Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 14/10/2009, a pag. 17, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo " La lunga retromarcia della Turchia: sempre meno Europa e più islam ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Navi, missili e turchi. Grandi manovre attorno alla minaccia iraniana ". Dall'OPINIONE, a pag. 10, l'articolo di Michael Sfaradi dal titolo " Turchia, il nuovo corso islamico del "moderato" Erdogan". Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " La lunga retromarcia della Turchia: sempre meno Europa e più islam "
Fiamma Nirenstein
La Turchia continua a sconcertare. Di nuovo più che un’operazione politica sembra una grintosa presa di posizione, come tutte quelle del governo di Recep Tayyp Erdogan, il governo del partito islamista Akp, anzi un riposizionamento, la ricerca di un nuovo «brand» che mette in imbarazzo chi tiene per il suo ingresso in Europa: dopo aver portato alla cancellazione da parte americana e italiana delle esercitazioni «Aquila anatolica» perché il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu aveva disdegnato di volare con gli F16 di Israele, ieri dieci ministri turchi (fra cui lo stesso Davutoglu) si sono spostati in massa a Damasco, con cui la Turchia era quasi in guerra negli anni 90, per partecipare al nuovo «Consiglio di cooperazione strategica» con la Siria.
La Siria, è bene ricordarlo, è un Paese molto controverso, il suo rapporto con l’Iran degli ayatollah, la sua implacabile inimicizia verso Israele, la sua persecuzione dei dissidenti, e soprattutto la sua funzione di centrale di distribuzione di armi e di terrorismo la resero ai tempi di Bush un elemento centrale dell’«asse del male». Molti hanno cercato nel tempo di recuperarla, senza mai riuscirci. Un’alleanza così stretta presuppone una fiducia simile a una comunanza di idee. Ma la Turchia, dai tempi di Kemal Ataturk aveva sempre rappresentato la speranza di una presenza laica e moderata all’interno del mondo musulmano, e questo ne aveva fatto un candidato per l’Ue. Forse l’accanita opposizione che la Turchia ha incontrato in questi anni è stata frutto di un eccessivo antagonismo, ma il fatto è che l’identità che le ha conferito Erdogan è sempre più aggressiva.
Con l’Akp al potere il Paese è sempre più soggetto a impulsi islamici. In patria, la tolleranza ottomana e turca è stata sostituita da una forte pressione a conformarsi ai costumi musulmani e dall’intimidazione a chi non è d’accordo, testimoniata da un sensazionale processo a militari (tradizionali custodi della laicità kemalista), giornalisti, ufficiali governativi non conformi alla linea. Anche una multa pazzesca (2,5 milioni di dollari) imposta al Dogan Media Group ha segnalato la scelta di colpire la libertà di stampa antigovernativa.
Un gesto basilare nel cambiare rotta è stato nell’agosto l’invito ad Ahmadinejad, carico di onori e lodi, con una incredibile e inusitata ripresa televisiva nella Moschea Blu per tutto il tempo della sua pia preghiera. La visita è stata seguita dalla dichiarazione che la Turchia non si unirà a nessuna sanzione per fermare la corsa iraniana all’atomica. Un’altra visita molto celebrata è stata quella del presidente sudanese al Bashir, accusato di strage e crimini di guerra in Darfur.
Ma più di tutto colpisce l’atteggiamento antisraeliano degli ultimi mesi, che è come una bandiera alta su un pennone che fino a ora innalzava uno stendardo di mediazione. La Turchia ai tempi della guerra di Gaza, del tutto immemore dei missili di Hamas su Israele, si è lanciata nella più sfrenata delle accuse allo Stato ebraico, anche se è difficile dire se le perdite di curdi musulmani fatte dai bombardamenti turchi del nord Irak siano minori di quelle causate dall’esercito israeliano Gaza.
Molti analisti sospettano che i morti di Gaza siano stati per Erdogan la scusa per distanziarsi da Israele con cui sono tuttora vivi, nonostante tutto, importanti legami commerciali. Gli insulti lanciati a Davos da Erdogan a Shimon Peres, premio Nobel per la pace, e l’insistenza della Turchia rifiutata da Israele, a stabilire una navetta diplomatica con Hamas, il fallimento delle trattative con la Siria che Ankara aveva sponsorizzato, le tante affermazioni di Erdogan come quella che Israele dovrebbe essere espulsa dall’Onu hanno portato al gesto estremo di dichiarare il boicottaggio di Israele alle esercitazioni militari congiunte. La risposta americana e degli altri Paesi coinvolti è stata precisa: allora non se ne fa di nulla. È la parola d’ordine che l’estremismo di Ankara potrebbe ricevere sulla sua ambizione europea, specie adesso che i militari, delegittimati e sostanzialmente esautorati, non sono più là a garantire la stabilità democratica.
