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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
19.04.2010 Emergency: liberati i tre italiani. Resta da chiarire la presenza delle armi nell'ospedale
Ma se ne ricorda solo Gabriele Torsello. Perchè?

Testata:Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica
Autore: Maurizio Caprara - Francesca Paci - Lorenzo Cremonesi - Renzo Guolo
Titolo: «Afghanistan, rilasciati gli italiani. Le autorità locali: 'Non colpevoli' - Fuori a testa alta. Speriamo di tornare a lavorare presto - L'ospedale dà fastidio? E' un'accusa ridicola - Se la verità caccia l'infamia»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/04/2010, a pag. 2, l'articolo di Maurizio Caprara dal titolo " Afghanistan, rilasciati gli italiani. Le autorità locali: 'Non colpevoli' ", a pag. 3, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Fuori a testa alta. Speriamo di tornare a lavorare presto ". Dalla STAMPA, a pag. 4, l'intervista di Francesca Paci a Gabriele Torsello dal titolo " L'ospedale dà fastidio? E' un'accusa ridicola ". Da REPUBBLICA, a pag. 1-22, l'articolo di Renzo Guolo dal titolo " Se la verità caccia l'infamia ", preceduto dal nostro commento.

I tre italiani di Emergency sono stati rilasciati dalle autorità afghane perchè ritenuti non colpevoli. E' una buona notizia, ma resta il problema delle armi nell'ospedale di Lashkar-gah. L'unico a ricordarlo e a chiedere spiegazioni al riguardo, sui quotidiani di oggi è Gabriele Torsello, intervistato da Francesca Paci. Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Maurizio Caprara : " Afghanistan, rilasciati gli italiani. Le autorità locali: 'Non colpevoli' "


Franco Frattini

ROMA— Nei casi nati da inchieste del servizio segreto afghano National directorate of security le cose possono cambiare notevolmente. Sabato 10 aprile, giorno degli arresti dei tre volontari italiani in Afghanistan dopo il sequestro di armi nascoste nell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah, la Farnesina prendeva le distanze dalla struttura definendola «non riconducibile né direttamente né indirettamente alle attività finanziate dalla Cooperazione». Ieri, il sottosegretario con delega ai servizi segreti Gianni Letta ha commentato il rilascio dei tre dichiarando che «il governo il suo derby l’ha vinto».

Era stato da poco il ministro degli Esteri Franco Frattini, nel pomeriggio, a confermare da Roma la liberazione del chirurgo Marco Garatti, dell' infermiere Matteo Dell’Aira e del logista Matteo Pagani, autorizzati a lasciare in base a un patto tra Stati una guest house, residenza per ospiti, del Nds nella quale erano chiusi da due giorni a Kabul. Ha riferito Frattini ai giornalisti convocati a Palazzo Chigi: «Il governo afghano ha chiesto che vi fosse l’impegno formale del governo italiano: qualora emergessero successivamente alla liberazione accuse nuove, o si approfondissero le originali che non giustificavano più la detenzione, che siano le autorità giudiziarie italiane, con la legge italiana, a occuparsi del caso».

Lieto fine per i tre (non si sa se per l’ospedale) preceduto da un’azione della Farnesina intensificatasi la settimana scorsa, un lavoro parallelo del servizio segreto italiano Aise, la mobilitazione di Emergency, una lettera di Berlusconi al presidente afghano Hamid Karzai.

«Non colpevoli» è il giudizio sui tre italiani scritto ieri dal Nds in un comunicato. Dall’ufficio del governatore della provincia dell’Helmand, Gulabuddin Mangal, era stato sostenuto invece che la cattura dei tre, con altri sei afghani, si doveva ad un loro complotto. Un piano secondo il quale le pistole e le cinture esplosive sequestrate sarebbero dovute servire a produrre vittime in un attentato per indurre Mangal a visitare i feriti in ospedale e lì farlo uccidere da un attentatore suicida.

