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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.10.2009 Stefania Craxi sulle orme del babbo
L'Iran prepara la bomba atomica dal 2004 e non è intenzionato a fare compromessi

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Tatiana Boutourline - La redazione del Foglio - Cecilia Zecchinelli - Lorenzo Fuccaro
Titolo: «Il triangolo della bomba - C’è soltanto una cosa che Mosca non fa per Teheran - L’Iran dal 2004 prepara la Bomba - Teheran è pronta a fare concessioni»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 01/10/2009, a pag. III l'articolo di Tatiana Boutourline dal titolo " Il triangolo della bomba " e l'articolo dal titolo "  C’è soltanto una cosa che Mosca non fa per Teheran". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " L’Iran dal 2004 prepara la Bomba " e l'intervista di Lorenzo Fuccaro a Stefania Craxi dal titolo " Teheran è pronta a fare concessioni " preceduta dal nostro commento. Ecco gli articoli:

Il FOGLIO - Tatiana Boutourline : " Il triangolo della bomba "


Ahmadinejad, Obama, Putin

Roma. Se qualcuno riuscisse a sbirciare nella cartelletta del caponegoziatore iraniano, Said Jalili, non vi leggerebbe la parola “compromesso”. Il plenipotenziario di Mahmoud Ahmadinejad è convinto che l’unica alternativa al confronto perpetuo sulla questione nucleare sia la “coesistenza armata”. Partito da Teheran “con le migliori intenzioni”, Jalili ha spiegato che l’incontro con i 5+1 rappresenta un’“opportunità e un test”, un test per capire se la comunità internazionale è pronta ad aprire la trattativa partendo dal riconoscimento delle aspirazioni iraniane nel medio oriente allargato. Chi attende dalla squadra di Jalili tatticismi bizantini e ambiguità dilatorie probabilmente non andrà deluso, ma dietro il metodo stavolta c’è sostanza. Amico fraterno di Ahmadinejad, due volte papabile per la poltrona di ministro degli Esteri, quando assurse a improvvisa notorietà sostituendo Ali Larijani alla guida della task force nucleare, fu descritto come uno “yes man” del presidente, ma Jalili è uno dei suoi consiglieri più fidati e insieme uno dei rampanti teorici dei Sepah-e-pasdaran. E’ disprezzato dai funzionari di lungo corso della Repubblica islamica, come tutte le nuove leve arrivate a posizioni di prestigio grazie all’ascesa di Ahmadinejad. “E’ un rivoluzionario non ricostruito – racconta al Foglio un insider – un veterano di guerra (Iran-Iraq, ndr) che non ha perso la mentalità della trincea”. Jalili tiene da anni conferenze in cui ribadisce che la missione iraniana è di difendere gli oppressi ovunque nel mondo. Ha più volte suggerito di invitare Fidel Castro a Teheran e ipotizzato, in colloqui con gli eredi di Che Guevara, di replicare la rivoluzione islamica in America latina. E’ stato Jalili a ispirare le lettere di Ahmadinejad a George W. Bush e Angela Merkel e c’è la sua mano nella sanguinaria repressione delle manifestazioni di quest’estate. Per capire che cosa medita Jalili in queste ore a Ginevra, l’inviato americano William Burns dovrebbe scorrere le pagine de “La politica estera del profeta”, un libro del 1990 in cui Jalili traccia le linee maestre dello stile diplomatico di una Repubblica islamica rivoluzionaria. Il plenipotenziario di Ahmadinejad sottolinea che “Maometto non negozia”, semmai “fa proselitismo”. I diplomatici occidentali non incontreranno un rivoluzionario rivisto e corretto come Hassan Rowhani, il mediatore di Mohammed Khatami, né un conservatore realista come Larijani. Jalili è l’espressione dei nuovi falchi che considerano gli Stati Uniti una potenza rapace che corrompe la sacra terra dell’islam e ne sfrutta le risorse. Per loro le ambizioni iraniane non possono essere conciliate con quelle statunitensi, l’egemonia regionale è a portata di mano e questa percezione influenza non soltanto la strategia ma anche l’analisi geopolitica. Concordano con l’ayatollah Jannati quando dice: “Dobbiamo perseverare, tollereremo le sanzioni e l’inimicizia internazionale”. Sono persuasi che il potere americano sia al tramonto e che la querelle nucleare non sia che un bluff, un casus belli montato ad arte per fornire combustibile alla strategia multipolare americana dopo che quella unipolare è fallita. “Il nucleare oggi, chissà cos’altro domani” Come ha scritto Amir Taheri sul Wall Street Journal, Ahmadinejad pensa che per Obama il nucleare iraniano sia un “fait accompli” e deride i mediatori precedenti che “indietreggiavano di cinquecento chilometri prima ancora di sedersi a trattare”. Il mandato di Jalili è chiaro: nessuna capitolazione all’imperialismo occidentale, nessun cedimento dinnanzi all’apartheid nucleare, perché l’Iran vince quando dimostra la sua forza. E se per Khatami il nucleare era uno dei tanti dossier da mettere sul piatto nelle relazioni tra Teheran e il resto del mondo; se per Rafsanjani e Larijani “le armi di distruzione di massa sono utili e importanti” ma per perseguire gli obiettivi è necessario presentare di tanto in tanto un volto dialogante con intelligenti concessioni, Ahmadinejad e Jalili non baratteranno il programma nucleare per qualche incentivo economico. Né saranno facilmente addolciti da un generico placet alla legittimità del regime. “Il nucleare oggi, chissà cos’altro domani”, ha detto Jalili qualche giorno fa. Il sottotesto è che le accuse occidentali sono pretestuose. Come ha già argomentato Ahmadinejad in passato, se “si risolvesse questa questione (nucleare) tirerebbero fuori i diritti umani; se fossero risolti i diritti umani, se ne uscirebbero con i diritti degli animali”. Con gli Stati Uniti “in ritirata”, il compito di Jalili è chiaro. Si parlerà di tutto tranne che di quello che preme alle capitali occidentali, oppure non si discuterà affatto. E a poco valgono in questo momento le proteste dei realisti, convinti che con l’America come potenza egemone si debba fare i conti, anche scendere a patti. L’ayatollah Khamenei, istintivamente più vicino ai falchi, ma convinto spesso – per opportunità – dalle ragioni dei decani della Repubblica islamica ormai difende sporadicamente gli argomenti dei mediatori. Anche il rahbar ha letto compiaciuto l’ultimo pamphlet dei falchi “La fine dell’America è vicina”.

