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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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DanielPipes.org - Il Foglio - Libero Rassegna Stampa
18.03.2010 Israele-Usa: l'alleanza non è in discussione
Analisi di Daniel Pipes, Norman Podhoretz, Glauco Maggi

Testata:DanielPipes.org - Il Foglio - Libero
Autore: Daniel Pipes - La redazione del Foglio - Glauco Maggi
Titolo: «Riguardo Biden in Israele - Podhoretz e il 'pretesto' di Obama per far pressione su Israele - Promesse e ripicche, Obama fa danni in Israele»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 18/03/2010, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Podhoretz e il 'pretesto' di Obama per far pressione su Israele ". Da LIBERO, a pag. 23, l'articolo di Glauco Maggi dal titolo " Promesse e ripicche, Obama fa danni in Israele ". Pubblichiamo l'analisi di Daniel Pipes dal titolo " Riguardo Biden in Israele  ". Ecco i pezzi:

Daniel Pipes : " Riguardo Biden in Israele "


Daniel Pipes

Il viaggio di Joe Biden in Israele s'inserisce bene nello scontro in seno all'amministrazione Obama riguardo alla politica verso Israele.

Inizialmente ha prevalso l'estrema sinistra, come comprovato dalla dichiarazione rilasciata da Hillary Clinton nel maggio 2009 che Obama: "vuole uno stop definitivo agli insediamenti: non vuole nessun insediamento, avamposto, non ammette eccezioni neppure per la crescita di insediamenti spontanei". Ma questo approccio ha fatto fiasco, permettendo al centro-sinistra di prendere il sopravvento nel settembre 2009.

Il centro-sinistra prevale ancora, come stanno a indicare le due dichiarazioni di ieri di Biden. Prima egli ha offerto da parte dell'amministrazione Usa "l'impegno assoluto, totale e senza riserve a favore della sicurezza di Israele". Poi, egli ha criticato una decisione israeliana di edificare nuove unità abitative a Gerusalemme come una linea d'azione che "mina la fiducia di cui abbiamo bisogno proprio ora."

L'approccio del centro-sinistra è migliore di quello dell'estrema sinistra, ma né l'uno né l'altro hanno alcuna probabilità di successo. Ciò di cui Israele ha bisogno non è venire tartassato per le sue politiche abitative, ma di un alleato americano che l'incoraggi a vincere la sua guerra contro gli irredentisti palestinesi sia di Fatah che di Hamas.
DanielPipes.org

Il FOGLIO - " Podhoretz e il 'pretesto' di Obama per far pressione su Israele "