La versione fornita dal Nds all’Italia per motivare il rilascio, a quanto ha appreso il Corriere, evoca un altro complotto. L’inchiesta del Nds dell’Helmand sarebbe apparsa superficiale a livello centrale perché derivata dall’input di un personaggio sotto ricatto. Il movente? L’opposto di quello ritenuto da molti: la manovra contro Emergency sarebbe stata ordita per favorire talebani che individuano in qualunque presenza straniera, e l’ospedale era la più vulnerabile, un nemico. Il direttore del Nds Amrullah Saleh avrebbe avuto il coraggio di non avallare l’operazione del suo braccio locale.

Difficile che su negoziati come questo concluso dal rilascio tutto sia chiaro presto. La tesi riferita, di certo, evita di avallare le interpretazioni più logiche che hanno sottolineato come l’ospedale di Emergency fosse malvisto dal Nds, da Karzai, dai britannici dell’Isaf.

Oltre agli ambasciatori Glaentzer e Iannucci, Frattini ha ringraziato il Pd per l’«atteggiamento misurato». Da Letta un «grazie» al presidente del comitato parlamentare sui servizi Massimo D’Alema. Giorgio Napolitano ha tenuto conto dell’andamento del caso articolando la sua valutazione così: «Il governo, e per esso il ministro degli Esteri, ha operato con accortezza e fermezza, aderendo alle preoccupazioni espresse da una vasta opinione pubblica».

La STAMPA - Francesca Paci : " L'ospedale dà fastidio? E' un'accusa ridicola "

Torsello dichiara : "Eliminare un ospedale in guerra non è così difficile, magari con un bombardamento tipo fuoco amico, l'abbiamo visto l'anno scorso a Gaza quando fu colpito il compound delle Nazioni Unite".
Durante la guerra a Gaza Israele aveva obiettivi militari ben precisi. Purtroppo succedono anche gli errori. Accusare Israele di aver bombardato di proposito sedi dell'Onu è assurdo. In ogni caso, Torsello potrebbe ricordare anche che, molto spesso, le sedi Onu sono state utilizzate come nascondiglio dai terroristi di Hamas.
Ecco l'intervista:


Gabriele Torsello

Il primo pensiero di Gabriele Torsello va ai tre operatori italiani liberati: «E' una gioia saperli salvi». Il secondo però, il fotografo salentino rapito in Afghanistan nel 2006 lo dedica alla situazione che ha portato al loro arresto. Ed è assai meno peace&love: «C'è qualcosa di poco chiaro intorno all'ospedale di Emergency a Lashkar-gah. Questo non significa che ciò di cui era stato accusato avesse fondamento, ma perchè mai le autorità di Kabul, che come tutti da sempre riconoscono l'importanza dell'attività medica di Emergency, dovrebbero voler far chiudere la struttura? Toccherebbe a Gino Strada spiegarcelo».
Intende dire che in questa storia i buoni e i cattivi non sono chiaramente riconoscibili come nella narrativa di Emergency?
«Di certo qualcuno ha portato le armi dentro l'ospedale e anche se si trattasse della stessa persona che le ha trovate ci devono essere delle ragioni. Nessuno discute il lavoro di Emergency, ma questa è la terza volta che sorgono problemi tra Lashkar-gah e il governo. Era successo nel 2007 all'epoca dell'arresto di Hanefi (il mediatore dei sequestri Torsello e Mastrogiacomo) e le indagini furono bloccate. Poi ancora all'indomani della mia liberazione, quando Strada parlò del riscatto pagato. La cosa non fu apprezzata a Kabul senza contare l'irresponsabilità di dichiarazioni del genere che pubblicizzano il prezzo dell'ostaggio».
Strada sostiene che ci sia la volontà politica di mettere i bastoni tra le ruote a Emergency. Cosa ne pensa?
«Questa storia che l'ospedale di Lashkar-gah dia fastidio è ridicola. Bisogna ricordare che la missione di Emergency in Afghanistan è curare i feriti e non informare il mondo su cosa accade nel paese. Va benissimo criticare la guerra e i suoi effetti ma non nel contesto in cui opera Emergency. Per quanto sia difficile essere obiettivo al cento per cento, un giornalista deve prendere un po' di distanza dal soggetto di cui scrive. Il lavoro dei chirurghi di Strada è lodevole ma proprio perchè trattano con esseri umani trucidati da pallottole o da mine e sono emotivamente coinvolti non possono fare i giornalisti. Invece lo fanno».
Pensa sia questo che il governo di Kabul non digerisce?
«Non lo so. Ora l'importante è che i tre operatori, di cui conosco solo Matteo, tornino a casa. Verrà il tempo di approfondire. Ma Strada non può sostenere che ci siano manovre contro l'ospedale, di cui nessuno, neppure tra gli afghani, nega i meriti. Eliminare un ospedale in guerra non è così difficile, magari con un bombardamento tipo fuoco amico, l'abbiamo visto l'anno scorso a Gaza quando fu colpito il compound delle Nazioni Unite».
A distanza di 3 anni e mezzo si è fatto un'idea del suo rapimento?
«Preferisco non farmi idee, ci sono ancora troppi aspetti non chiari. Forse mi hanno rapito perchè mi avevano preso per qualcun altro. Non sono mai più tornato in Afghanistan da allora, per come sono andate le cose non mi sembrerebbe giusto».
Cosa succederà quando e se le truppe occidentali si ritireranno?
«Appeno sento i cosiddetti pacifisti mi viene da ridere. Come si fa a pensare che basti il ritiro dei soldati occidentali per portare la pace in Afghanistan? E' ingenuo. Una parte del mondo non è sicura, ci sono diverse forme di violenza terroristica. In Afghanistan si sta facendo un lavoro, non sarà perfetto, ma il sostegno occidentale è indispensabile seppure, giustamente, di tanto in tanto debba essere rinegoziato. Parlare di pace è facile ma allora cominci Gino Strada chiarendo la situazione e tendendo la mano alla parte del governo afghano che lo accusa anzichè contrattaccare sostenendosi con chi è d'accordo con lui».

CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Fuori a testa alta. Speriamo di tornare a lavorare presto "


Marco Garatti, Matteo Pagani, Matteo Dell'Aira

KABUL— «Prima di tutto abbiamo bisogno di una bella vacanza. Ma poi torneremo. Ci hanno scagionato da ogni accusa. Lavoreremo ancora per Emergency in Afghanistan. E lo faremo da liberi cittadini», sorridono i tre italiani appena liberati dal carcere. È finita. Ed è finita bene. Dopo 8 giorni di prigione, completamente isolati dal mondo, senza mai poter comunicare tra loro. Martellati dagli interrogatori quotidiani degli inquirenti e con l'unica parentesi di due incontri con i diplomatici italiani, ieri alle 18 ora di Kabul hanno finalmente compreso che l'incubo era davvero terminato: liberati per mancanza di prove. «Lo abbiamo capito soltanto quando ci hanno fatto togliere i camici azzurri e permesso di indossare i nostri vestiti», ha detto il chirurgo Marco Garatti, il veterano dell'organizzazione umanitaria che ha parlato più di tutti. Accanto a lui, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani Buonaiuti sorridevano finalmente distesi, rilassati. Evaporato nel nulla il castello di accuse, svanita la prospettiva di un lungo periodo di prigionia in attesa del processo e caduti i teoremi che li volevano «terroristi» di lungo corso al servizio dell'eversione talebana con addirittura la possibilità di pene esemplari, compresa la fucilazione, come alcuni media locali avevano azzardato.

I loro visi tradiscono una lunga stanchezza. A tenerli in piedi sono l'eccitazione nervosa per la pioggia di belle notizie improvvise appena giunta. Ci dicono che possono parlarci «solo per pochi minuti». Ma in effetti la loro conferenza stampa nel salone dell'ambasciata italiana a Kabul diventa un lungo racconto liberatorio condito da abbracci, telefonate, calorosi saluti a chi tra i giornalisti negli ultimi anni li aveva incontrati più volte nelle stanze degli ospedali di Emergency, qui nella capitale, ma anche nella valle del Panshir e nella stessa struttura di Lashkar Gah, dove erano stati arrestati poco prima delle 14 il 10 aprile scorso.

