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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Repubblica-La Stampa-Corriere della Sera-Focus on Israel-Sky Tv Rassegna Stampa
24.12.2009 Pio XII: Dialogo ? Tregua ? Beatificazione separata ?
Ma il finale è già deciso. Cronaca e commenti, con un sondaggio di Sky Tv

Testata:La Repubblica-La Stampa-Corriere della Sera-Focus on Israel-Sky Tv
Autore: Orazio La Rocca-Giacomo Galeazzi-Fabio Martini-Francesco Battistini-Raffaella Troili
Titolo: «Il vaticano frena su Pio XII, tregua con la Comunità ebraica»

Anche oggi tiene banco su quasi tutti i giornali la polemica Pio XII beato, decisione presa dal Vaticano nei giorni scorsi. Sorvoliamo sulla separazione tra "uomo di fede" e "scelte politiche", che consentirebbe la beatificazione di Pacelli sul piano religioso, separandolo così dagli atti compiuti. Una interpretazione inaccettabile.
Interessanti le titolazioni, che vanno dal definire "plauso" la valutazione della Comunità ebraica, mentre altri la definiscono "tregua". Anche il comportamento di Papa BXVI viene interprertato a seconda dello schieramento del giornale, chi lo giudica "mal consigliato", una comoda via d'uscita applicata puntualmente quando ci sono polemiche che lo coinvolgono (discorso di Ravensburg, il rientro dei vescovi negazionisti ecc.), altro che difendono a spada tratta Pio XII, come Giulio Andreotti che su REPUBBLICA lo giudica un "sant'uomo", anticipando addirittura la decisione finale del Vaticano. Anche Lucetta Scaraffia , sul RIFORMISTA, proclama già santo Papa Pacelli, partendo dalla constatazione che l'apertuta degli archivi non porterà nessuna novità a quanto già si sa, arrivando a sostenere che Pio XII fece "tutto il possibile" per aiutare i perseguitati, per cui basta con tutte queste polemiche, santo subito e così sia.
Pubblichiamo cronache e commenti da LA REPUBBLICA, LA STAMPA, CORRIERE della SERA, Focus on Israel.

La Repubblica-Orazio La Rocca: " Pio XII beato. il Vaticano frena, plauso della Comunità ebraica"

CITTÀ DEL VATICANO - Papa Ratzinger risponde tempestivamente ai «chiarimenti» su Pio XII richiesti dalla Comunità ebraica di Roma. E, altrettanto tempestivamente, il rabbino capo capitolino Riccardo Di Segni apprezza, ringrazia «il Vaticano per l´attenzione» e parla di «clima rasserenato».
Torna, quindi, il sereno nei rapporti tra Santa Sede ed ebrei romani, e la preventivata visita alla Sinagoga di Roma da parte di Benedetto XVI il 17 gennaio prossimo può considerarsi salva. Il «miracolo» si è materializzato ieri con una nota del portavoce papale, padre Federico Lombardi, trasmessa dalla Radio Vaticana e pubblicata dall´Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede; subito seguita da un comunicato di «apprezzamento» firmato dal rabbino Di Segni. Gli ebrei romani - ma non solo loro - erano stati chiari: se dal Vaticano non arriveranno «precisi e tempestivi chiarimenti» sulle virtù eroiche di papa Pacelli sancite da Ratzinger, con particolare riferimento alla necessità che dal punto di vista storico occorre ancora fare chiarezza sui presunti silenzi di Pio XII sulla Shoah, la situazione potrebbe complicarsi, fino a compromettere la stessa visita papale in Sinagoga. Detto, fatto. «La ricerca storica su Pio XII e la Shoah non si fermerà con la sua beatificazione». Ma soprattutto, ha spiegato Lombardi, «Pacelli non sarà beatificato insieme a Wojtyla», per il quale si parla dell´ ottobre 2010. Per Pio XII non ci sono, invece, date certe all´orizzonte, perché le due cause - parola di portavoce papale - «seguiranno percorsi diversi, anche se sabato scorso Benedetto XII ha firmato i decreti per le virtù eroiche di Wojtyla e Pacelli». Ed ancora: la dichiarazione di venerabilità sancita da Ratzinger «non significa che la Chiesa avalli per le scelte storiche di Pio XII» sulle quali si deve aspettare l´apertura degli archivi vaticani relativi al pontificato pacelliano dal 1939 al 1945, gli anni della seconda guerra mondiale.
In definitiva, era proprio quello che i vertici della Comunità ebraica volevano sentire da Oltretevere, anche in vista di un difficilissimo consiglio della stessa Comunità indetto per ieri sera da tempo, ma che è stato chiamato anche ad analizzare a porte chiuse il caso Pacelli e la prossima visita di Ratzinger in Sinagoga. Visita che, a questo punto, non dovrebbe correre più rischi. Stando soprattutto al favorevole commento diffuso dal rabbino capo Di Segni subito dopo la nota vaticana.
«Apprezzo la tempestività e l´attenzione del Vaticano, che - è stata la valutazione di Di Segni - tramite il direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi, ha risposto con una nota sul decreto sulle "virtù eroiche" di Pio XII ad alcune domande essenziali di parte ebraica. Sono importanti sia la distinzione dell´aspetto religioso della questione da quello storico, sia la precisazione che la causa di beatificazione avrà un suo iter indipendente. Certamente rimane aperta e controversa la valutazione storica, ma è rilevante la comprensione vaticana per la "richiesta di avere aperte tutte le possibilità di ricerca". Considero la nota un opportuno segnale distensivo». Analoghi «apprezzamenti» sono arrivati anche dal rabbino David Rosen, responsabile del dialogo interreligioso del Gran Rabbinato di Israele.

