Il mondo islamico fatica a essere democratico. Fatica a scindere la politica da una religione invasiva, che odia il presente e predica l’eterno ritorno alla umma coranica (l’originaria, e mitica, unità dei credenti). E tutto questo non per colpa di un passato colonialista di marca occidentale (che ha semmai altre responsabilità), ma a causa di una struttura culturale chiusa e, da secoli, volta a bloccare la creatività per sottoporla al controllo dei potenti, dei «profeti di Dio» di turno, che si sforzano di controllare e reprimere ogni dissenso intellettuale.
La manciata di concetti che abbiamo scritto in queste poche righe, nonostante sia suffragata da un gran numero di prove, esplosive e sanguinose, è sufficiente a scandalizzare la maggior parte dei ben pensanti che predicano l’equivalenza delle civiltà e sono sempre disposti a scaricare sull’Occidente la colpa primigenia di tutte le nequizie del nostro pianetino, sempre più globale. Espresse nella loro semplicità, queste idee bastano a farsi tacciare di razzismo culturale, a vedersi ricordare con piglio furioso che la Cordoba musulmana aveva diversi chilometri di illuminazione pubblica quando Londra era un tugurio fangoso.
Peccato che a ricordarci che la situazione è descrivibile proprio in questi termini, sperando magari che l’Occidente abbia un atteggiamento più consapevole, sono proprio i più avveduti e i più laici degli intellettuali nati all’ombra della Mezzaluna. Come, a esempio, Moustapha Safouan, eminente psicologo egiziano (ha tradotto L’interpretazione dei sogni di Freud in arabo) che sarà oggi al festival Pordenonelegge per discutere proprio dei legami tra cultura politica e libertà nel Medio Oriente (a Pordenone al Palazzo della provincia alle 10,30). Le sue idee in questo campo sono nettissime. Per rendersene conto basta sfogliare il suo Perché il mondo arabo non è libero. Politica e terrorismo religioso (Spirali, pagg. 200, euro 30). Uno di quei libri politicamente scorretti che molti non leggono o fanno finta di non leggere.
Parlando dei Paesi di lingua araba, il professore non ha dubbi sul fatto che la mancanza di libertà derivi da una censura intellettuale connaturata alla storia del Medio Oriente. «La storia politica europea si è costituita sul modello greco, la sovranità, il potere deriva dal consenso dalla gente... In Medio Oriente il modello è rimasto un altro. È quello degli antichi egizi, dei sumeri, la sovranità viene da Dio... Con il tempo il divino ha smesso di essere il monarca, è diventato il libro del Corano». E quindi la parola scritta è diventata una delle ossessioni dei governanti o dei gruppi politici musulmani: «Controllando la scrittura, dividendo con forza l’arabo classico, dei colti, dalla lingua parlata si è riusciti a impedire qualsiasi contagio delle idee». E questa non è una realtà ancestrale, ma qualcosa che accade anche ai giorni nostri: «La lingua parlata è nei Paesi arabi diversissima da quella scritta dai giornalisti e dagli scrittori. Moltissima gente resta esclusa. Semplicemente non è in grado di leggere i libri che vengono tradotti a uso e consumo delle sole élite. Da pochissimo la diffusione dei media come la televisione ha iniziato a cambiare questo stato di cose. Ma la maggior parte della popolazione è ancora “muta” e “sorda”, senza possibilità di imparare».
Tanto che lo stesso Safouan già da diversi anni combatte una battaglia per tradurre testi e per tenere le sue conferenze utilizzando l’arabo parlato (che sta a quello classico come l’italiano sta al latino). «Molti anni fa tradussi in arabo classico il Discorso sulla servitù volontaria di Étienne de La Boétie. È uno dei grandi classici occidentali in difesa della libertà degli individui. Circolò solo tra gli intellettuali del Marocco. Succede così a moltissimi libri... Ed è ovvio che dietro a una situazione del genere c’è un interesse politico». Questo non è certo un retaggio del colonialismo. Dice sempre Safouan: «Gli occidentali, come tutti i colonizzatori, hanno imposto un’ulteriore livello linguistico e spesso hanno badato al proprio interesse economico. Però va detto che nei territori occupati dalla Francia è stato creato un sistema di istruzione molto solido che ha aperto a molti una finestra sul mondo. Gli inglesi sono stati meno efficienti, però hanno creato al loro passaggio un sistema universitario di alto livello».