Il FOGLIO - "  C’è soltanto una cosa che Mosca non fa per Teheran"

 Putin

Roma. Il rapporto tra Russia e Iran dura da decenni, e nessuno dei due partner è interessato a interromperlo. A lungo il Cremlino ha girato la testa dall’altra parte alla richiesta della comunità internazionale di imporre sanzioni. Ora si intravvede qualche ambiguo spiraglio. “Per la prima volta Mosca ha auspicato la possibilità di utilizzare le sanzioni come forza di convincimento verso l’Iran. Adesso la situazione politica tra Stati Uniti e Russia e il rapporto tra Barack Obama e Dmitri Medvedev favoriscono la cooperazione per la soluzione della questione relativa al programma nucleare iraniano”, dice al Foglio Konstantin Kosachev, presidente della commissione Affari esteri della Duma, in passato consigliere diplomatico di Vladimir Putin, l’uomo che alla vigilia delle presidenziali americane firmò sul quotidiano Kommersant un endorsement in favore di Barack Obama. Dopo che Washington ha deciso di rivedere il progetto di scudo missilistico nell’Europa dell’est, molti aspettano una mossa di ringraziamento da Mosca. “Non è necessario parlare di scambio – dice Kosachev – La decisione dell’Amministrazione americana di ritirare lo scudo antimissile in Europa apre una nuova stagione di dialogo. Specialmente nelle decisioni importanti come la stabilità strategica e la questione iraniana. Adesso la cooperazione tra Russia e Stati Uniti e la questione del disarmo diventeranno un fattore di stabilità globale. I nostri due paesi hanno superato la fase più difficile ed è importante il multilateralismo intrapreso da Obama. La situazione internazionale è mutata e ci sono nuove possibilità per risolvere la questione del nucleare di Teheran”. Ma Mosca ha molti interessi da difendere. La Russia ha iniziato a vendere armi all’Iran dopo la Rivoluzione islamica del 1979. Questa piazza è diventata ancora più importante con il crollo dell’Unione Sovietica, quando l’Europa dell’est ha iniziato a navigare verso occidente e Mosca ha girato lo sguardo altrove: verso la Cina e l’India, verso la terra degli ayatollah e più recentemente il Venezuela. Dal 1992, secondo il Council on Foreign Relations, la Russia ha venduto all’Iran centinaia di sistemi militari, tra cui carro armati T-72, missili ariaaria, aerei da combattimento Mig-29. Nel 2005 è stato firmato un accordo per la vendita di un sistema di difesa missilistico da 700 milioni di dollari (Sa-15 Gauntlet) e missili da difesa terra aria TOR M-1. La vendita è stata confermata dal ministero della Difesa russo nel 2007. Tutto ciò servirebbe a Teheran per tutelare il reattore nucleare di Bushehr, costruito con le tecnologie russe. Per i sistemi strategici c’è Pyongyang C’è chi teme che il commercio tra i due stati vada oltre le armi convenzionali. “Ufficialmente si tratta soltanto di armi minori – spiega Alexander Rahr del German Council on Foreign relation – ma vendite di componenti di sistemi di difesa non sono state negate. Di certo la Russia non commercia missili balistici che possono minacciare anche Mosca”. La relazione tra i due paesi è sempre stata considerata sfuggente, ma i russi la vedono “soprattutto dal punto di vista commerciale – dice Rahr – l’Iran è un mercato lucrativo, troppo importante per essere chiuso”. Non è d’accordo l’esperto israeliano Ephraim Inbar, secondo il quale l’aspetto economico è secondario: “Mosca e Teheran hanno gli stessi interessi: limitare l’America e mantenere alto il prezzo del petrolio. Non vedremo la Russia cooperare con l’occidente”. Il presidente, Dmitri Medvedev, ha aperto a posizioni più morbide sulla possibilità di sanzioni all’Iran. Parole che, spiega Charles P. Vick, analista di GlobalSecurity.org, arrivano in seguito al recente rifiuto dell’Agenzia spaziale russa di