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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
12.11.2009 Afghanistan: mandare più soldati e più specializzati
Cronaca e analisi di Maurizio Molinari, Daniele Raineri, Gerard Chaliand

Testata:Il Foglio - La Stampa
Autore: Daniele Raineri - Maurizio Molinari - Gerard Chaliand
Titolo: «La prima ritirata di Obama - Obama vuole svuotare l'Iraq. Altri 40 mila soldati a Kabul - Basta fingere, gli stranieri non portano la libertà»

Riportiamo dalla STAMPA, a pag. 14, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Obama vuole svuotare l'Iraq. Altri 40 mila soldati a Kabul ",dal FOGLIO di oggi, 12/11/2009, a pag. 1, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " La prima ritirata di Obama  ".  a pag. 15, l'articolo di Gerard Chaliand dal titolo " Basta fingere, gli stranieri non portano la libertà ". Ecco gli articoli:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama vuole svuotare l'Iraq. Altri 40 mila soldati a Kabul "

 
Maurizio Molinari

Barack Obama si prepara a fare l’annuncio sui rinforzi in Afghanistan e Washington in queste ore sta comunicando alle capitali alleate che anche loro «dovranno contribuire». Le indiscrezioni che filtrano da Casa Bianca e Pentagono lasciano intendere che il presidente americano avrebbe deciso di mandare in Afghanistan altri 30-40 mila soldati e, in tale cornice, si aspetterebbe dagli alleati un contributo pari al 10%, ovvero fra 3000 e 4000 unità.
Sulla carta raccogliere questi numeri si profila come un compito tutto in salita per via del fatto che solo due alleati finora si sono detti pronti a partecipare ai rinforzi: la Gran Bretagna con 500 soldati in più rispetto agli attuali 9000 e la Turchia raddoppiando il proprio contingente a 1488 effettivi. A conferma che il Pentagono avrebbe già avviato la pianificazione dei rinforzi, fonti militari Usa fanno sapere che mentre i soldati inviati da Obama faranno parte di «unità combattenti» destinate ad aumentare la pressione contro Al Qaeda ed i taleban, agli alleati verranno chiesti «istruttori per le truppe afghane» al fine di accelerare la preparazione dei reparti regolari di Kabul destinati a sostituire le forze della Nato.
Il Pentagono punta a portare le forze afghane dagli attuali 94 mila effettivi ad oltre 134 mila entro la fine del 2010 con l’obiettivo di arrivare in tempi più lunghi a 250 mila fra soldati e poliziotti. Non è dunque un caso che, parlando alla Bbc, il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen affermi: «Dobbiamo preparare più militari poliziotti afghani, dunque mi aspetto dai Paesi alleati che forniscano maggiori risorse per le nostre missioni di addestramento».
In concreto ciò significa che l’annuncio di Obama - atteso nei prossimi giorni - darà il via ad un’accelerazione dell’impegno della Nato in Afghanistan, con relativa richiesta agli alleati di mettere a disposizione uomini, mezzi e fondi per poter far fronte al bisogno di consolidare le forze di sicurezza afghane come avvenuto in Iraq fra il 2005 ed il 2007. «Siamo pronti a inviare altri 500 soldati e stiamo tentando di convincere altre nazioni alleate ad adottare simili decisioni» ha fatto sapere da Londra il premier britannico Gordon Brown, avvalorando l’impressione che siamo alla vigilia di una svolta. «In un futuro molto prossimo - assicura Rasmussen - inizieremo la pianificazione concreta per il rafforzamento della Nato in Afghanistan e non mi sorprenderebbe se riuscissimo a far partire i primi reparti all’inizio dell’anno».
Al momento sul terreno si trovano 65000 americani e 39000 alleati e decidendo di accogliere le richieste del comandante Stanley McChrystal, la Casa Bianca si avvia a toccare le 100 mila unità trasformando l’Afghanistan nel maggior teatro di operazioni militari in ragione della parallela diminuzione di reparti che è in atto in Iraq.
Intanto il Giappone ha fatto sapere a Washington di essere disposto a versare 5 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni per aiutare la ricostruzione dell’Afghanistan.