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Il FOGLIO - " Navi, missili e turchi. Grandi manovre attorno alla minaccia iraniana "
Erdogan
Agli inizi di ottobre due navi da guerra americane hanno fermato all’imbocco del Canale di Suez un mercantile tedesco, l’Hansa India. I soldati che sono saliti a bordo hanno trovato sette container riempiti con munizioni per fucili d’assalto calibro 7,62 millimetri per Kalashnikov. Il carico è una clamorosa violazione della risoluzione 1.747 delle Nazioni Unite, che vieta carichi di armi da o verso l’Iran. Il bastimento è stato fermato grazie alle indicazioni dei servizi segreti, che sospettano come destinazione finale la Siria o il movimento libanese sciita Hezbollah. Secondo lo Spiegel, la Hansa India è registrata presso una compagnia di Amburgo, la Leonhardt & Blumberg, ma da anni era utilizzata in esclusiva da una linea di stato dell’Iran. Dopo una rapida consultazione con il governo tedesco, gli Stati Uniti hanno concesso al mercantile di raggiungere Malta, dove il carico è stato messo sotto sorveglianza. Il caso Hansa India ha già causato una sanzione di risposta da parte di Londra: Sarah McCarthy-Fry, funzionaria del ministero del Tesoro britannico, ha annunciato ieri il divieto per le compagnie navali inglesi di concludere affari con la compagnia iraniana, accusata anche di violare l’embargo sul traffico di materiale nucleare. Non è il solo caso che imbarazza il governo tedesco questa settimana: secondo la radio Ndr le pistole tedesche sono tra gli articoli più scambiati sul mercato nero delle armi in Afghanistan. Berlino ha distribuito 10 mila Walther P1 ai poliziotti afghani – perché crede molto nell’addestramento e nel “nation building” e poco nella guerra contro i talebani – ma le armi sono apparse in breve tempo nelle mani della guerriglia, a Kabul e persino, ma non è una sorpresa, nelle aree tribali del Pakistan. E’ in corso la più grande esercitazione di difesa aerea mai fatta da Stati Uniti e Israele. Juniper Cobra II simula la reazione congiunta in caso di attacchi missilistici da Iran, Siria o Hezbollah. La prima esercitazione Juniper Cobra fu nel 2001 e simulava un attacco su Israele con dieci missili Scud da parte di Saddam Hussein. Washington ha mandato almeno mille militari nei comandi israeliani, la maggior parte nel deserto del Negev, e 17 navi al largo della costa, con missili intercettori americani Aegis e Thaad e israeliani Arrow II. L’ambasciata americana a Gerusalemme commenta con un blando: “Queste manovre non sono in risposta ad alcun evento nel mondo”. Ma è ovvio che fanno parte della più ampia contrapposizione fredda contro l’Iran, che due settimane fa ha anticipato i colloqui sul nucleare di Ginevra con due giorni di imponenti esercitazioni missilistiche. Le manovre prevedono non soltanto simulazioni al computer, ma anche prove “dal vivo”. Secondo gli americani, quando venerdì le esercitazioni si concluderanno, una parte del materiale bellico sarà lasciata in Israele. Pochi giorni fa era in programma un’altra esercitazione congiunta, anche con gli americani, Anatolian Eagle, ma la Turchia ha respinto la partecipazione di Israele. Ieri Ankara ha mandato dieci suoi ministri a Damasco, in Siria, per la prima riunione dell’appena formato Consiglio di cooperazione strategica: un nuovo organo turco-siriano di livello altissimo, e anche un nuovo segnale di allontanamento dall’asse occidentale America-Nato-Europa a favore dell’area mediorientale. Il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, ha già messo in guardia: “La Turchia è un negoziatore affidabile, non possiamo permetterci di perderla”. La Turchia ha stretto un accordo simile di cooperazione strategica lo scorso agosto con l’Iraq. Ma ora, diventando interlocutore privilegiato della Siria, asseconda il desiderio di Damasco di rifarsi l’immagine: non più stato canaglia, ma broker del mondo arabo. E’ da vedere se funzionerà: l’America ha ritirato l’offerta di rialacciare i contatti diplomatici, e l’Iraq è furioso per l’ospitalità concessa da Damasco ai terroristi sunniti iracheni. Ma la settimana scorsa, dopo un lungo periodo di tensione, il re saudita Abdullah è andato in visita a Damasco per discutere l’assetto del futuro governo libanese – ancora non formato anche se le elezioni sono state a giugno. La crisi tra i due settori militari, israliano e turco, era già evidente dalla riduzione dei contratti di forniture belliche, per esempio aerei droni con compiti antiterrorismo, fino a poco tempo fa così robusti da non temere i temporanei malumori della diplomazia. Gli investimenti turchi stanno diminuendo vistosamente, a favore di un altro fornitore, già insediatosi al primo posto: l’Italia.
