Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Pacifisti/armati: il ruolo di Israele nei commenti Angelo Panebianco, Elie Wiesel, Alessandra Farkas, R.A.Segre, Christian Rocca, Angelo Pezzana, Giuliano Cazzola
Testata:Corriere della Sera-Il Giornale-Libero Autore: Angelo Panebianco-Alessandra Farkas-R.A.Segre-Angelo Pezzana-Giuliano Cazzola Titolo: «La fragilità di Israele-A Israele il mondo chiede di più che agli altri- Contro Israele gruppi violenti organizzati e pieni di denaro-I dieci peggiori regimi del mondo-E' logorata da continui attacchi ma deve resistere-La lucidità militare di Israele è of»
Ecco i commenti più significativi sui quotidiani di oggi, 04/06/2010. Sul CORRIERE della SERA, a pag.1, Angelo Panebianco, a pag. 9, Alessandra Farkas intervista Elie Wiesel, sul SOLE24ORE, a pag.11, Christian Rocca sulla vergogna dell'Onu. Su LIBERO gli interventi di Angelo Pezzana e Giuliano Cazzola a pag. 18. Ecco gli articoli con alcuni nostri commenti:
Corriere della Sera- Angelo Panebianco: " La fragilità di Israele "
Angelo Panebianco
Stimiamo da sempre Panebianco, insieme a Piero Ostellino e Pigi Battista la strenua roccaforte liberale del quotidiano di via Solferino, ma questa volta dissentiamo sulla parola usata per definire Israele: " fragilità ". Se il mondo è come lo descrive nel suo articolo, allora Israele è una roccia, per resistere come ha dimostrato in questi decenni. Progredendo, creando un paese all'avanguardia in tutti i campi, resistendo ai nemici che vorrebbero distruggerlo, riuscendo a mantenere salda e forte la sua natura democratica. Caro Panebianco, Israele è un esempio per tutti noi che viviamo in una Europa che ha abdicato di fronte a un branco di violenti "pacifisti" antisemiti, sì antisemiti, è ora di dirlo chiaramente. Se guardiamo all'ostilità che lo circonda, Israele si dimostra un grande paese, e Piperno, e con lui Bidussa e le altre anime nobili e belle, si tengano le loro previsioni funeree, di certi intellettuali Israele ne fa a meno.
E’un noto circolo vizioso: l’ossessiva, e di per sé giustificata, ricerca di sicurezza da parte di chi vive in costante pericolo, può indurlo in errori che ne accrescono ancor di più l’insicurezza. È capitato ad Israele. Cadendo stupidamente nella trappola preparata dai simpatizzanti di Hamas e spargendo sangue, il governo israeliano ha fatto un regalo ai suoi nemici (e sarà un bene se ne pagherà il conto sul piano elettorale). E ha dato altra linfa alla generale ostilità per Israele, l’unico Paese al quale non si perdona niente. Pur essendo anche l’unico Paese che vive in permanente stato d’assedio dalla sua fondazione. Nulla misura la «popolarità» di Israele meglio dell’atteggiamento delle Nazioni Unite. Dove si passa spesso sopra ai delitti di qualunque sanguinario regime ma mai a quelli, veri o presunti, della democrazia israeliana. Lo si chiami pure lapsus freudiano ma molti ricordano la mappa del Medio Oriente che faceva mostra di sé all’Onu e sulla quale non v’era traccia di Israele. La volontà della maggioranza del Consiglio per i diritti umani di metterlo oggi sotto inchiesta (con i soli voti contrari di Stati Uniti, Italia e Olanda) è in linea con una consolidata tradizione onusiana di ostilità preconcetta verso quello Stato.
Alessandro Piperno ( Corriere, 2 giugno) ha dato un giudizio che merita attenzione sui sentimenti odierni degli israeliani: «Mi sono fatto l’idea — scrive — che Israele sia un Paese in cui la gente, più o meno consapevolmente, si sente spacciata (...) Forse hanno capito di poter vincere qualche altra battaglia ma che alla lunga la guerra sarà perduta. Hanno constatato che la violenza non è più utile alla causa di quanto lo sia stata l’utopia del dialogo».