Il FOGLIO - Daniele Raineri : " La prima ritirata di Obama "

 
Daniele Raineri

We’ve got people inside our wire!”. “Sono dentro!”. Mai, mai era successo prima in Iraq e ora in Afghanistan di ascoltare via radio questo grido d’orrore dalla bocca del comandante di un Cop, Combat outpost. Il Cop è un fortino militare in Asia, come un puntino disegnato sulle mappe americane dalla strategia del generale Stanley McChrystal. La strategia afferma: spargerai le tue truppe il più possibile per tutti gli angoli del paese che il presidente degli Stati Uniti ti ha chiesto di pacificare. In questo caso – nel caso di Cop Keating – tra le montagne remote ma strategicamente irrinunciabili del Nuristan. Regola numero uno. I Cop e le altre basi più grandi sono bolle sigillate a tenuta stagna posate sul territorio nemico, gli americani stanno all’interno e i guerriglieri devono rimanere all’esterno. Poi i soldati escono fuori per intraprendere tutte le operazioni di controinsurrezione necessarie, escono per combattere o più spesso per andare a parlare con i capivillaggio locali, per mettere in piedi un ambulatorio medico o per sfondare la porta di un ricercato di al Qaida e portarlo via dentro un sacco nero. Ma i guerriglieri non devono riuscire a penetrare all’interno di un Cop. E’ come se vigesse l’extraterritorialità delle basi, sono un pezzo di suolo d’America. Per come sono irti di difese, tanto varrebbe accettare l’idea che se i talebani possono espugnare le basi oltremare allora possono anche sbucare da dietro una scrivania dentro la Casa Bianca. Ci sono visori a infrarossi, telecamere ad alta definizione, bastioni fortificati, copertura aerea, armi dappertutto. Sulla regola numero uno non si può transigere, perché sarebbe l’inizio della fine. I soldati americani possono farsi ammazzare in imboscate, essere attaccati da autobomba, farsi prendere a fucilate, colpi di razzo, raffiche di mitragliatrici, ma devono sempre poter contare sul ritorno e su una dormita sicura al Cop: è la loro cassaforte. Ma il 3 ottobre scorso è successo l’impensabile a Cop Keating, spicchio sudorientale dell’Afghanistan a soltanto dieci chilometri dal confine pachistano. I guerriglieri hanno attaccato in massa, sono riusciti a rompere le difese americane e a sciamare dentro il forte. Nella battaglia durata tutta la giornata sono morti otto soldati e un centinaio di talebani. L’unico caso vagamente paragonabile era accaduto in Iraq nel 2004, quando un attentatore suicida di Ansar al Sunna era riuscito a scivolare dentro una mensa vicino a Mosul vestito da inserviente e si era fatto saltare tra i soldati seduti ai tavoli, ammazzandone una ventina. Ma era il 2004: come dire l’età dell’innocenza rispetto a oggi, e si era trattato di un azzardo subdolo dei guerriglieri, un’operazione irripetibile giocata sull’inganno: non di un assalto frontale noisiamo- più-forti-e-ora-vi-battiamo. Quando gli elicotteri americani sono finalmente arrivati a Cop Keating, i piloti non avevano mai visto – come poi diranno nei rapporti – una scena simile: centinaia di talebani che brulicano attorno al forte, sui muri, dentro il forte, la maggior parte delle installazioni in fiamme e nascosta dal fumo, i soldati americani asserragliati in un angolo a combattere per le proprie vite. Il Cop era misto, c’erano anche baraccamenti di soldati afghani, i primi a cadere nelle mani del nemico. I guerriglieri hanno subito girato le armi delle forze regolari contro il lato americano e al resto hanno dato fuoco. Dodici soldati afghani sono stati portati via. Il primo resoconto della battaglia è quello fatto su Internet dal generale Barrey McCaffrey, grazie a un ufficiale non identificato al lavoro nel centro comando della vicina provincia di Laghman. Quel giorno l’ufficiale teneva sotto controllo le comunicazioni satellitari da tutte le unità americane sparse nelle province di Nangahar, Kunar e Laghman e ha ascoltato il disastro militare in diretta . Alle sei del mattino è cominciato il fuoco di armi leggere. In sé, non una cosa preoccupante, anzi, piuttosto frequente nella provincia. Poi le cose