andare avanti a cooperare con l’Iran sulla tecnologia satellitare. “Una mossa che prova come anche Mosca non sia contenta della risposta di Teheran sul nucleare”. Secondo Vick il trasferimento di know-how militare e armi ora è diminuito rispetto agli inizi degli anni Novanta, quando professori russi “free lance” si recavano nel paese per motivi di lavoro, portando con loro le proprie conoscenze. Oggi il commercio riguarda componenti di sistemi difensivi, pezzi d’artiglieria, aeronautica, ma non tecnologie relative ad armi nucleari o a missili balistici a lunga gittata. “Per quanto riguarda il nucleare e il balistico – dice Vick – gli iraniani non hanno bisogno di fare test, ci pensa la Corea del nord. Teheran dipende militarmente dalla Russia, ma i sistemi strategici arrivano da Pyongyang”. Attraverso Teheran, finanziatore di Hezbollah e Hamas, le armi russe possono arrivare ai gruppi terroristici. Nel 2006, durante i 34 giorni di guerra tra Israele e le milizie sciite lungo il confine, l’esercito israeliano trovò armi di fabbricazione russa. “Le armi in questione sono convenzionali, lanciarazzi e artiglieria – ricorda Rahr – Possono essere acquistate negli innumerevoli buchi neri del contrabbando, non sono sofisticate. Questa argomentazione non fermerà la cooperazione tra Mosca e Teheran”.

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " L’Iran dal 2004 prepara la Bomba "

A poche ore dall’incontro cruciale di oggi a Ginevra — il primo da 16 mesi tra l’Iran e i «5+1» — una nuova rivelazio­ne aggiunge tensione e dubbi sull’esito della riunione tra la Repubblica Islamica e i cinque Paesi del Consiglio di Sicurezza Onu (Usa, Gran Bretagna, Fran­cia, Cina e Russia) più la Ger­mania. I servizi segreti britanni­ci, ha scritto ieri in prima pagi­na il Financial Times , sono con­vinti che Teheran abbia «un piano segreto per sviluppare ar­mi nucleari». Con più precisio­ne: ritengono che la rinuncia a dotarsi di testate atomiche an­nunciata dagli Ayatollah nel 2003 sia sì avvenuta, ma dura­ta ben poco. «Già a fine 2004 o a inizio 2005 — sostiene il quo­tidiano citando fonti anonime dell’intelligence britannica — la Guida Suprema Ali Khame­nei ha ordinato di riprendere il programma per sviluppare te­state nucleari » .
La Gran Bretagna esprime da tempo scetticismo per le di­verse convinzioni a riguardo degli Stati Uniti: nel 2007 un rapporto dei servizi segreti Usa concludeva che pur rimanendo probabile obiettivo dell’Iran la
costruzione della Bomba, il pro­gramma per realizzarla era sta­to accantonato appunto dal 2003 e quasi certamente mai più ripreso. I colleghi britanni­ci (come quelli israeliani per al­tro) sono invece convinti del contrario. E si spiegano la posi­zione degli americani con l’ec­cesso di cautela seguito alla sco­perta del bluff sulle armi di di­struzione di massa di Saddam. Da un estremo all’altro, è il lo­ro giudizio ovviamente non uf­ficiale ma (stando al Financial Times ) ben radicato.
La «mano tesa» di Barack Obama a Tehe­ran, dopo il suo inse­diamento, aveva ulte­riormente addolcito la posizione di Washington, impe­gnata per altro con maggior vigore in Af­ghanistan. Ma ora, ra­pidamente, sta tutto cambiando. La scoper­ta, solo una settimana fa, di un secondo im­pianto iraniano di arricchimen­to dell’uranio. Le esercitazioni missilistiche iniziate domenica nella Repubblica Islamica e rite­nute «preoccupanti» perfino da Mosca. Lo scoop del
Finan­cial Times . Adesso tutti dichia­rano di attendere l’incontro gi­nevrino di oggi per mettere «al­la prova» la serietà della contro­parte a negoziare. Ma il clima generale e le premesse non pro­mettono molto: l’Iran ha ribadi­to anche ieri che il programma atomico (ufficialmente civile) «non si discute nemmeno». Per i «5+1» è proprio da lì che si deve iniziare.

