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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Rassegna Stampa
15.11.2009 La FAO, uno scandalo internazionale
L'articolo di Luigi Mascheroni

Testata:
Autore: Luigi Mascheroni
Titolo: «La Fao mangia soldi, poi fa lo sciopero della fame»

La FAO è uno dei peggiori carrozzoni creati dalle organizzazioni internazionali. Partito con la buona intenzione di lottare contro la fame nel mondo, oggi investe i due terzi delle sue risorse in spese interne, stipendi ai funzionari, mantenimento di costose sedi, + varie ed eventuali, come si dice. Agli affamati le briciole. Per questo difende la sua sopravvivenza, così come fanno altri carrozzoni simili. Bene ha fatto il GIORNALE di oggi, 15/11/2009, a pag. 1, con un articolo di Luigi Mascheroni , dal titolo " La Fao mangia soldi, poi fa lo sciopero della fame " "a smascherarne le malefatte.

Accade a volte che ammirevoli decisioni, prese con i migliori propositi, causino imprevisti effetti controproducenti. O involontariamente comici. Come lo è, al netto della drammatica situazione che intende denunciare, la scelta del direttore generale della Fao, Jacques Diouf. Il quale, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema dell’insicurezza alimentare in vista del vertice dell’Organizzazione previsto domani a Roma, ha scelto di impegnarsi in uno sciopero della fame. Di 24 ore.
Jacques Diouf ha iniziato il suo mediaticamente chiassoso digiuno di protesta contro il silenzio dell’informazione sulla fame nel mondo venerdì sera; ha passato la notte scorsa su un materassino all’ingresso del palazzo della Fao, sul viale delle Terme di Caracalla a Roma; e lo ha concluso ieri sera, a cena. «È un atto dimostrativo per spronare i governi a impegnarsi per garantire il diritto al cibo per tutti», ha dichiarato. Guadagnandosi la solidarietà e l’emulazione del segretario generale dell’Onu Ban ki Moon e del sindaco di Roma Gianni Alemanno.
Paradosso solo apparente di un gesto che nega in ambito personale ciò che si pretende a livello universale - è indubbio che avrebbe avuto più eco e maggior forza provocatoria un’enorme abbuffata con vergognosi sprechi di cibo imbastita davanti alla sede della Fao -. In realtà l’appello di Jacques Diouf (sacrosanto, intendiamoci) pone l’attenzione mondiale su un evento ad altissima emotività - nel nostro pianeta ogni sei secondi un bambino muore per fame o per malattie collegate alla malnutrizione - spostandola però da un problema invece a bassissima «notiziabilità»: pochi sanno, e pochissimo si dice al proposito, che due terzi del budget della Fao si perdono in costi di gestione dell’elefantiaca struttura, e solo un terzo è impiegato nell’accrescimento dei livelli di nutrizione e nell’aumento della produttività agricola dei Paesi cosiddetti del «terzo mondo».
Istituzione benemerita, irrinunciabile e di per sé insostituibile, la Fao nel biennio 2008-2009 ha potuto contare, grazie ai contributi dei 191 Paesi membri, su un budget di 930 milioni di dollari (più 800 milioni di donazioni private) dei quali solo 248 milioni, ossia il 27%, viene destinato concretamente al settore dell’alimentazione e dell’agricoltura. Il resto lo «brucia» la burocrazia. Come dire? Tagliare un pranzo dal proprio regime dietetico è gesto quanto mai nobile e meritevole. Tagliare carte, scartoffie e spese di rappresentanza sarebbe provvedimento più che mai utile e doveroso.
Le cifre che compaiono negli schemi illustrativi dei bilanci di previsione della Fao per il biennio in corso - e le proporzioni sono simili per il 2006/2007 quando il budget fu di 765 milioni di dollari - dimostrano che solo una parte dei soldi, abbondantemente al di sotto della metà del totale, viene effettivamente impiegata per incrementare la produzione agricola nelle zone più sfortunate del pianeta e migliorare la vita delle popolazioni rurali. La maggior parte dei fondi scorrono nei dispersivi canali dei vari programmi di «cooperazione tecnica», dell’informazione, dell’«interscambio di conoscenze», della direzione, dell’amministrazione...
Si calcola che la Fao, nell’attuale biennio, finirà con lo spendere 21 milioni di dollari per gli uffici della direzione generale e 126 milioni per i servizi di supervisione. L’ufficio del direttore generale costa 9 milioni e 148mila euro. E l’ufficio di coordinamento con l’Onu usufruisce di 2 milioni e 800mila euro. Sono solo alcuni esempi. Poi ci sono le sedi distaccate: la sede dell’Asia di Bangkok, il più costoso degli uffici periferici, ha a disposizione 18 milioni. La sede dell’America latina di Santiago ne ha 12. E l’ufficio africano di Accra quasi 11. Nella comunicazione la Fao investe 19 milioni di dollari a biennio, più di quanto destini ai mezzi e alle infrastrutture agricole; mentre le statistiche di settore costano quasi 13 milioni di dollari. E anche il capitolo dedicato all’«incontro culturale» ha i suoi (sempre inevitabili?) oneri amministrativi: 21 milioni di dollari... In questo senso, lo sciopero della fame di Jacques Diouf per solidarietà con il miliardo di persone che nel mondo soffrono di malnutrizione cronica, è a maggior ragione esemplare ed encomiabile. Perché gratuito.

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