hanno cominciato a guastarsi. Volume di fuoco sempre più forte. Razzi. Il comandante del Cop ha chiesto l’intervento degli elicotteri, ma gli è stato risposto che erano a 45 minuti di volo. “Difenditi con i mortai”, gli hanno detto. Ma non si poteva più: la posizione è sul fondo di una conca naturale, dagli spalti di roccia tutt’attorno i guerriglieri tenevano sotto il fuoco la squadra di artiglieri. Cop Keating dal punto di vista militare era un obbrobrio indinfendibile, un forte di fondovalle accanto al letto di un fiumiciattolo dove i soldati erano costretti a puntare le armi verso l’alto e i nemici ti sparavano da sopra, ma non c’erano molte altre opzioni. La zona è un labirinto ripido di calanchi e villaggi aggrappati ai fianchi di roccia delle prime increspature dell’Hindu Kush, che poco più a oriente si alza e diventa la catena dei picchi himalayani. Il Cop americano era stato messo lì come a voler dare un messaggio simbolico, abbastanza vicino al villaggio di Kamdesh da proteggerlo dall’influenza talebana ma non troppo da disturbare gli abitanti. O si sta al sicuro in cima a una vetta, ma isolati, o si sta in basso ed esposti tra la strada e le prime case. La mattina del 3 ottobre altri mortai americani da 120 millimetri, da Cop Fritshe a pochi chilometri di distanza, hanno cominciato a sparare ma non sono stati di aiuto. A quel punto il comandante ha comunicato via radio di avere “molti feriti e un Kia”, killed in action. Ogni messaggio è diventato più grave del precedente. La voce in radio non tradiva panico, ma soltanto l’infinito senso di urgenza. Ci servono gli elicotteri. Ci servono adesso. Poi quella frase inaudita: “We’ve got people inside the wire!”. Ho perso il contatto con alcuni miei uomini in parti diverse del forte. Sono costretto ad abbandonare il Toc – il Tactical operations center, il cuore di ogni postazioni americana. Sono costretto ad abbandonare gli altri sistemi di comunicazione alternativi, mi rimane soltanto la radio satellitare che ho in mano. Ho riunito gli uomini in un angolo del forte e abbiamo consolidato le nostre difese. I guerriglieri hanno preso completamente la parte afghana del forte e stiamo ricevendo fuoco pesantissimo da lì. C’è stato soltanto un momento in cui il comandante di Cop Keating si è messo a urlare nella radio, ed è quando gli hanno detto che l’appoggio aereo non era ancora vicino: “I’m telling you that if they don’t get here fuckin’ soon, we’re all going to fuckin’ die!”. Al netto dei “fuckin’”: se non vi sbrigate, qui siamo tutti morti. Il comandante di squadrone, all’altro capo della comunicazione, si è imposto di parlare tranquillo. Gli ha chiesto di indicare i Trp, i Target reference points, dentro la base. Dicci dove dobbiamo colpire quando arrivano gli elicotteri. Quali sono i bersagli che hanno la priorità? “Praticamente tutto”. Quando i rinforzi dall’aria sono finalmente arrivati hanno investito i talebani dentro il forte con tutte le armi a disposizione. Non si era mai visto un bombardamento in condizioni d’emergenza su una base americana. E’ subito stato chiaro che i bersagli erano così tanti che sarebbero serviti altri rinforzi ancora. Jet ed elicotteri allertati da ogni base a distanza utile hanno cominciato ad arrivare e ad alternarsi nelle passate sul campo. Sorpresa numero due per gli americani. Anche sotto le bombe e anche quando hanno capito di avere perso il vantaggio e che non sarebbero riusciti a espugnare completamente il forte i guerriglieri hanno continuato ad attaccare. Ma ormai era troppo tardi. I soldati dentro erano riusciti a rompere l’assedio e a contrattaccare, fino a quando non li hanno respinti fuori dal perimetro prima che calasse il buio. La battaglia inutile Appena sei giorni dopo la battaglia nel distretto di Kamdesh, gli americani si sono ritirati da forte Keating e anche dal forte gemello Fritshe. I portavoce Isaf hanno spiegato inutilmente che si è trattato di una ritirata già prevista e annunciata da tempo, non causata dagli otto morti e dalla possibilità, per un giorno terribilmente concreta, che i talebani potessero festeggiare