Garatti ci tiene a sottolineare, anche in inglese ai colleghi della stampa britannica, che il punto più importante della loro liberazione è che non solo loro, ma «tutta Emergency ne escono puliti, a testa alta, completamente sollevati da alcuno sospetto». Con loro escono anche 5 dei 6 dipendenti afgani dell'organizzazione arrestati quello stesso giorno. «Ora è importante fare completamente chiarezza. Siamo noi i primi a chiedere che continuino le indagini. Occorre che vengano individuati gli eventuali colpevoli, per cancellare ogni possibile ambiguità», aggiunge. Su questo punto il chirurgo è cauto. Non commenta apertamente le dichiarazioni del direttore dell' organizzazione, Gino Strada, il quale più volte negli ultimi giorni ha parlato di un «complotto» ai danni di Emergency, addirittura ipotizzando che qualcuno tra i servizi segreti afghani, le truppe britanniche Isaf nella zona, o gli uomini del governatore di Helmand potessero aver posto armi ed esplosivo nei locali dell'ospedale per incriminare gli italiani e cancellare un «testimone scomodo». «Non sappiamo. Conosciamo il carattere caldo di Gino — minimizza il chirurgo— Con il governatore, le truppe inglesi o la polizia locale non avevamo avuto alcun problema».

E aggiunge: «Emergency ha oltre 1.000 impiegati afghani. Come possiamo garantire che nessuno sia colpevole? Non possiamo controllare tutti». Ci tiene però a sottolineare che lui e i due colleghi sono stati trattati «bene, in modo corretto»: «Sia nel carcere di Lashkar Gah che in quello di Kabul siamo stati in celle pulite, con cibo decente, non abbiamo subito abusi di sorta durante gli interrogatori».

Quanto al sospetto che il loro arresto sia stato anche dovuto all'antica ruggine tra il governo Karzai, con in testa i suoi servizi segreti diretti dal potente Amirullah Saleh, e la politica di Emergency di curare senza differenze qualsiasi ferito, Garatti ha ripetuto il suo vecchio adagio: «Noi non abbiamo alcun problema a curare i talebani o i poliziotti feriti in combattimento. Non ci sono discriminazioni di sorta tra i malati che vengono nelle nostre strutture». È vero invece che pochi minuti prima della liberazione tutti e tre hanno incontrato Saleh.

A detta dell'inviato speciale della Farnesina, ambasciatore Attilio Massimo Iannucci, è stato l'ultimo passaggio cruciale. «In quell'incontro ho capito che davvero erano liberi, Saleh ha spiegato cortese che non avevano individuato alcun capo di accusa contro gli italiani — ci ha detto alla fine della conferenza stampa —. Lo sblocco della vicenda era stato però durante l'incontro, in compagnia dell' ambasciatore Claudio Glaentzer, con Hamid Karzai sabato mattina. È stato proprio il presidente afghano ad esprimere tutta la sua ammirazione per il lavoro di Emergency emanifestare la volontà di risolvere la cosa in tempi brevi».

La REPUBBLICA - Renzo Guolo : " Se la verità caccia l'infamia "

Guolo scrive : " In simili occasioni esponenti di governo avrebbero dovuto agire secondo un´etica della responsabilità anziché secondo un´etica della convinzione. Esitazione, accompagnata dalle polemiche sull´operato di Emergency da parte di uomini della maggioranza, che ha alimentato la percezione di un paese diviso per logiche d´appartenenza anche in queste delicate circostanze, dando l´impressione che Roma sacrificasse alla realpolitik, evitando di turbare rapporti con Kabul e qualche potente alleato sul campo, la necessità di proteggere i tre concittadini. " Se i tre italiani sono liberi, il merito è del governo italiano. Renzo Guolo non può negarlo ma, giusto per non perdere l'abitudine, muove delle critiche perchè ciò che conta non è il risultato ma il fatto che il governo non si sia mosso immediatamente, che abbia avuto qualche dubbio sul fatto che fosse possibile che Emergency fosse coinvolta nel traffico d'armi per i talebani. Ecco l'articolo:


Gino Strada

Sono liberi gli operatori di Emergency, discolpati formalmente da ogni accusa dagli stessi servizi afgani che li avevano indicati come attivi complici dei Taliban e dei loro alleati qaedisti. Un´accusa apparsa, sin dall´inizio, surreale: perché coinvolgeva personale di un´organizzazione che fa del pacifismo radicale e del principio di cura alle persone la sua bandiera.Il buon esito della vicenda e il sollievo che ne è derivato, espresso a nome della nazione da parte del presidente della Repubblica Napolitano, non esime dal sottolineare alcune questioni.
Il caso si è risolto solo dopo che il governo italiano ha battuto un colpo con la lettera di Berlusconi al presidente afghano Karzai in cui, finalmente, si chiedevano risposte «urgenti e concrete» in merito. Un passo che l´Italia, che in Afghanistan ha uomini e mezzi nella missione Isaf e dona ingenti aiuti alla ricostruzione, doveva compiere sin dal momento del fermo dei tre sanitari di Emergency da parte del Nds, l´intelligence di Kabul, facendo sentire immediatamente tutto il suo peso.
Scelta compiuta, invece, solo dopo l´intensa mobilitazione politica, giunta a coinvolgere anche l´Onu, seguita alle iniziali dichiarazioni del ministro Frattini e di altri esponenti del governo troppo schiacciate sulle colpevoliste tesi di Kabul. In simili occasioni esponenti di governo avrebbero dovuto agire secondo un´etica della responsabilità anziché secondo un´etica della convinzione. Esitazione, accompagnata dalle polemiche sull´operato di Emergency da parte di uomini della maggioranza, che ha alimentato la percezione di un paese diviso per logiche d´appartenenza anche in queste delicate circostanze, dando l´impressione che Roma sacrificasse alla realpolitik, evitando di turbare rapporti con Kabul e qualche potente alleato sul campo, la necessità di proteggere i tre concittadini.
Com´era prevedibile la torbida vicenda si è risolta per via politica e non per via giudiziaria. Così come politici erano i nodi della battaglia che si è combattuta sul corpo vivo di Emergency, bersaglio dei molti che non condividono la sua logica d´azione in un contesto in cui curare tutti senza chiedere a quale fazione si appartenga appare una pericolosa eresia; l´organizzazione fondata da Strada è divenuta, suo malgrado, una sorta di oggetto transazionale su cui si sono scaricate le tensioni tra centro e periferia, che dall´Helmand si riverberano sulla capitale Kabul, e quelle tra il governatore locale e il governo Karzai, legate alla trattativa che lo stesso presidente conduce con i Taliban, almeno quelli meno convinti della bontà della linea pro-qaedista del mullah Omar. Oltre che, in vista dell´annunciato ritiro dalla "guerra necessaria" degli Stati Uniti e della coalizione, i segnali più o meno amichevoli che Kabul manda anche ai suoi alleati per ottenere concessioni di ogni tipo.
Prima che il governo italiano decidesse di gettare il suo peso nella vicenda, l´organizzazione di Strada pareva destinata a svolgere il ruolo assunto nel buskashi, tradizionale sport afghano, dalla carcassa decapitata di un animale, disputata da contendenti a cavallo in un gioco in cui non ci sono regole e, pur di ottenerla, tutto è consentito. La posta era, quantomeno, la partenza dall´Helmand, teatro di un´intensa offensiva destinata a espandersi nei prossimi mesi, se non dall´intero "Paese dei Monti" di un´Emergency ormai screditata, colpita nella sua "ossessione pacifista" da infamanti accuse. Un´operazione fallita, ma che dà la misura dei mezzi con cui si combatte e avviene la lotta politica nel ginepraio afgano.

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