Norman Podhoretz

Milano. Dopo una settimana di accuse, scuse, accuse, ieri è stata la giornata dell’“abbassiamo i toni” tra Israele e Washington: l’annuncio di nuove case a Gerusalemme est fatto dal governo israeliano durante la visita del vicepresidente americano, la settimana scorsa, è stato del tutto inopportuno, ma ora cerchiamo di non farne un caso diplomatico. Così c’è stata una telefonata riconciliatoria tra Joe Biden e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, c’è stata una maggiore cautela da parte del segretario di stato Hillary Clinton (che aveva definito “insultante” l’annuncio del governo di Gerusalemme) e ci sono stati molti appelli al dialogo e alla calma da parte delle lobby pro ebraiche negli Stati Uniti. Ma la tensione non si è affatto dissipata. Perché in realtà “l’Amministrazione Obama non ha alcuna intenzione di abbassare i toni”, dice al Foglio Norman Podhoretz, il decano del movimento neoconservatore americano. “Washington ha usato l’annuncio sulle nuove abitazioni come pretesto per mettere sotto pressione Israele”, continua Podhoretz. Nessun governo di Gerusalemme ha mai messo tra le condizioni di pace il congelamento della costruzione di nuove case nella parte est della capitale, si è sempre discusso soltanto degli insediamenti in Cisgiordania. “Soltanto un’altra volta accadde qualcosa di simile con le abitazioni a Gerusalemme est – ricorda Podhoretz – e alla Casa Bianca c’era Bush padre. Ma non durò a lungo”. Allora il segretario di stato americano, James Baker, fu accolto dal premier israeliano Yitzhak Shamir, con l’annuncio di nuovi insediamenti in Cisgiordania, un affronto ben più grande se si pensa che la costruzione a Gerusalemme est è considerata quasi un’attività di routine: nemmeno l’opposizione a Netanyahu si è fatta più di tanto sentire, e nessuno ha intenzione di fermare quelle costruzioni. Così si è venuto a creare un paradosso: Netanyahu ha approvato il congelamento delle nuove costruzioni in Cisgiordania per dieci mesi, come richiesto dalla comunità internazionale, e proprio ora i palestinesi non vogliono più sedersi al tavolo delle trattative, dopo essersi seduti per anni nonostante il governo israeliano continuasse a costruire in Cisgiordania. Perché Obama ha voluto approfittare di un pretesto per scatenare questa crisi? Podhoretz dice che il motivo di fondo è che questa Amministrazione “pensa che sia Israele l’ostacolo alla pace e così aiuta i palestinesi ad alzare sempre di più la posta”. La storia insegna, ricorda l’intellettuale, che a ogni concessione israeliana corrisponde un rilancio palestinese, fino a che la trattativa non si blocca. Gli Stati Uniti dovrebbero evitare che si inneschi tale processo, “ma Obama lo favorisce”. La soluzione dei due popoli e due stati, che anche Israele ormai ha fatto sua, non diventa concreta perché “i palestinesi non vogliono due stati, semmai ne vogliono uno solo, il loro – dice Podhoretz – Ogni volta che hanno avuto terra a disposizione, l’hanno usata per trasformarla in una base del terrorismo. Basta guardare quel che è successo a Gaza”. Eppure Washington pensa che mettendo sotto pressione Israele la pace arrivi più in fretta, c’è addirittura chi sostiene che l’obiettivo sia quello di far cadere il governo Netanyahu, troppo falco per poter garantire passi avanti concreti vista l’ostilità dei palestinesi, a favore dell’opposizione di Kadima o dei laburisti (ora al governo in coalizione). “Può essere – spiega Podhoretz – si dice anche che il pretesto sia stato colto per disinnescare l’eventualità di un attacco militare contro l’Iran, e per prenderne semmai le distanze, ma il problema è un altro: Obama fa l’amico con i nemici e il nemico con gli amici. Dialoga con i regimi e chiude la porta alle democrazie alleate, si comporta all’esatto opposto rispetto a quanto faceva il suo predecessore George W. Bush. Il presidente dovrebbe pensare più a far cadere Mahmoud Ahmadinejad a Teheran piuttosto che a ribaltare il governo di Netanyahu”. Il grande cambiamento strategico, “ammesso che una strategia ci sia”, sta tutto qui, e Israele sta pagando il prezzo più alto. “Perché intanto i regimi si rafforzano – continua Podhoretz – l’Iran costruisce la bomba atomica, ha tutto il tempo per farlo”. Podhoretz è anche preoccupato per le anticipazioni uscite in questi giorni sulla strategia del generale David Petraeus, a capo del Centcom, secondo cui i militari sarebbero d’accordo con Obama nel fare pressioni su Israele per ingentilire il mondo arabo nei confronti degli Stati Uniti. “Sarebbe una grandissima delusione, io stimo molto Petraeus”. Nella testimonianza al Congresso, martedì pomeriggio, il generale non ha usato gli stessi toni attribuitigli da Mark Perry in un articolo su Foreign Policy, e Podhoretz si sente più sollevato. “Perry è un ex consigliere di Yasser Arafat che pensa che la strategia migliore sia parlare con i terroristi, come dice il titolo del suo ultimo libro – dice Podhoretz – Petraeus è di tutt’altra pasta, sa che bisogna trattare, ma dipende con chi. C’è solo una cosa che mi ha sempre preoccupato, pur nella mia grande ammirazione per il generale. E’ il suo Phd a Princeton. Quel posto corrompe un po’ tutti”.

