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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Rassegna Stampa
24.09.2009 Onu, i sogni della Casa Bianca e il ruolo di Israele
Analisi di Fiamma Nirenstein e R.A.Segre

Testata:
Autore: Fiamma Nirenstein-R.A.Segre
Titolo: «I sogni della Casa Bianca frantumati dai dittatori-Contro l'Iran la Casa Bianca ha bisogno di Israele»

Sul GIORNALE di oggi, 24/09/2009, due analisi sull'assemblea Onu di ieri. Ecco gli articoli:

Fiamma Nirenstein: " I sogni della Casa Bianca frantumati dai dittatori "

No, il discorso di ieri di Obama non è riuscito a restaurare un’idea rassicurante del futuro del mondo nelle mani dell’Onu. E forse non sarebbe poi una cattiva idea quella buttata là ieri da Gheddafi di portare il Palazzo dell’Onu in qualche Paese dell’emisfero meridionale del mappamondo. Perché al momento l’immagine di quello che dovrebbe essere il punto di riferimento della salvaguardia mondiale, della concordia e della pace, risulta di nuovo quella di uno specchio delle immense difficoltà, delle faglie di odio e incomprensione accompagnate da insopportabili ipocrisie e anche dalle incontenibili aggressività che fanno parte dello scenario internazionale. Uno scenario inquieto a dir poco.

Così è andata ieri subito all’inizio: di fuori le manifestazioni anti Ahmadinejad e anti Gheddafi di quelli che non vorrebbero vedere l’Onu trasformata, come è ormai da tempo, in un palcoscenico per dittatori e leader islamisti antioccidentali, antiamericani, antisemiti. E dentro il Palazzo di vetro, lo scontro fra il tentativo, variamente interpretato, di tenere fede alla parola data al mondo dopo la seconda guerra mondiale di creare l’Onu perché fosse garanzia di eguaglianza e di pace, con gli Obama, Sarkozy, Berlusconi, i leader dei Paesi democratici... e dall’altra l’incontenibile alluvione di Paesi che hanno da fare i conti con noi, con l’imperialismo, con il capitalismo, con i crociati, con gli ebrei...

E così al pedagogico, contenuto appello di Obama di fondare subito, tutti insieme, una famiglia multilaterale, tutta protesa all’unità nella diversità, attiva nel campo del disarmo nucleare, della pace, dell’ecologia, del progresso economico e sociale (questi i quattro temi prescelti dal presidente americano al suo primo intervento alle Nazioni Unite) ha simbolicamente risposto un’incontenibile marea di parole di Muammar Gheddafi (quasi due ore di discorso a braccio, assertivo, mugugnato, spezzettato per dire che il Consiglio di sicurezza è strumento di imperialismo) salito al podio subito dopo, carico di spirito di rivincita, antiamericano, risentito. Il Consiglio di Sicurezza, ha persino detto, dovrebbe chiamarsi «Consiglio del Terrore» per la sua oppressione sui Paesi poveri. E più tardi, durante la notte, è giunto come al solito il consueto effluvio di veleno mortale di Ahmadinejad appena incartato dentro il dolce suono della lingua parsi, e ha di nuovo scardinato i perni di quello che intendiamo per decenza politica.

Il discorso di Obama ha cercato una sua assertività migliore di quella del Cairo, ha fornito qualche spunto di novità alla platea affamata di risposte sull’Iran, anche se, per l’approccio minimalista, non ha indicato altro che soluzioni ideali e non politiche, ma ha dimostrato un disperato desiderio di cooperazione, di consenso, che non gli verranno mai: «Noi da soli non possiamo risolvere i problemi del mondo - ha subito detto il presidente -, l’America ha bisogno della cooperazione di tutto il mondo». Una specie di «yes we can, ma non da soli».

Obama, nei primi minuti davanti al pubblico più variegato del mondo, come accusando le critiche e il calo di popolarità degli ultimi mesi, ha scelto di richiamare l’attenzione sui successi dei primi nove mesi della sua presidenza: una specie di elenco delle cose fatte nei primi mesi del suo lavoro, con l’accento su Guantanamo, lo sgombero intrapreso in Iraq, la lotta contro Al Qaida e il terrorismo internazionale, i colloqui con Mosca per diminuire il nucleare. E più avanti, come ricordando di avere promesso che questa Assemblea Generale sarebbe stata l’occasione per fronteggiare l’Iran sulla costruzione del nucleare a fini bellicosi, ha disegnato in tono deciso un «asse del male» nucleare, formato dall’Iran e dalla Corea del Nord: «Iran e Corea si stanno avviando su una china pericolosa; questo sarà un anno decisivo. Io sono impegnato alla diplomazia, ma se loro insistono, allora dovranno rispondere, e il mondo dovrà unirsi per dimostrare che la legge internazionale non è uno scherzo». Obama ha anche dedicato parecchio spazio alla pace nel Medio Oriente, riconfermando il suo impegno per «due Stati per due popoli»: i palestinesi devono accettare l’esistenza dello Stato ebraico mentre Israele deve rinunciare agli insediamenti, Obama ha ripetuto.