Contro la sopravvivenza di Israele giocano tre forze: la demografia, la geo-politica e i sentimenti di ostilità di tanta parte del mondo (rilevanti pezzi di Europa inclusi). La demografia, ossia i differenti tassi di crescita della popolazione ebraica e di quella arabo-israeliana. La geo-politica, ossia il declino della potenza americana e i suoi effetti sul Medio Oriente. La rottura dell’alleanza fra Turchia e Israele è parte di un più generale distacco dello Stato turco dal mondo occidentale, accelerato dalla perdita di potenza degli Stati Uniti. Israele ha fin qui dovuto la sopravvivenza alle sue armi e alla protezione statunitense. Se quest’ultima si indebolirà, le armi non basteranno ad assicurare la salvezza.
C’è poi l’avversione di tanta parte dell’opinione pubblica mondiale. Chi finge che il pregiudizio antisemita non c’entri nulla deve spiegare questa mancanza di equanimità verso la democrazia israeliana. E deve spiegare perché la legittima difesa dei palestinesi si accompagni spesso alla cecità di fronte alla natura dei movimenti islamisti e alla ferocia dei nemici di Israele. Ricordo una lettera che mi inviò un tale a seguito di un articolo sul conflitto arabo-israeliano. Dopo avermi accusato di negare l’evidenza, ossia la «natura criminale» di Israele, quel tale concludeva con una domanda: «Ma perché difende Israele, lei che non è nemmeno ebreo?».
Checché ne dicano i suoi nemici, Israele è una realtà fragile, precaria. Se un giorno venisse distrutto c’è chi brinderebbe anche in Europa. Ma quella tragedia anticiperebbe o accompagnerebbe una grande sconfitta occidentale: la vittoria di concezioni, modi di vita, istituzioni, antitetici ai nostri e a noi ostili.
Corriere della Sera-Alessandra Farkas: " A Israele il mondo chiede di più che agli altri "
Alessandra Farkas, Elie Wiesel
NEW YORK — «Lapidare Israele per quest'incidente è un pretesto insieme banale e ripugnante. Gli antisemiti non hanno bisogno di scuse per odiare gli ebrei. Ci odiano, punto e basta». La crescente ondata internazionale di rancore anti-israeliano del dopo-blitz addolora il premio Nobel Elie Wiesel, che proprio il mese scorso ha incontrato il presidente Obama alla Casa Bianca per discutere la necessità di rilanciare il processo di pace mediorientale. «Non posso tacere di fronte alla strumentalizzazione dell'incidente da parte degli antisemiti di professione emi duole il cuore leggere che anche gli ebrei romani tornano ad essere vittimizzati», racconta l'81enne sopravvissuto ad Auschwitz, «specialmente adesso che appare chiaro come i passeggeri sulla Mavi Marmara si fossero preparati a combattere con coltelli e fil di ferro per ferire e forse uccidere. E' stata una trappola e i commando israeliani ci sono cascati».
Le critiche internazionali contro Israele sono esagerate?
«A Israele il mondo chiede molto più di quanto non chieda agli altri. Quando l'esercito israeliano uccide dei palestinesi la notizia finisce in prima pagina. Se a morire per mano di palestinesi sono ebrei, è una breve in ultima». Perché si chiede di più a Israele? «Il mondo pensa che, essendo sopravvissuti a tante atrocità, gli ebrei dovrebbero aver imparato dal loro passato, diventando ipersensibili al dolore altrui». È un concetto sbagliato? «Lo è se applicato con fanatico puntiglio. Un approccio che ha finito per trasformare Israele nel capro espiatorio di tutti i mali del pianeta. Per essere accettato, un ebreo oggi deve essere candidato alla santità».
L'inchiesta internazionale secondo molti è l'unica via per voltare pagina.