 

 La Repubblica-Orazio La Rocca: " Un'occasione per rilanciare il dialogo, ma Wojtila non avrebbe mai firmato "


Rav Giuseppe Laras

ROMA - «A questo punto, credo proprio che sull´attesissima visita che Benedetto XVI farà alla Sinagoga di Roma non ci dovrebbero essere più problemi. Anche se è bene essere prudenti e fare in modo che, da ambo le parti, si cooperi sempre di più per rilanciare quello spirito di reciproca comprensione messo a dura prova a causa del decreto sulle virtù eroiche di Pio XI firmato dal Papa sabato scorso. Nella speranza che vicende simili non accadano mai più».
Giuseppe Laras, presidente dell´Assemblea dei rabbini italiani, all´indomani della contestata dichiarazione sulla venerabilità di Pacelli, era stato tra i primissimi alti esponenti dell´ebraismo italiano a paventare il pericolo di una possibile negativa ricaduta dell´iniziativa di Ratzinger sulla sua imminente visita in Sinagoga. «Per quel decreto, tra gli ebrei la delusione è forte e, se non ci saranno chiarimenti da parte del Vaticano, l´incontro potrebbe saltare», aveva avvertito il rabbino.
Maestro Giuseppe Laras, pericoli quindi scongiurati dopo lo scambio di messaggi di ieri tra Vaticano e Comunità ebraica romana?
«Credo proprio di sì. E mi fa piacere constatarlo. Anche se è bene vigilare perché, malgrado il chiarimento avvenuto, da qui al 17 gennaio ci sono ancora tanti giorni ed anche una battuta o una sola parola mal detta o mal interpretata può avere conseguenze imprevedibili e spiacevoli per tutti. Auspico che non accada più».
Ma lei se lo aspettava che Benedetto XVI delegasse il suo portavoce ufficiale a diffondere una nota tanto ampia e per molti versi esplicativa sul caso Pacelli?
«Ci speravo fortemente e, in cuor mio me lo aspettavo. Come ci sperava tutta la Comunità ebraica, perché come ebrei eravamo fortemente preoccupati per le conseguenze che ci sarebbero state per l´esito della visita in Sinagoga a causa del clima che era andato formandosi dopo il decreto papale».
Quindi, maestro Laras, possiamo dire che la vicenda si è chiusa bene e, persino, con risvolti positivamente chiarificatori da ambo le parti?
«Mica tanto. Per l´esito della visita papale in Sinagoga è andata certamente bene, anche se occorre sempre vigilare. Ma per il resto non sarei molto contento per come si è svolta tutta questa vicenda esplosa intorno alla dichiarazione sulle virtù eroiche di Pio XII, un pontefice su cui occorre ancora fare chiarezza in merito ai suoi rapporti coi regimi nazifascisti e ai suoi silenzi sulla Shoah».
Perché così pessimista nel giorno in cui, in fondo, si è arrivati ad un chiarimento accettato da ambo le parti?
«Temo che queste vicende non possano non avere conseguenze sul dialogo tra cristiani ed ebrei. Polemiche simili appesantiscono i rapporti bilaterali, li rendono più lenti, più complicati, anche se poi c´è stato il chiarimento del Vaticano. È un fatto, però, che la decisione presa su Pio XII da Ratzinger è stata intempestiva e non sufficientemente attenta alla sensibilità degli ebrei che, ripeto, non possono non avere ancora dubbi e perplessità sull´atteggiamento assunto da Pacelli nei confronti della Shoah. Papa Wojtyla non avrebbe mai fatto un errore simile perché lui era sempre in grande sintonia con le sensibilità ebraiche e lo ha dimostrato da vescovo e durante il suo pontificato. Non dimentichiamo che nel 1986 nella visita alla Sinagoga ci chiamò "nostri fratelli maggiori"».
Alla fine, però, Vaticano e Comunità ebraica si sono chiariti e hanno convenuto che occorre guardare alla storia.
«Giusto. E´ bene che siamo tutti consapevoli che i documenti storici sul pontificato pacelliano vanno letti, studiati e capiti. È stato giusto ribadirlo, anche se non ci sono state novità. Ma, quel che mi preoccupa di più, è il clima che simili vicende possano creare».

