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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
25.05.2010 L'appoggio di Obama alla Corea del Sud può cancellare il sostegno della Cina alle sanzioni Iran
Commenti di Mattia Ferraresi, Claudio Gallo

Testata:Il Foglio - La Stampa
Autore: Mattia Ferraresi - Claudio Gallo
Titolo: «Tempismo sbagliato - Lo scambio dell'uranio. Palla all'AIEA»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 25/05/2010, a pag. 1-4, l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo " Tempismo sbagliato ". Dalla STAMPA, a pag. 21, l'articolo di Claudio Gallo dal titolo " Lo scambio dell'uranio. Palla all'AIEA  ". Ecco i due articoli:

Il FOGLIO - Mattia Ferraresi : " Tempismo sbagliato "


John Bolton

Washington. Il tempismo degli Stati Uniti non poteva essere “più sbagliato di così”, dice John Bolton al Foglio commentando la crisi diplomatica tra le due Coree, la visita di Hillary Clinton a Pechino e i toni aggressivi della Casa Bianca contro Pyongyang a sostegno di Seul. “La Cina non vuole abbandonare l’alleato nordcoreano ed è ingenuo pensare che Pechino possa prendere improvvisamente le difese della Corea del sud e quindi schierarsi a fianco degli Stati Uniti”, spiega Bolton, ex ambasciatore americano all’Onu, da sempre molto duro nei confronti del regime di Kim Jong-il. Nelle trattative incrociate che coinvolgono anche la questione del nucleare iraniano – la bozza delle sanzioni sarà discussa a giugno al Consiglio di sicurezza dell’Onu – la Cina non ha nulla da perdere e, anzi, può permettersi di alzare la posta: “Il tema – continua Bolton – è la pressione americana per far entrare il dossier della Corea del nord nel dibattito al Consiglio di sicurezza. Cosa che non accadrà, perché l’esclusiva con Pyongyang è un asset che la Cina non vuole cedere”. L’intreccio tra la Corea del nord e l’Iran è sempre più pericoloso. I due paesi hanno un’alleanza strategica – materiale nucleare arriva e parte dai porti della Corea del nord diretto verso l’Iran, e viceversa – e spesso l’approccio diplomatico usato con l’una tende a essere applicato anche all’altro (la bozza in discussione ora contro Teheran è, secondo le indiscrezioni, modellata sull’ultima applicata a Pyongyang). In mezzo ci sta la Cina, che in entrambi i casi vuole difendere sia i suoi interessi sia il suo ruolo nella regione. Gli Stati Uniti fanno pressioni soprattutto sulla rivalutazioni dello yuan – ancora ieri il segretario di stato americano Clinton, e il ministro del Tesoro, Timothy Geithner hanno ribadito la richiesta – e hanno più volte irritato i cinesi con le aperture a Taiwan e al Dalai Lama. Ma ora la Cina ha dato il suo appoggio per le sanzioni all’Iran e vuole passare direttamente alla cassa: non è destinata a cedere su Pyongyang, anzi, dice Bolton. Bolton, uomo dell’Amministrazione Bush, sulla Corea del nord ha sempre avuto le idee chiare. Una volta un giornalista gli ha chiesto quali fossero le opzioni politiche verso la potenza nucleare di Pyongyang e lui, tanto per farsi capire, ha preso dalla libreria il testo “La fine della Corea del nord” e l’ha appoggiato sul tavolo senza dire nulla. “Credo ancora – continua l’ex ambasciatore – che l’America aspiri a far collassare il regime di Kim Jong-il. Ma i negoziati dell’Amministrazione Obama non porteranno a nulla”. Secondo Bolton l’unica merce di scambio che la Cina può offrire per legittimare l’isolamento di Pyongyang è un inasprimento della bozza dell’Onu sulle sanzioni all’Iran. Una mossa strategica che lascia il lavoro di annacquamento delle misure a Turchia e Brasile, gli ispiratori della diplomazia parallela con Teheran. “La Cina potrà da una parte dire che è d’accordo sull’inasprimento delle sanzioni, e dall’altra fare in modo che siano Brasile e Turchia, con l’appoggio dei russi, a indebolire il testo delle sanzioni”. Le mosse diplomatiche della Russia sono avvolte da una cortina fumogena. La telefonata-fiume di Hillary Clinton con il ministro degli Esteri del Cremlino, Sergei Lavrov, ha avuto come esito un accordo sulle sanzioni piuttosto costoso per Washington, che ha tolto alcuni vincoli economici alle basi militari russe e ha scongelato la vendita all’Iran della batteria di missili antiaerei S-300, che darebbe la copertura cui Teheran aspira per difendersi da eventuali attacchi. In più, nelle ore delle trattative, Mosca lavorava trasversalmente per entrare nell’accordo Brasile- Turchia-Iran. Sono in molti a ritenere che le concessioni di Washington ai russi siano sproporzionate all’accordo su una bozza che, dice Bolton, “sarà debole e ininfluente”. Lo scenario esemplifica gli scampoli della dottrina che Obama ha spiegato sabato all’accademia di West Point, un misto di multilateralismo e vocazione onusiana che per Bolton “fa gli interessi delle potenze alternative all’America”. E l’ex ambasciatore non risparmia una frecciata al passato: “Obama sta proseguendo sulla linea del secondo mandato di Bush. Allora è stato commesso l’errore che oggi stiamo pagando: togliere la Corea del nord dalla lista degli stati canaglia”.