la presa di un intero avamposto americano. Ieri la rete satellitare in arabo al Jazeera ha trasmesso in esclusiva un video di propaganda girato dai talebani sulle rovine di Cop Keating. I guerriglieri ovviamente sostengono di essere riusciti a cacciare con la forza gli americani dal primo angolo di Afghanistan; così non è, ma il comando americano ha commesso in ogni caso un terribile errore di comunicazione. Non si annuncia una ritirata, anche se soltanto per questioni di ridisposizione delle proprie forze. E’ come invitare l’attacco: se porgi al nemico l’occasione di una facile vittoria di propaganda, quello ti assalta, perché sa che qualsiasi sia l’esito della battaglia stai per andare via e sembrerà una disfatta. Anche al costo di cento uomini lasciati sul terreno, i guerriglieri avevano già vinto in anticipo. La decisione di ritirarsi dai due forti del Nuristan è stata presa a settembre dal comandante McChrystal dopo un’amara constatazione: mi si chiede di intraprendere una larga campagna di controinsurrezione in tutto il paese, ma non ho abbastanza uomini. Mi si chiede implicitamente di prendere a modello la vittoria del generale David Petraeus in Iraq nel 2008, ma non riesco a ottenere quello che chiedo. Soprattutto, mi si chiede di replicare il successo iracheno ma questa Amministrazione ha l’accortezza di tenermi a distanza: se le cose vanno male, io non sono tutt’uno con Washington come era Petraeus, sarò piuttosto il generale che ha fallito da solo. Oggi gli americani in Afghanistan hanno scelto di concentrarsi – ma scelta è una parola sbagliata: non potevano fare altro – sulle zone più popolose, sulle città, e di abbandonare il controllo sulle campagne. Anche la riscossa in Iraq era cominciata così, dice chi a Washington è contrario all’invio di altri soldati in Afghanistan. In realtà i due paesi sono profondamente differenti: il settanta per cento degli iracheni vive nelle città, e soltanto il trenta per cento degli afghani. Controllare i pochi, grandi centri non è abbastanza. Del resto non era abbastanza neanche in Iraq: per fermare le autobomba che arrivavano a Baghdad, gli americani furono conquistati a combattere in profondità, metro per metro nelle aree circostanti di campagna, lontane fino a cento chilometri. E i talebani sono maestri nella strategia guerrigliera di Mao Zedong: controllare prima le campagne, tanto le città non possono resistere isolate a lungo. La battaglia di Fort Keating è stata un disastro, e avrebbe potuto finire anche peggio. Ma è arrivata al momento giusto per illustrare – in modo che più vivido non si può – pochi punti chiari sull’Afghanistan. I talebani non sono un movimento locale con modesti obbiettivi nazionali: l’attacco nel Nuristan è stato condotto da Qari Ziaur Rahman, un comandante afghano addestrato da istruttori arabi e cresciuto con in mente l’ambiziosa ideologia mondialista di al Qaida. Suo padre era un uomo religioso che istruiva Osama bin Laden con lezioni sul Corano, durante il suo primo periodo afghano negli anni Ottanta. I talebani e al Qaida condividono gli stessi obbiettivi strategici e sono un ibrido in via di progressiva fusione. L’attacco a Fort Keating è stato organizzato da entrambe le organizzazioni. Il secondo punto certo è che la strategia da Armata Rossa “concetrarsi sulle città” non funziona. Dopo l’abbandono dei forti, la zona è diventata un corridoio naturale della guerriglia, tra le aree tribali del Pakistan e il centro dell’Afghanistan. Mentre il presidente americano Obama esita a pronunciarsi sull’invio di altri soldati – terzo punto, non si può aspettare – i talebani hanno preso l’iniziativa, hanno conquistato e ora considerano propria una zona di enorme importanza strategica – che è quella da dove nel 2001 Osama bin Laden sfuggì alla caccia degli americani e si rifugiò in Pakistan. Lunedì prossimo l’Amministrazione dovrebbe sciogliere le riserve e dire se manderà a Mc- Chrystal altri uomini. Dalle prime indiscrezioni, sembra che il suo staff stia consigliando al presidente di assecondare il suo generale, con almeno trentamila uomini in più.