La Stampa-Giacomo Galeazzi: " Laras: Un danno per il dialogo invitare Ratzinger "

«Tutta la visita è stata gestita con leggerezza, adesso ho paura che il Papa al ghetto sarà contestato» Su Pio XII il rabbino Giuseppe Laras, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, trova «incomprensibile la distinzione vaticana tra valutazione storica e di fede».
Non la soddisfa il chiarimento della Santa Sede?
«No. Non c’è assolutamente nessuna novità. Continua ad essere indicata a modello per i fedeli una figura come minimo controversa. Nella sostanza il comunicato vaticano conferma l’iniziativa, cioè l’accelerazione alla beatificazione di Pacelli, presentata come un passo in un iter già previsto. Nessun ripensamento, si nega una volontà particolare di offendere l’ebraismo e si distingue in modo inconcepibile fra giudizio storico e religioso. Anzi si ribadisce che Pio XII ha aiutato tanti ebrei e che quando si apriranno gli archivi si vedrà. E’ strana (e sembra voluta) questa accelerazione non necessaria. Si aspettava la notizia di Wojtyla poi improvvisamente è stato inserito anche Pio XII».
Perché secondo lei?
«Il Vaticano non si è reso conto della gravità, soprattutto a ridosso di un evento come la visita papale in sinagoga che è molto controverso sia in sede cattolica sia ebraica. Non si è capito che inserire la questione Pacelli avrebbe scatenato nuove polemiche. Non si è riflettuto. E’ già accaduto in molte altre vicende come quella terribile della grazia al negazionista Williamson: una vicenda tutt’altro che chiusa. Perciò questa visita è controproducente, è più negativa che positiva. Anche se non vedo positivamente la visita però al punto in cui siamo, per come si sono evoluti gli avvenimenti, bisogna farla altrimenti sarebbe molto grave. Lo “stop” da parte degli ebrei, il dire “non vogliamo più“ un personaggio del livello del Papa sarebbe disastroso. Casomai non bisognava invitarlo. Se salta la visita si fa male il Vaticano, ma ci facciamo molto più male noi. Non si può lasciare fuori dalla porta un ospite di questo livello, quindi penso che la visita si svolgerà».
Quali effetti prevede?
«Da tutto questo ne uscirà indebolito il dialogo tra cattolici ed ebrei. A me che mi ci sono dedicato per decenni è la cosa che preoccupa di più. La visita passa, si dimentica ma il già così delicato e fragile dialogo ne uscirà provato ancora di più. E’ un passo indietro di molti anni. E’ difficile stimare i danni, però dovremo riguadagnare lo spazio conquistato e si perderà tempo prezioso. Tra tre settimane non sarà la stessa visita di Wojtyla nel 1986. Quello è stato un evento storico. Ce n’è uno: non è che si può ripetere ad ogni pontificato. La visita di Wojtyla ha toccato tutti, ha fatto riflettere, pensare, piangere sperare. Adesso non c’era più motivo di una visita di sinagoga. Mi preoccupa l’incontro al ghetto con i deportati. Lì si attendono reazioni dall’ambiente, la mia paura segreta è che il Papa venga contestato, ma è meglio non dirlo troppo per non farlo venire in mente a qualcuno. Stavolta tutto è stato impostato in maniera un po’ leggera riguardo questa visita. Si prevede che il Papa durante la visita non mancherà di spiegare bene la figura di Pio XII, ma se lo farà in sinagoga non potrà fare più di tanto marcia indietro, dovrà ribadire quello che è il suo convincimento e ciò è pure legittimo. Però se elogia Pio XII nella visita in sinagoga non è una cosa semplice. Speriamo che vada tutto bene».