«Qualsiasi indagine promossa dal Consiglio per i diritti umani dell'Onu, organizzazione dichiaratamente antisemita e screditata, è una farsa. L'ultima parola dovrebbe spettare alla Corte Suprema israeliana, la cui fama di indipendenza e imparzialità va ben oltre i confini dello stato ebraico». Assemblea Il Consiglio per i Diritti umani dell’Onu Perché non le Nazioni Unite? «Perché Israele è una nazione sovrana e tutti sanno che il suo sistema giudiziario è un faro per tutto il Medio Oriente. L’Italia è tra i pochi che hanno avuto il coraggio di riconoscerlo, votando contro l'inchiesta internazionale auspicata dall’Onu».
Pensa che il blocco alla striscia di Gaza dovrebbe finire?
«In linea di principio sono sempre contrario agli embarghi. Ma questo è un caso eccezionale. Perché c'è una guerra in corso e perché Gaza è controllata da Hamas, il cui statuto ordina di uccidere non solo tutti gli israeliani ma tutti gli ebrei del mondo. Date le premesse, come si può permetter loro di ricevere armi e munizioni dall’esterno?»
Cosa succederà se dopo la nave irlandese ne seguiranno molte altre?
«Non sono un profeta e la mia tradizione mi insegna che le profezie sono finite con la distruzione del primo tempio a Gerusalemme».
I tempi saranno mai maturi per revocare l'embargo?
«La commissione israeliana d’indagine dovrà pronunciarsi anche su questo punto. Non dimentichiamoci che medicinali e viveri entrano ogni giorno a Gaza».
Cosa accadrà al rapporto tra Israele e Turchia?
«La loro crisi è passeggera perché l'amicizia e gli interessi che legano i due Paesi sono troppo forti e antichi». Il processo di pace èmorto e sepolto? «Sarebbe bello se ogni tragedia si trasformasse in opportunità. Il problema è come fare la pace con un gruppo come Hamas. Il mondo deve rendersi conto che il problema oggi non è tra Israele e i palestinesi ma tra palestinesi e altri palestinesi. Israele non può permettersi di avere due stati palestinesi: uno a Gaza e uno nei Territori».
L’America è pronta per guidare le parti verso una pace storica e duratura?
«Non lo è mai stata tanto. Lo ripeto: il problema è Hamas, che non ha fatto il minimo sforzo per rivedere le sue posizioni. Il vero scoglio è questo».
Il Giornale- R.A.Segre: " Contro Israele gruppi violenti organizzati e pieni di denaro "
R.A.Segre
«Non permetteremo che Gaza diventi il porto iraniano nel Mediterraneo... Israele non si scuserà della sua volontà di difendersi... Sta affrontando ipocrisia e parzialità di giudizio affrettato». Con queste parole Netanyahu ha ieri rotto il silenzio governativo e reagito contro l’atmosfera di pessimismo che stava diffondendosi nel Paese a seguito della mal condotta operazione contro il tentativo navale islamico di rompere l’embargo di Gaza. Era ora: c’erano segni di confusione che ricordavano quello dei primi giorni della guerra del kippur del 1973. In comune le due crisi hanno solo il sentimento che Israele si trova di fronte ad una nuova sfida esistenziale. Le differenze sono enormi. Lo scontro, questa volta, non era militare ma virtuale. Non si trattava di difendere un territorio occupato (il Sinai e il Golan) ma la legittimità stessa dello Stato sul campo di battaglia dell’immagine. Non era una lotta contro Paesi arabi o contro i palestinesi ma contro l’Islam radicale, guidato da uno storico alleato, la Turchia, sostenitrice del movimento islamico Ihh legato al terrorismo. Nonostante le smentite, lo scopo è emerso al Parlamento turco, dalle parole del premier Erdogan stesso. Ha esplicitamente ricordato a Israele che «noi in questa regione abbiamo radici», lasciando intendere che Israele non ne ha. Alle domande che l’opinione pubblica locale pone al governo - come guarire la ferita autoinflitta al Paese e come condurre la controffensiva il governo appare aver adottato dopo ore di tese consultazioni questa linea di condotta: 1. Concentrarsi sui media per spiegare al mondo, non solo occidentale, che Israele è il bersaglio scelto della offensiva turco-iraniana in quanto ostacolo alle loro ambizioni egemoniche sul Medio Oriente e il vittimismo palestinese è l’arma per delegittimare Israele. 