Anche gli altri capitoli, quello dell’ambiente e dell’economia, sono stati trattati con buona volontà e attenzione. Ma Obama non indica mai come giungere agli obiettivi, non ci dice quali sanzioni attendono l’Iran o come intende convincere israeliani e arabi alla pace. Il suo approccio presuppone che gli altri abbiano interesse alle sue ispirate soluzioni, un pensiero ambizioso. Egli spera di vedere tutti collaborare con l’America, immagina per il suo Paese un ruolo centrale e incontestabile in virtù della sua presenza sulla scena. L’Afghanistan ci dice che il carisma non è tutto. Gheddafi lo ha preso un po’ in giro dicendo: «Siamo fieri di Obama che è di origine africana, magari durasse per sempre; ma chi ci garantisce, invece, l’America dopo di lui?».
www.fiammanirenstein.com

R.A.Segre: " Contro l'Iran la Casa Bianca ha bisogno di Israele "

Per dire qualcosa di positivo sull'incontro imposto all'Onu da Obama al premier israeliano Netanyahu e al presidente palestinese Mahmud Abbas si può affermare che è un successo che esso abbia avuto luogo e che le due parti si ritroveranno la settimana prossima a Washington per «cessare di parlare su come parlarsi». Gli israeliani sono soddisfatti perché Obama ha chiesto loro di «frenare» invece che «congelare» le costruzioni negli insediamenti. I palestinesi delusi al punto che giurano che a Washington parleranno con gli americani ma non con gli israeliani se questi non si impegneranno a bloccare le costruzioni. Le quali nel frattempo continueranno, perché Obama si è reso conto che si tratta della condizione per avere come interlocutore un Netanyahu duro ma realista a capo di una coalizione chiacchierona e ideologicamente contraddittoria, ma insostituibile da una sinistra vocifera e inconsistente.
Washington ha bisogno di Netanyahu perché il problema mediorientale di Obama non sono i palestinesi ma l'Iran. A Pittsburgh il 1° ottobre i 5+1 saranno chiamati a decidere sulle sanzioni da imporre all'Iran se questi non arresta la produzione di materiale nucleare. In caso di accordo, si continuerà a trattare con Teheran anche se questa continuerà la sua marcia verso l'arma atomica contro cui un intervento militare israeliano diventa improbabile. Ma se la Russia si opporrà a nuove sanzioni, che Germania e Francia esitano a sostenere, il ruolo di «bastone» per il quale Israele si sta intensamente preparando (è in corso la più grande manovra congiunta israelo-americana) acquisterà rilevanza anche se condizionato dalla volontà politica, dalla strategia e dalla diplomazia di Washington. Anzitutto perché il potenziale offensivo e difensivo israeliano non è in grado di agire contro l'Iran senza l'appoggio aperto o tacito di Washington. I siti nucleari da colpire, in gran parte sotterranei, sono oltre 150 e includono le infrastrutture delle Milizie rivoluzionarie che rappresentano il pilastro su cui poggia l'attuale regime. Il consenso americano di transito nei cieli dell'Irak è un elemento indispensabile al successo di una operazione estremamente complessa come lo è la cooperazione di Washington alla difesa missilistica di Israele.
Per cui la domanda che tanto la destra quanto la sinistra all'opposizione si pone a Gerusalemme è in questo momento la seguente: Netanyahu è pronto a barattare il congelamento delle costruzioni negli insediamenti, la cessione di territori dello Stato ai palestinesi per giungere a frontiere con lo Stato palestinese (inclusive della maggioranza dei coloni) e un compromesso su Gerusalemme contro il sostegno americano ad un’azione contro l'Iran? Forse il premier israeliano farà trasparire qualcosa delle sue intenzioni nel discorso (annunciato drammatico da fonti a lui vicine) che terrà oggi all'Assemblea generale dell'Onu.
Curiosamente il ministro della Difesa Barak afferma che l'Iran «non rappresenta un pericolo esistenziale per Israele». Perché allora si parla tanto su questo pericolo? Per necessità pubblicitarie - dicono i cinici. Per preparare gli animi - e le difese politiche e militari - a una coesistenza di Israele e dei Paesi arabi con la bomba iraniana che non sarebbe più minacciosa di quella pakistana se non fosse nelle mani di un regime folle. È dunque più importante (e più realistico dopo i brogli nelle recenti elezioni) cercare di abbatterlo piuttosto che tentare di distruggere il suo potenziale atomico.

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