La Stampa-Fabio Martini: " Per il giorno della memoria Fini invita il Nobel Wiesel "


Elie Wiesel

Elie Wiesel - una delle personalità più carismatiche del mondo ebraico, uno degli ultimi testimoni della Shoah e premio Nobel per la pace - prenderà la parola nell’aula di Montecitorio il 27 gennaio, giorno della memoria, nel corso di una solenne seduta alla quale presenzierà anche il Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Un evento che, seppur simbolicamente, a suo modo segna una soluzione di continuità nell’approccio di un Paese come l’Italia che per molti decenni ha coltivato una politica estera di aperta simpatia nei confronti del mondo arabo e della causa palestinese. Ne è indirettamente la prova il significativo elenco degli ospiti che sinora hanno preceduto Wiesel nell’aula di Montecitorio: nella storia della Repubblica sono state pochissime le personalità alle quali sia stata concessa l’opportunità di un discorso alle Camere e il primo è stato nientedimenoche il leader dell’Olp Yasser Arafat nel 1982. Seguito dal re di Spagna Juan Carlos di Borbone (era il 1998 e l’onore fu concesso anche perché il monarca è nato a Roma) e da Papa Wojtyla che nel 2002 tenne uno storico discorso in occasione del suo ottantesimo compleanno.
Naturalmente nella scelta di invitare Wiesel e, a sua volta, nella decisione del premio Nobel di scegliere, nel giorno della memoria, proprio l’Italia, hanno giocato diversi fattori. Nell’invito determinante è stata la volontà impressa da Gianfranco Fini. L’idea di invitare Wiesel e poi di sostenerla con convinzione è stata del presidente della Camera, che si è ovviamente tenuto in contatto sia con la presidenza della Repubblica che con quella del Consiglio. E d’altra parte il mondo ebraico si fida di Fini, Israele lo considera oramai uno dei suoi migliori amici in Italia, quasi più dello stesso Silvio Berlusconi, che pure è stato l’artefice della prima, significativa svolta filo-israeliana nella politica estera italiana. Ma nella scelta di Wiesel, da quel che trapela, ha giocato anche una complessiva simpatia per l’Italia, che da qualche anno è considerato da Israele uno tra i Paesi europei più vicini.
Wiesel prenderà la parola alla Camera dei deputati in occasione del decennale dell’istituzione anche in Italia del giorno della memoria, celebrato ogni 27 gennaio in commemorazione delle vittime del nazismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di tutti coloro che a rischio della propria vita, protessero i perseguitati negli anni della persecuzione degli ebrei. La scelta della data ricorda il 27 gennaio 1945, il giorno in cui le truppe dell’Armata rossa scoprirono nella città polacca di Auschwitz il terribile campo di concentramento nazista, all’interno del quale si erano salvati soltanto pochi sopravvissuti. Tra questi avrebbe dovuto esserci anche un ragazzo ebreo di 16 anni, originario della Romania, di nome Elie Wiesel.
Alcune settimane prima, però, il ragazzo era stato trasferito nel campo di concentramento di Buchenwald, dove il padre era morto per dissenteria. Finita la guerra, Elie Wiesel era finito in un orfanotrofio francese, dal quale era uscito per iniziare a studiare alla Sorbona. Qualche anno più tardi Wiesel scrisse «La notte», considerato il suo capolavoro, successivamente si trasferì negli Stati Uniti e nel 1986 ottenne il Premio Nobel per la pace. Protagonista di importanti interventi davanti al Congresso americano e alle Nazioni Unite, nel giugno scorso Wiesel ha accompagnato il presidente americano Barack Obama e il cancelliere tedesco Angela Merkel nella loro visita al campo di sterminio di Buchenwald.