2. Abbassare il livello della crisi liberando tutti i passeggeri della «nave della pace» (inclusi quelli coinvolti nella resistenza violenta contro il commando israeliano). 3. Andando contro l’opinione pubblica locale, nel non approfondire lo scontro con la Turchia, ritirando il suo ambasciatore da Ankara (anche se ordinando il rimpatrio delle famiglie dei diplomatici per tema di attacchi) in considerazione dei forti legami economici fra i due Paesi, non colpiti dalla crisi. 4. Sfruttare al massimo la carta virtuale che l’avversario ha messo in mano a Israele: l’immagine dello scontro sulla tolda della Marmara. Ha fatto il giro del mondo suscitando l’ira contro Israele ma dimostrando che i pacifisti sono - qui come altrove - gruppi organizzati, violenti, in possesso di grandi quantità di denaro. Sarà partendo da queste immagini, che anche mostrano il coraggio e il controllo dei nervi dei militari israeliani in pericolo di linciaggio, che verrà lanciata la controffensiva mediatica. Israele accetta la creazione di una commissione di inchiesta, persino internazionale, intendendo servirsene per smascherare l’ipocrisia dei pacifisti islamici e internazionali e se necessario esporre i massacri turchi degli armeni e dei curdi. A dimostrare l’assenza di una situazione di fame a Gaza è giunto ieri il rifiuto di Hamas di permettere l'entrata da Gaza del cibo e materiale portato dalla «flottiglia della pace» attraverso il confine israeliano. Gerusalemme è disposta a liberalizzare l’accesso di aiuti umanitari a Gaza, ma chiede in cambio l’accesso mensile di delegati della Croce rossa al soldato Shalit prigioniero da quattro anni. L’immediato sostegno dato dall’America al diritto di Israele di mantenere il blocco di Gaza sembra la prima vittoria ai punti in questa nuova strategia. La guerra di immagine è lungi dall’essere vinta. Ma ha fatto capire alla dirigenza israeliana che armi, tattica e strategia in questo nuovo campo di battaglia debbono essere radicalmente cambiate.
IlSole24Ore-Christian Rocca: " I dieci peggiori regimi del mondo "
Christian Rocca
Ne sono rimasti 47. In fondo sono soltanto 47 i regimi dispotici che torturano i propri sudditi, minacciano i vicini e sfidano il mondo intero. Ma si può scendere ancora più in basso e stilare la lista dei worst of the worst , il peggio del peggio, la top ten dei paesi più repressivi del mondo. A compilarla è anno dopo anno Freedom House, la benemerita associazione non governativa americana fondata nel 1941 da Eleanor Roosevelt e nota in Italia per le preoccupazioni sullo stato della libertà di stampa. Ieri, all'avvio della quattordicesima sessione del Consiglio dei diritti umani dell'Onu di Ginevra, Freedom House ha presentato il rapporto sui peggiori violatori dei diritti umani del 2010 ( in realtà dell'anno scorso). Le società meno libere del mondo, a pari demerito, sono Myanmar, Guinea equatoriale, Eritrea, Libia, Corea del Nord, Somalia, Sudan, Turkmenistan e Uzbekistan e il territorio occupato del Tibet. C'è una dittatura militare (Myanmar), un piccolo paese cen-trafricano, poi il peggio del peggio è costituito da regimi comunisti, ex repubbliche sovietiche e paesi islamici. La Corea del Nord è un regime marxista-leninista a partito unico. Turkmenistan e Uzbekistan sono nazioni dell'Asia centrale guidate da dittatori con radici nel periodo comunista sovietico. La Libia è un paese arabo guidato da una