Retaggi di apertura che il terrorismo o i governi autoritari cercano di eliminare esattamente come cercano di mantenere l’arabo vivo e parlato assolutamente lontano dallo spazio della scrittura. In modo che i più restino esclusi dal mondo. Che ai più resti solo la frase meno bella del Corano: «Questo è il libro su cui non ci sono dubbi».
Matteo Sacchi - Intervista a Valentina Colombo: " Nessuno traduce più Dante o Byron, ora nelle edicole c'è il Mein Kampf "
Valentina Colombo con il poeta Adonis
Valentina Colombo (1964) è una delle più famose arabiste italiane: è docente di Geopolitica del mondo islamico presso l’Università Europea di Roma e Senior Fellow presso la European Foundation for Democracy (Bruxelles). Il grande pubblico però la conosce soprattutto per il suo Islam. Istruzioni per l’uso (Mondadori, 2009) e come traduttrice del premio Nobel per la letteratura Nagib Mahfuz.
Abbiamo chiesto il suo parere sull’utilizzo della cultura come strumento di potere nel mondo arabo.
Dottoressa Colombo, secondo i dati dell’Onu sono pochissimi i libri occidentali tradotti in lingua araba. Come mai?
«Diciamo che in passato, dai primi dell’Ottocento sino a circa gli anni Sessanta del Novecento le traduzioni di libri occidentali in lingua araba erano numerose, ora invece è cambiato tutto».
Perché?
«L’avanzata dell’estremismo ha fatto in modo che si traducesse sempre di meno. In pratica gli unici Paesi di lingua islamica a tradurre testi sono l’Egitto e il Libano. Ma anche lì in pratica si è fermato tutto. È noto il caso del Codice da Vinci di Dan Brown, la cui traduzione è stata bloccata».
Quali sono i libri europei che vengono ancora tradotti?
«Se lei parla con qualunque intellettuale di un Paese islamico le dirà che negli anni Cinquanta lui poteva leggere Dante in arabo. Adesso Dante non si trova più. Però se lei gira per Il Cairo trova Mein Kampf di Adolf Hitler esposto nelle edicole vicino ai giornali e con copertine fatte apposta per attirare l’attenzione dei lettori».
E la questione della forte differenza tra l’arabo classico e la lingua parlata?
«Ha ragione Safouan, è uno dei problemi più gravi. Tutto sino a poco tempo fa veniva scritto in arabo standard che è molto diverso da quello che parla la gente. Così non solo le traduzioni di testi occidentali sono sempre meno, ma una gran parte della popolazione (l’analfabetismo in alcuni Paesi arabi supera il 40 per cento) non ha accesso ad alcun tipo di informazione. Tra i pochi segni di miglioramento c’è che alcuni giovani scrittori locali stanno iniziando a usare una lingua simile al parlato nei loro libri».
I gruppi estremisti che linguaggio usano?
«Sono tra i più gelosi difensori della purezza dell’arabo standard. Per l’oro l’arabo è ancora più sacro. È quello che usano nei loro proclami e nelle fatwa. Quando però si rivolgono alla gente passano al linguaggio comune, comprensibile. Questo doppio livello è assolutamente a loro vantaggio».
In questo senso quali sono le colpe dei governi?
«Non hanno mai investito nell’istruzione, o almeno non l’hanno fatto in modo adeguato. In un Paese come l’Egitto, che pure è uno dei più aperti all’Occidente, ci sono classi nella scuola primaria dove ci sono sessanta bambini. Così le classi più umili si rivolgono alle scuole gestite dalle associazioni di estremismo religioso. E si può facilmente immaginare che tipo di educazione venga fornita in quell’ambito».
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