La STAMPA - Claudio Gallo : " Lo scambio dell'uranio. Palla all'AIEA "


AIEA

L’Iran ha consegnato ieri all’Agenzia atomica internazionale la bozza dell’accordo sullo scambio di uranio siglata con Turchia e Brasile. L’America ha già mostrato, con una certa irritazione, di considerare il documento nient’altro che un modo per ritardare all’Onu l’intesa sul nuovo embargo all’Iran: una stretta in stile «iracheno».
Se ci si focalizza sugli aspetti tecnici, il patto è sostanzialmente una replica di quello proposto a Vienna, nell’ottobre 2009. In entrambi i casi la quantità di uranio a bassa intensità (LEU), da trasferire all’estero in cambio (dopo circa un anno) di uranio arricchito al 20 per cento per alimentare un reattore utilizzato a scopi medici, è di 1200 chilogrammi. Secondo la nuova intesa, lo scambio non avverrebbe in territorio iraniano (come chiedeva a ottobre Ahmadinejad) ma in Turchia. La vera differenza, dicono i critici come l’esperto americano David Albright, è che allora le scorte iraniane di LEU erano valutate in circa 1500 chilogrammi mentre oggi sarebbero salite a circa 2300. È chiaro che, rispetto a ottobre, resterebbe in mani iraniane una quantità di LEU sufficiente (posto che questa volontà esista) a essere arricchito al livello utile (90 per cento) per costruire un’atomica. Nella bozza poi non si parla di fermare l’arricchimento di uranio in Iran, come chiesto dal Consiglio di Sicurezza.
Il quadro tecnico è ovviamente più complesso, ma non è questo il punto. L’accordo di ottobre era nato come un espediente per «costruire fiducia» tra le parti. E infatti, davanti alla freddezza americana, il ministro turco Ahmet Davutoglu dice: «Volevano che si stabilisse un clima di fiducia con l’Iran per fare lo scambio. Noi abbiamo fatto il nostro dovere». L’accordo di Teheran infatti va visto come un atto politico. Un primo passo, non una soluzione. Chi non ci crede, rischia di ripercorrere la funesta strada irachena. Ma il mondo di Obama non è più il mondo di Bush, al Pentagono lo sanno bene. Roger Cohen sul New York Times ha accusato Obama di non essere all’altezza dei suoi discorsi: «Lo scorso anno, all’Onu, Obama auspicò una nuova era di responsabilità condivise. “Insieme potremo costruire nuove coalizioni per superare le vecchie divisioni”, disse. Turchia e Brasile hanno risposto e sono stati snobbati. Obama ha fatto sì che le sue parole illuminate di allora suonino oggi vuote».

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