dittatura araba formalmente laica, anche se il laicismo del mondo arabo non è paragonabile a quello occidentale. Il Sudan, invece, è una dittatura islamista, mentre il Myanmar è guidato da una classica giunta militare. La Guinea Equatoriale è un regime corrotto con il peggior record sui diritti umani dell'Africa. L'Eritrea, secondo il rapporto, è uno stato di polizia, mentre la Somalia è uno stato senza legge. Freedom House ha aggiunto anche altri 8 paesi, più due territori occupati, capaci di simili negazioni dei diritti politici e civili. Le altre dieci peggiori dittature del mondo sono Bielorussia, Ciad, Cina, Cuba, Guinea, Laos, Arabia Saudita, Siria e Ossezia del sud e Sahara occidentale. Di nuovo, paesi comunisti, ex repubbliche sovietiche, paesi islamici e giunte militari. Gli ultimi quattro anni, secondo Freedom House, sono stati il periodo di più lunga erosione dei diritti politici e delle libertà civili da quando l'associazione conduce questo rapporto. Eppure il mondo è molto più libero rispetto ad allora, sottolinea il rapporto. Si contano a dozzine i paesi diventati democratici e rispettosi dello stato di diritto e delle libertà civili negli ultimi trenta anni. Sui 194 paesi del mondo, sono 89 quelli "liberi" (46%),compresa ovviamente l'Italia. Altri 58, il 30% del totale, sono "parzialmente liberi", perché segnalano una riduzione dei diritti fondamentali e uno scarso rispetto delle regole. In totale sono 3 miliardi le persone che vivono stati considerati liberi, ovvero il 46% dell'intera popolazione mondiale. Restano i 47 paesi "non liberi". Freedom House segnala il peggio del peggio all'opinione pubblica mondiale e, soprattutto, alle istituzioni internazionali che si occupano di tutelare le libertà. Da qui la presentazione all'apertura della sessione del Consiglio dei diritti umani di Ginevra. Il problema è che quattro delle peggiori dittature - Cina, Cuba, Libia e Arabia Saudita- siedono nel Consiglio dei diritti umani dell'Onu. E, visti gli standard del Consiglio, è anche una buona annata.
Libero-Angelo Pezzana: " E' logorata da continui attacchi ma deve resistere "
Angelo Pezzana
Caro Direttore, so bene quanto tu sia dalla parte di Israele, accanto a chi difende lo Stato degli ebrei, libero e democratico, e so anche bene, condividendone il principio, che non c’è nulla di male nel dire ad un amico che sbaglia, se lo si ritiene giusto. A maggior ragione, criticare un governo è il sale di ogni democrazia, figurati in Israele, dove è lo sport più praticato. Questo giornale, insieme a pochi altri, ha sempre compreso le ragioni di Israele che, con l’America (prima di Obama), è stato finora l’unico ad avere la volontà di non arrendersi di fronte al terrorismo di matrice islamica, come invece purtroppo succede un po' ovunque in Europa. Non solo non arrendendosi, ma combattendolo, perchè, come sai, ne va della sua stessa sopravvivenza. Ma veniamo ai pacifisti-armati, questa accozzaglia di gente unita da un unica volontà, l'odio per Israele, per gli ebrei, come abbiamo imparato leggendo la loro propaganda. Tu scrivi che il governo avrebbe dovuto comportarsi diversamente, non mandando l'esercito ad impedire la forzatura del blocco, ma si sarebbe dovuto scegliere un comportamento differente. Con te l'hanno detto tanti altri amici di Israele, preoccupati delle conseguenze successive alla notizia delle vittime fra i cosiddetti pacifisti. Ma nessuno ha saputo suggerire a quali forze si sarebbe dovuto demandarne il compito. Non erano barconi di rifugiati incerca di una riva alla quale approdare, erano gruppi di militanti, violenti e armati fino al collo, fanatici estremisti, ai quali importa solo che Israele scompaia dalla faccia della terra. Chi doveva andare ? Guardiacoste ? Semplici marinai su delle