe del popolo ebraico sotto il tallone degli sceicchi, che si trova la continuità con Ahmadinejad, col negazionismo, con l’idea di un nuovo Olocausto, con il successo editoriale nel mondo arabo del libello sui sette savi di Sion. Il giorno dopo l’attacco israeliano, la sola novità possibile era che l’attacco israeliano fosse una reazione scomposta e politicamente sciagurata a una trappola preparata da un gruppo islamista con simpatie hitleriane. Ma la verità di un giorno dopo è lenta per il Pubblico all’ascolto: il Pubblico vuole le emozioni, non la verità storica. E poi, il vecchio continente soffre di un’antica incontinenza antigiudaica. Solidarizza con il nazi-islamismo: uno, ha paura dei missili di Teheran e del prezzo del petrolio; due, la scena davanti a Gaza illuminava in modo fantastico gli ebrei proprio mentre erano colpevoli. Se gli israeliani sono finiti in trappola, non sarà l’Europa a dirlo. Non succederà certo in Europa, quanto in questi giorni propongono gli studenti israeliani, che qualcuno organizzi una flottiglia di pace per Shalit; come non c’è mai stato un corteo bipartisan contro gli insediamenti e i razzi di Hezbollah sull’alta Galilea; una campagna di sinistra contro i pogrom nei paesi arabi; nessun titolo di giornale dopo il linciaggio dei due soldati israeliani, le cui interiora furono esibite dagli abitanti di un villaggio palestinese, danzando gioiosi davanti alle telecamere. Nessuna piazza della sinistra europea è stata piena per i morti di kamikaze di Haifa e Gerusalemme; nessun lenzuolo è stato steso alla finestra per le quotidiane aggressioni subite dagli ebrei francesi, in fuga da quella nazione nel più esteso disinteresse europeo; nessuna fiaccolata bertinottiana ha mai sfilato contro le liste di proscrizione antiebraica stilate nelle università d’Europa; nessuna guerriglia si è mai accesa sotto l’ambasciata di Teheran, per il negazionismo della Shoah e la volontà di cancellare Israele dalla geografia; nessun grido è stato sentito contro le limitazioni delle libertà religiose in medio oriente – perché la religione è l’oppio dei popoli; nessun dibattito è stato lanciato contro il revisionismo della storia israeliana, ridotta a cartone animato per analfabeti. Per tutto questo, mai sdegno. L’improvvido plauso della folla dei marciatori di Assisi con quelli che dicono “Go back to Auschwitz” è un maggio parigino alla rovescia, un cupo inverno perenne; è rivelare che allora la Resistenza fu antifascista e non amorosamente filoebraica; che tutti furono intorno a Primo Levi ma non con Primo Levi; che la pace è una bandiera egualitaria dove tutti, ma tutti, possono insultare gli ebrei e auspicare che tornino ad Auschwitz. La novità autentica di questo capovolgimento della realtà è che 65 anni dopo la liberazione di Auschwitz, quando gli esterrefatti soldati sovietici si trovarono davanti al più grande mattatoio della Storia, gli eredi politici dell’Ottobre, che proprio contro il nazismo ha speso decine di milioni di morti, ora stanno licenziosamente con chi dice la cinica battuta da western di second’ordine “Go back to Auschwitz”. Tornate ad Auschwitz – per il comunismo e la libertà. Sotto la sfacciata luce del Male, da Londra a Roma una sinistra pacifista si fa comandare come un povero ciuco. Domani, potrebbe gridare di ricondurre il popolo ebraico ad Auschwitz e che ognuno di noi rechi al collo il cartello “Nazista”, con la esse della svastica. Il punto è come sia potuto avvenire tale allucinato capovolgimento della realtà. Di sicuro, sappiamo che la sinistra adesso è destra razzista, e che in greco capovolgimento si dice katastrophè.
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