L'OPINIONE - Michael Sfaradi : " Turchia, il nuovo corso islamico del "moderato" Erdogan "
Michael Sfaradi
Le notizie che continuano ad arrivare dalla Turchia oltre a creare confusione in ambito Nato stanno seriamente mettendo in dubbio la possibilità di una prossima entrata di Ankara in ambito europeo. L'ultimo episodio in ordine di tempo è stato l'annullamento delle esercitazioni militari denominate «Anatolian Eagle», che avrebbero dovuto iniziare lunedì nella base militare di Konya. Erano in programma delle simulazioni di combattimenti aerei, attacchi di obiettivi a terra ed era prevista la partecipazione delle aviazioni di USA, Italia, di altri paesi della Nato e di cinque caccia della aviazione israeliana. Anche se in un primo momento il governo di Erdogan aveva escluso che l'annullamento fosse dovuto alla presenza degli israeliani, in Israele nessuno ha creduto a questa scusa di comodo e si è dato per certo, fin dal primo momento, che il nodo fosse proprio la presenza dei jet con la stella di David. Già da diverso tempo le relazioni fra i due paesi sono "raffreddate", ed arrivarono vicinissime alla rottura quando, durante il summit di Davos, il primo ministro turco condannò pesantemente l'operazione "piombo fuso" arrivando ad insultare il Presidente di Israele Shimon Peres. Questo nuovo episodio di attrito fra Ankara e Gerusalemme, che si va ad aggiungere ad una lista lunga ed inquietante, non promette, oggettivamente, nulla di buono. Ieri mattina il premier turco, durante un incontro con delle personalità religiose, è tornato sull'argomento ed ha nuovamente accusato Israele usando l'espressione: "Le bombe cadevano come pioggia sui bambini palestinesi". Erdogan può permettersi di "pontificare" in questo modo sia perché troverà sempre nel mondo arabo e in quello "politicamente corretto" un enorme numero di persone pronte a battergli le mani, sia perché quando erano gli aerei turchi a bombardare i villaggi curdi in Turchia e nel nord dell'Iraq, non c'erano le telecamere dei grandi network a riprendere i civili che, sicuramente, sono stati colpiti. Siamo sicuri che anche lì, sotto le bombe turche, c'erano dei bambini. È giusto, a questo punto, che prima di accusare qualcuno di crimini di guerra, il premier turco si faccia un profondo esame di coscienza. La risposta da Israele è arrivata durante un'intervista rilasciata alla televisione governativa turca TRT dal capo dell'opposizione alla Knesset (parlamento israeliano) Zippi Livni, ministro degli esteri durante l'operazione "piombo fuso", la quale ha espresso il desiderio di inviare un messaggio diretto alla popolazione turca. Ha ricordato che la collaborazione fra Turchia e Israele (e non soltanto in campo militare) è importante e conveniente alle due nazioni. Ha ricordato che ci sono obiettivi comuni che si possono raggiungere unicamente mantenendo buone le relazioni così come è stato per tanti anni. Riferendosi poi all'operazione militare del gennaio scorso sulla striscia di Gaza ha detto: "Tengo a precisare che noi abbiamo lasciato Gaza dando ai palestinesi la possibilità di costruire la loro vita su quel territorio. Abbiamo dato speranza ricevendo in cambio ostilità e migliaia di missili sulle nostre città e sulla nostra popolazione. L'operazione militare, sia chiaro per tutti, era diretta a neutralizzare le fonti di tali attacchi. Chi ha operato contro la popolazione civile è stato Hamas che ha scelto la via della violenza." Che in Turchia qualcosa stesse cambiando, e in peggio, dopo le elezioni che avevano dato la maggioranza all'Akp, il partito dell'attuale premier e del presidente, è chiaro a tutti. Il segnale di quanto fosse importante la svolta islamista in atto soprattutto sul fronte interno è stato, oltre al ritorno del velo e dei simboli di un Islam poco disposto al dialogo ed alla convivenza con le regole occidentali, il clima di intimidazione nei confronti di coloro che si oppongono al governo attualmente in carica. Anche se la Turchia fa parte dell'alleanza atlantica Erdogan ha deciso, almeno per quello che riguarda la questione del nucleare iraniano, di non tenere conto degli interessi di sicurezza richiesti dalla comunità internazionale allineandosi ai desideri di Teheran. L'annullamento delle esercitazioni, se visto ad ampio raggio è legato, molto probabilmente, anche a questa ultima eventualità.
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