motovedette ? Tu sai che quel mare è solcato da navi di provenienza iraniana e siriana, colme di carichi di armi pronte per essere usate da Hamas contro Israele, per cui mi è difficile, anche usando il senno di poi, immaginare un commando diverso da quello che è entrato in azione. Ti dirò di più, conoscendo le tecniche di provocazione politica che i "pacifisti" sono abituati a mettere in pratica, sono certo che avrebbero cercato comunque lo scontro, perchè è il metodo che più convince l'opinione pubblica occidentale, che non sa più far altro che richiamarsi all'amore universale, come se il male bastesse ignorarlo per farlo scomparire. Aggiungi poi la bontà, l'accoglienza, la solidarietà, ma tutto in casa altrui, mi raccomando, meglio se in casa di Israele, e ancora meglio se al posto di Israele. In un mondo nel quale la vita non ha più nessun valore, abbiamo imparato a riscoprirne l'importanza solo quando di mezzo c'è lo Stato degli ebrei. Migliaia, centinaia di migliaia, milioni di morti in questo dopo guerra apparentemente senza guerra, dove i numeri delle vittime ci scivolano via tra un festival di Sanremo e una Champion's league, nomi come Cecenia, Hutzi / Tutzi, Tibet, Cambogia, Cina, Russia, Sudan, Darfur, l'Iraq di Saddam sterminatore dei Curdi, l'Iran di Ahmadinejad, sono solo evocativi di viaggi intelligenti e low-cost, mentre i massacri che li sottintendono li abbiamo già dimenticati nello stesso momento nel quale, con fastidio, ne siamo venuti a conoscenza. Una abitudine fatta propria soprattutto dai cosiddetti pacifisti e dalle loro organizzazioni autodefinitesi umanitarie, che si guardano bene dall'andare a ficcare il naso in quegli stati che hanno fatto del terrore la caratteristica del loro potere, neanche per emettere uno straccio di comunicato. Certo che era un agguato, come hai scrito, una trappola, ma Israele non aveva altre scelte se non quella di comportarsi come ha fatto. Se avevano intenzione di portare beni di consumo potevano accettare che nave attraccasse al porto di Ashdod e,dopo le dovute verifiche, la merce sarebbe potuta arrivare a Gaza, dove, per altro, c'è semmai un surplus di cibo e di ogni altro tipo di beni, come ho documetato in un pezzo l'altro giorno su Libero, e come confermava ieri Lorenzo Cremonesi sul Corriere, un inviato non certo in ombra di simpatie per Israele. Eppure Gaza viene raccontata come "affamata", un'enorme menzogna, che però affascina la sensibilità europea, afflitta dai sensi di colpa perchè ha soprattutto il problema dell'obesità quale malattia sociale. Caro Direttore,dobbiamo svegliarci, che almeno i lettori di Libero siano informati che la fine della nostra società è vicina, natalità aiutando, di tratta solo più di pochi decenni, e poi Allah uAkbar diventerà il nostro saluto abituale. Ma non è detto, forse riusciremo ancora a salvarci, ma se cade Israele è finita per tutto il momndo occidentale. Guarda su internet (o informazione corretta che li riprende) i video del nostro futuro prossimo venturo, è tutto già lì, raccontato. Per questo cerchiamo di capire le ragioni di Israele, insieme alle difficoltà, dando sì suggerimenti, ma soprattuto comprensione.
Libero-Giuliano Cazzola: " La lucidità militare di Israele è offuscata "
Giuliano Cazzola
Giusto quanto scrive, ma ha senso il richiamo a Entebbe (citato più volte in questi giorni), quando il terrorismo ha completamente mutato il suo volto ? Oggi i criminali si presentano travestiti da pacifisti (ma quale buona fede, basta leggere le cronache della minuziosa preparazione), Cazzola ha ragione, sta con Israele, ma è ora di smetterla di essere comprensivi con i nemici e severi con lo Stato ebraico. Vorremmo vedere come si comporterebbe uno Stato europeo se si trovasse nei panni di Israele.