La STAMPA - Gerard Chaliand : " Basta fingere, gli stranieri non portano la libertà  "


Gerard Chaliand

Barack Obama si trova a dover scegliere in Afghanistan una strategia che tenga conto sia della situazione sul terreno, sia dell’opinione pubblica americana. La situazione può essere riassunta così. All’inizio, l’Afghanistan è stato penalizzato dalla guerra in Iraq, che ha mobilitato tutte le risorse degli Usa. Le aree rurali sono state gradualmente rioccupate dai taleban. La scommessa politica principale, quella di conquistare il consenso della popolazione, non è stata considerata l’aspetto principale di un’operazione anti-guerriglia preoccupata solo di evitare maggiori perdite, al prezzo di vittime civili provocate dall’uso sistematico di raid aerei.
Gli aiuti economici sono stati in parte stornati dagli appaltatori o da funzionari corrotti. Di conseguenza, il loro contributo è stato assai scarso, considerando che la situazione della sicurezza non permette ancora di imprimere una svolta alla vita delle regioni rurali e portarvi l’acqua potabile e l’elettricità.
Lo Stato afghano è palesemente corrotto e gravemente inefficiente, gli abusi di potere non vengono mai puniti. Le attese della popolazione non sono state soddisfatte se non in minima parte, e le autorità hanno prodotto un’impopolarità che è stata accresciuta dalle ultime elezioni presidenziali.
Nel frattempo, gli insorti - inclusi i taleban del Mullah Omar, i militanti di Hezb-islami di Gulbuddin Hekmatyar e la rete Hakkani - hanno preso il posto di uno Stato assente amministrando la giustizia a livello di villaggi e creando strutture parastatali. Oggi, l’iniziativa nel Sud, nell’Est e, da poco, nella provincia settentrionale di Kunduz appartiene agli insorti. In particolare, la città e la provincia di Kandahar restano una roccaforte dei taleban, mentre gli Hakkani si sentono a casa a Paktia, Paktika e Host, e il Kunar, il Nangrahar e il Nuristan sono in mano all’Hezb-islami. Con questi gruppi non è possibile nessun negoziato che non venga condotto alle loro condizioni.
Cosa fare in questa situazione?La strategia proposta dal generale Stanley McCrystal punta a riconquistare l’iniziativa grazie all’invio di rinforzi di circa 40 mila uomini. Attualmente, gli americani hanno sul terreno circa 65 mila militari. Ricordiamo che in Iraq, Paese senza rilievi montuosi e con intere regione curde rimaste tranquille, le truppe americane potevano contare su 150 mila uomini, senza contare le campagne speciali durante le quali il contingente arrivava anche a 180 mila. Il nuovo responsabile delle operazioni sul terreno in Afghanistan deve riprendere il controllo del territorio, interrompere i legami degli insorti con i contadini e contribuire anche a un programma di sviluppo. Questo richiede truppe specializzate nella guerriglia irregolare, rinforzi e tempo, e il risultato resta incerto.
Le difficoltà sono molte. L’opinione pubblica americana reagisce male alla morte dei soldati. I taleban si rifugiano sempre più in Pakistan (mentre i pachistani sono sempre più preoccupati dalla crescente presenza indiana in Afghanistan). Infine, un esercito straniero non può fingere per sempre di battersi per la libertà di un altro popolo.
È corretto, tenuto conto di tutti questi elementi, procedere a un’escalation? Teniamo presente che a loro tempo i sovietici, nonostante disponessero di 120 mila uomini, non sono riusciti a conseguire il successo nelle zone rurali afghane, nonostante avessero contro avversari meno organizzati e disciplinati di quelli attuali.
Cercare di conseguire obiettivi più modesti di quelli posti dal generale potrebbe rivelarsi politicamente più appagante, tenuto conto dei mezzi finanziari e della superiorità militare degli occidentali nello scontro aperto. Ma solo a due condizioni. La prima è l’accelerazione della nascita dell’esercito nazionale afghano che al momento conta appena 92 mila uomini. In Iraq in un tempo molto più ridotto gli Usa sono riusciti a formare più di 200 mila soldati, a parità di popolazione. Secondo, garantire che il nuovo governo risponda a criteri minimi per guadagnarsi almeno la benevolente neutralità della popolazione, cercando di rispondere ai bisogni socio-economici primari il più rapidamente possibile.
Resta l’ipoteca pachistana. L’esistenza di questo rifugio per i taleban costituisce un ulteriore ostacolo per gli Usa. L’esercito pachistano combatte nel Sud Waziristan il movimento jihadista Tehrik Taliban Pakistan (TTP) guidato da Hakimullah Mehsud, che non ha legami con i taleban afghani. Questi godono piuttosto della magnanimità dei servizi pachistani.
È urgente costituire un governo credibile e scegliere una strategia del possibile da applicare con rigore. Possiamo dubitare della nascita di un governo non corrotto ed efficiente. Per quanto riguarda la strategia, essa dovrà garantire un ritiro dignitoso nel caso il regime afghano sia un giorno in grado di durare anche senza la presenza di truppe straniere. L’analogia più calzante è quella con la guerra in Vietnam: una volta partiti gli americani, nessuno ha voluto rischiare la vita per il regime di Saigon.

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