Corriere della Sera-Francesco Battistini: " E' giusto aspettare, la Shoah è ancora viva "


Rav David Rosen

GERUSALEMME — Rabbino David Rosen, qui a Gerusalemme lei è l’uomo del dialogo coi cattolici. Come leggere questo «rinvio» sulla beatificazione di Pio XII?

«Io so, per esperienza personale, che a Papa Ratzinger spiace far arrabbiare gli ebrei. Ma nella visione della Chiesa cattolica, gli ebrei non sono una priorità. E quel che fa il Papa, non lo può fare per compiacere noi. Il 99% delle comunità ebraiche non capisce che questa storia va letta in un quadro più ampio: lo scontro fra liberali e conservatori per l’attuazione del Concilio. Dopo il Vaticano II, su certe aperture agli ebrei c’è stata una reazione. Semplicemente, Ratzinger fa parte di questa reazione. E cerca d’assecondarla».

Ma è normale che gli ebrei pretendano d’imporre l’agenda al Papa?

«Gli ebrei non si devono impicciare. È una questione interna alla Chiesa. Però possono giudicare. Dal nostro punto di vista un Giusto, o se lo volete chiamare un Santo, è uno che ha agito per salvare gli ebrei. Chiunque non l’abbia fatto, è solo per questo colpevole. Poi c’è chi non sapeva, e io credo che Papa Pacelli davvero non sapesse. Ma lo credo io. E allora mettiamola così: per evitare fastidiose interferenze degli ebrei, e insieme non offendere la loro memoria, forse sarebbe meglio aprire il processo di beatificazione solo quando fosse morta l’ultima vittima diretta della Shoah. Questa tragedia continua a vivere nel collettivo ebraico. La seconda, la terza generazione vivono ancora il trauma. Ce ne vorranno almeno cinque, perché la memoria cominci a pacificarsi».

Alle critiche sulla beatificazione annunciata, il Vaticano risponde che aprire gli archivi è inutile: quel che c’era da sapere, si sa già...

«Non sono uno storico. Ma 12 anni fa, quando fu istituita la commissione interreligiosa per discutere degli archivi e di Pio XII, gli storici posero quaranta domande su punti da chiarire. Non ricordo cosa dicessero quelle domande, ma ricordo la risposta: il Vaticano bloccò tutto. Le domande ci sono. Le risposte, no».

Però Pio XII è stato setacciato in ogni modo...

«La questione non è se ci siano o no dubbi. La questione è la verità, e questa passa per gli archivi vaticani. La Shoah è la tragedia storica che più ci mostra la debolezza dell’uomo. Ci sono molte problematiche da affrontare, non solo su Pacelli».

Benedetto XVI ci sta abituando a questi annunci seguiti da ripensamenti, scuse, imbarazzi. Secondo lei, è una strategia?

«Ratzinger non va a zig-zag. Va molto peggio. Quel che è successo con questa beatificazione, è un errore che forse li batte tutti: tre settimane prima della visita al Tempio di Roma! Un errore tanto banale quanto grave. Temo che il Papa si sia circondato di persone sbagliate, che non sanno le cose e non le sanno nemmeno fare».

Da Ahmadinejad ai ladri di Auschwitz, passando per le polemiche sulla memoria: perché la Shoah continua a essere un tema politico? Non c’è una strumentalizzazione, da una parte e dall’altra?

«La fondazione dello Stato d’Israele ha aiutato, ma non risolto. E dover combattere per il suo diritto all’esistenza, fra gli ebrei, ha fatto crescere sempre di più il trauma da cui Israele è nato. Si lega l’Olocausto al conflitto in Medio Oriente. Anche se non sempre in modo appropriato».