Caro direttore, “Libero” ha tenuto una posizione equilibrata sugli incidenti tra i soldati d’Israele e il naviglio dei sedicenti pacifisti. È una linea di condotta che merita attenzione ed apprezzamento, visto l’atteggiamento dei quotidiani e, in generale, dei media, pregiudizialmente ostile alla causa israeliana, fino a negare persino l’evidenza. A nulla sono servite, infatti, le riprese apparse su tutti gli schermi da cui è emerso, in bell’evidenza, come sui ponti degli scafi siano svolte delle vere e proprie battaglie, tanto a costringere i militari ad usare le armi. Quando è in difficoltà, Israele si trova circondato da nemici implacabili e in compagnia di amici infidi, sempre pronti a voltargli le spalle. Anche l’Amministrazione americana ha cambiato posizione. Non è un caso che durante le manifestazioni dei giorni scorsi siano state bruciate soltanto bandiere israeliane mentre non si siano visti roghi del vessillo “a stelle e strisce”, come accadeva ai tempi di Bush e in precedenza. Anche l’Onu ha voluto testimoniare l’inutilità e la parzialità di un’organizzazione in cui i Paesi democratici dell’Occidente contano soltanto per pagare le quote. SUPREMAZIA PERDUTA Quando ci sono dei morti è sempre doverosa la pietas umana anche nei confronti degli avversari e dei nemici. Purtroppo i caduti della flottiglia non sono i soli civili che vengono sacrificati, anche ai nostri tempi, alle spietate logiche della guerra: perché quella che si combatte nel vicino Oriente è una guerra e il naviglio si proponeva di forzare un blocco disposto come azione di difesa di uno Stato sovrano, democratico, circondato da satrapie sanguinarie che non vogliono negoziare la pace, ma perseguono la sua scomparsa dalla faccia della terra.Così, caro direttore, in questa circostanza mi sento di rimproverare Israele per un solo motivo: aver perduto, da tempo, quell’effi - cienza militare che stupì il mondo ad Entebbe e prima ancora nelle guerre degli anni ’60 e ’70. Quando la situazione è delicata e a rischio di incidente diplomatico, non ci si limita a calare - come è avvenuto - dagli elicotteri, nel bel mezzo ad un “nido di vipere”, un numero di militari inadeguato a neutralizzare dei nemici armati di spranghe, di coltelli e magari di pistole, ma pronti a reagire con l’energia di un odio implacabile. Quello che fu uno dei migliori eserciti del mondo non dovrebbe essere costretto a sparare per difendersi da una banda di sgarruppati, travestiti da pacifisti. COMPRENSIONE Ciò premesso, credo che Israele meriti comprensione e solidarietà, proprio perché si trova nei guai. Si tratta di un Paese che non ha mai rinunciato ad una dura dialettica politica interna, nonostante il clima di assedio permanente in cui vive dalla sua nascita. Un Paese che non avrà difficoltà a riconoscere - se ce ne sono stati - i propri errori, una volta che sarà cessata la farisaica canea che percorre le Cancellerie e le istituzioni internazionali. Un Paese che ha diritto all’autodifesa con tutti i mezzi di cui dispone (è assurdo voler misurare la proporzione delle reazioni!). Così, direttore, mi dispiace per quelle vittime (alcuni di loro erano forse in buona fede). Ma io sto con Israele. Come sto con le forze della coalizione internazionale quando in Afghanistan le azioni di guerra provocano, purtroppo, delle vittime tra i civili. Quanto all’Europa, molti suoi Governi sono pronti a mollare Israele in nome di un nuovo Patto di Monaco, questa volta per arrendersi alle comunità musulmane intransigenti.
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