LIBERO - Glauco Maggi : "Promesse e ripicche, Obama fa danni in Israele "

Presentandosi ai potenziali elettori ebrei americani in campagna elettorale, nel giugno 2008 Obama “falco” non usò mezzi termini: «Gerusalemme rimarrà la capitale di Israele, e deve restare unita, non divisa ». Poi, eletto, ha operato da “colomba” nella sua politica verso il Medio-Oriente e l’Iran, e i risultati si vedono. Anche dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyauh ha formalmente accettato, mesi fa, la soluzione “dei due stati che vivono a fianco in pace” (la formula bushana che non era mai stata sottoscritta prima dalla destra israeliana), la Casa Bianca nulla ha fatto per ottenere dai palestinesi la ovvia condizione posta da Gerusalemme. Ossia l’impegno a garantire la sicurezza permettendo una supervisione indipendente internazionale delle forze militari e degli armamenti palestinesi. Invece, incassati i “progressi” dagli amici ebrei, Obama ha poi dedicato le sue attenzioni alla riforma sanitaria (l’80% delle energie), facendo deteriorare il suo peso in politica estera. “In - deciso a tutto”, ha oscillato nei confronti della Cina - vedendo di nascosto il Dalia Lama, ma vendendo armi a Taiwan - così da creare la massima tensione anche con il suo più importante creditore, che sta alzando il muro della censura (caso Google) e sta angariando sempre di più le corporation Usa (come denuncia un allarmato articolo di prima pagina del Wall Street Journal).
I SORRISI
Quanto al Brasile di Lula, al Venezuela di Chavez, alla Cuba dei due Castro e al Messico (dove le bande della droga si permettono di uccidere il personale consolare Usa alla luce del giorno), sorrisi e aperture del presidente post-imperialista hanno solo rafforzato l’antia - mericanismo storico. Non stupisce quindi che l’inviato speciale di Barack per la “pace” israelo-palestinese George Mitchell, nominato per sminuire di fatto il ruolo del segretario di Stato Hillary Clinton, abbia annunciato ieri che è saltato il viaggio previsto questa settimana per riannodare il filo dei contatti indiretti tra Netanyauh e il leader della Autorità Palestinese Mahmoud Abbas. Per di più, quando Netanyauh sarà in America lunedì prossimo per cercare sostegno tra i politici Usa filo-israeliani, il presidente Usa sarà in viaggio in Indonesia. Il livello delle relazioni tra i due alleati non è mai stato così basso, ed è crescente la sensazione che a minarle sia in prevalenza l’approccio della Casa Bianca, che nei primi 15 mesi di governo ha dimostrato di preferire la fermezza verso gli “amici” alla determinazione, o anche alla semplice presa d’atto della realtà, verso i dichiarati nemici. Nell’ultimo strappo con Tel Aviv, la parte israeliana ci ha messo del suo, per la verità: l’annuncio municipale che dei costruttori privati svilupperanno un nuovo complesso edilizio nella parte orientale di Gerusalemme proprio mentre il vicepresidente Joe Biden era in Israele per parlare di future intese, è stato «non necessario», persino nella interpretazione di John Bolton, ex ambasciatore all’Onu di George Bush ed il più netto difensore di Israele. Ed è stata una provocazione per la maggioranza dei commentatori, per lo più filo palestinesi. Ma la realtà è che è stata la fiducia (mal) riposta dal governo Netanyauh in Obama a partorire l’incidente degli insediamenti, che si è trasformato in un oggettivo arretramento della posizione israeliana.
GLI INSEDIAMENTI
La Casa Bianca, un anno fa, voleva un totale blocco delle nuove costruzioni nella West Bank, il territorio che dovrà costituire la patria del futuro stato palestinese, e il governo israeliano acconsentì ad una moratoria di 10 mesi, che Obama accettò con la esplicita esclusione della zona orientale di Gerusalemme. Per la città, dunque, l’aprire i cantieri in quel quartiere oggi è una semplice operazione immobiliare legittima. Ma l’averla presentata con Biden in loco l’ha trasformata in una mossa maldestra, di cui Netanyauh ha dovuto chiedere scusa. Se sia più la destra interna a forzare la mano al premier di Israele, perché si convinca ad andare da solo alla guerra preventiva contro Teheran vista la mollezza di Obama, o se sia l’in - clinazione filo-islamica di Barack Hussein ad allontanare gli Usa dal vecchio alleato di ferro, restano le macerie di una relazione fino a ieri mai in discussione e oggi tutta da ricostruire. Ma riuscire a fare il regista della pace tra ebrei e musulmani, mentre è in atto il conto alla rovescia della bomba nucleare in Iran, non sarà facile, come si illudeva l’Obama premio Nobel. Che in un anno ha visto scendere il suo tasso di popolarità tra gli ebrei israeliani al 4% (quattro per cento), e d’altra parte deve tener conto che negli Usa il sostegno verso Israele è al 63%, contro il 20% di pro-palestinesi.

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