CORRIERE della SERA - Lorenzo Fuccaro : "Teheran è pronta a fare concessioni"

 Stefania Craxi, condivide la linea filo islamica paterna e sostiene che l'Iran " è pronto a fare delle concessioni sui te­mi in discussione nell’incon­tro di oggi a Ginevra ".
Dal momento che il governo iraniano ha annunciato di non voler bloccare il programma nucleare nè i test missilistici, non vediamo su che cosa potrebbero esserci dei compromessi. L'Iran ha già risposto negativamente, prima dei negoziati, alle richieste fatte dai 5+1. Ecco l'intervista:

ROMA — «L’Iran è pronto a fare delle concessioni sui te­mi in discussione nell’incon­tro di oggi a Ginevra tra la de­legazione della repubblica islamica e i rappresentanti dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza del­l’Onu con l’aggiunta della Germania». Ad affermarlo è Stefania Craxi, sottosegreta­rio agli Esteri, dopo un collo­quio con l’ambasciatore ira­niano a Roma, Baharam Ghas­semi.
In dettaglio che cosa signi­fica?
«Hanno messo a punto un pacchetto di proposte che ver­rà presentato al tavolo dei ne­goziati. Tutto, però, dipende­rà dal clima dei colloqui. Gli iraniani si aspettano molto dal dialogo bilaterale con gli americani, dato che hanno let­to con grande interesse l’aper­tura del presidente Obama. È, tuttavia, evidente che l’onere della prova spetta proprio al­l’Iran. Spetta a Teheran rassi­curare sulle proprie reali in­tenzioni la comunità interna­zionale ».
Perché l’ambasciatore ira­niano ha chiesto di incontra­re un rappresentante del go­verno
italiano?
«Hanno fatto questo passo perché richiedono il soste­gno dell’Italia affinché il dia­logo non si interrompa. Natu­ralmente il dialogo si fa in due e quindi occorrerà da par­te di tutti pazienza, lealtà e re­sponsabilità. L’Italia da tem­po è convinta che un maggio­re impegno dell’Iran sui vari dossier internazionali - crisi mediorientale e Afghanistan in primo luogo - sarebbe uti­le
alla distensione internazio­nale ».
E se ciò non dovesse avve­nire?
«Certo se non ci sarà un chiarimento sul nucleare si porrà il problema dell’inaspri­mento delle sanzioni e l’Italia auspica che se deve avvenire avvenga con una posizione comune in ambito internazio­nale. Chiarito questo, però ag­giungo che l’incontro di oggi a Ginevra è un evento storico e come tale va trattato...».
In che senso?
«Sancisce la chiusura della fase nata nel 1979 dopo la cat­tura degli ostaggi presenti nell’ambasciata americana di
Teheran e segna l’avvio di un possibile dialogo bilaterale dopo le aperture del presiden­te Obama».
Ne è convinta?
«Certo l’Iran adesso è di fronte a un bivio: mostrare il volto minaccioso e pericolo­so per il mantenimento della pace e della sicurezza come sembra significhi l’installazio­ne dei missili oppure preten­dere attraverso il dialogo un posto che spetta a una gran­de nazione dalla storia mille­naria. L’incontro di Ginevra è quindi una grande opportuni­tà ».

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