Che cosa dovrebbe fare Benedetto XVI per chiudere questo lungo equivoco con gli ebrei?

«Non penso possa mai chiuderlo. Però può fare qualcosa per migliorare il rapporto. Non vorrei dare consigli, ma certo aiuterebbe un documento più ampio della "Nostra Aetate", che sgombri il campo dagli equivoci. Ratzinger è un grande amico degli ebrei, secondo me. Ha ricevuto più ebrei che rappresentanti di altre religioni. Ha fatto anche cose ottime. Ed è un grande intellettuale: parli con quel che scrive, prima che con gli atti».

Focus on Israel-Raffaella Troili: " Piero Terracina 'Se Pio XII avesse fatto un gesto molti ebrei romani si sarebbero salvati "


Piero Terracina

ROMA  – Al silenzio della Chiesa e di Pio XII, Piero Terracina contrappone la voce del cuore, non potrebbe fare altrimenti. Il suo è il commento dell’ebreo romano, ragazzo deportato ad Auschwitz il 7 aprile del ‘44, che ancora conta i nomi dei morti dentro la famiglia. E ora che Papa Pacelli – figura controversa per il suo atteggiamento verso la Shoah – si avvia a diventare beato (Benedetto XVI ha firmato il decreto per le virtù eroiche, nonostante la Comunità ebraica l’abbia sempre osteggiato), Terracina prende le distanze: «E’ una cosa tutta interna alla Chiesa», però…
«Però credo sia opportuna una riflessione sulla visita del Papa in Sinagoga in programma il 17 gennaio. Le decisioni le prenderanno quanti devono farlo, ma un momento di riflessione serve».

Aveva 15 anni quando venne arrestato dalle Ss e deportato ad Auschwitz insieme ad altri sette membri della famiglia. Tornò a Roma da solo, unico superstite, due anni dopo. «Del silenzio della Chiesa e in particolare di Pio XII ne abbiamo sempre parlato. Di una cosa resto convinto: che se quel 16 ottobre del ‘43, quando avvenne la razzia degli ebrei romani dal Ghetto, quando per due giorni restarono chiusi nel Collegio militare di via della Lungara, a 300 metri dal Vaticano, il Papa fosse uscito, avesse fatto un cenno, un gesto…». E in testa ha un’immagine che poteva essere e non è stata.

«Se solo avesse aperto le braccia, e mi riferisco a quelle bellissime immagini che testimoniano la sua visita a San Lorenzo bombardata nello stesso anno, gli ebrei romani non sarebbero stati deportati». Così non è stato. «Anzi, silenzio più totale. Eppure Himmler ha atteso due giorni prima di partire, si dice che aspettasse le reazioni del Vaticano».

Alla fine il treno è partito. A bordo 1023 ebrei romani, uno aveva un giorno. Appena arrivati, dalle selezioni, ne uscirono vivi meno di 300. A casa ritornarono in 16, una donna sola. «E’ naturale che io pensi che non sarebbero stati assassinati se ci fosse stato un intervento reale della Chiesa. Non voglio arrivare a dire che il silenzio è una complicità ma quello che è successo a Roma, dove risiedeva il Papa, si poteva evitare. Ma la storia non è fatta di se e ma». Sospira Terracina e prende di nuovo le distanze, però s’interroga: «Noi non veneriamo i santi, non crediamo alla santità delle persone. Abbiamo solo un santo, ed è il Signore. Ma non credo che un Santo sarebbe stato in silenzio, a guardare. Un santo non può avere paura, ha sempre la protezione del Signore. E poi, quanti santi si sono sacrificati per salvare altre vite? Ecco, sulla santità di Pio XII esprimo qualche dubbio, quantomeno in quel momento storico non l’ha dimostrata, se la Chiesa pensa che sia opportuno…».
(Fonte: Il Messaggero, 20 dicembre 2009)

Concludiamo con una buona novella, tanto per rallegrare i giorni di festa. Un sondaggio, fatto ieri 23/12/2009, da SKY Tv, ha dato il seguente risultato:
DOMANDA: Il Vaticano valuta la fede e non i fatti storici. Lei è d'accordo ?
RISPOSTA: 66% NO -  34/ SI

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